mercoledì 1 settembre 2010

Come si arrivò all' 8 settembre 1943 (testo)


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testo tratto da:
Francesco Mattesini
Come si arrivò all'8 Settembre 1943
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Parte prima
I motivi che costrinsero l'Italia ad abbandonare unilateralmente l'alleanza con la Germania e a schierarsi con gli alleati
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Il 19 luglio 1943, il Capo del Governo italiano Benito Mussolini e il Cancelliere della Germani Adolf Hitler si incontrarono a Feltre, presso Belluno, per discutere dell’aiuto che i tedeschi potevano ancora dare all’Italia per evitarne il tracollo, dopo lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia, iniziato la notte del 10 luglio 1943. Il Fuhrer, deluso dal comportamento tenuto in Sicilia dalle divisioni del Regio Esercito che si erano letteralmente liquefatte d’avanti al nemico, lasciando soltanto le tre divisioni tedesche presenti nell’isola, rinforzate da paracadutisti, a combattere contro gli Alleati, con un lunghissimo soliloquio nei confronti di un frustrato Duce, accusò apertamente gli italiani di essere combattenti mediocri e non più affidabili, buoni soltanto a sollecitare aiuti senza dare nulla in cambio neppure per proteggere adeguatamente gli aeroporti sui quali i reparti di volo germanici riportavano, per gli attacchi aerei nemici, gravissime perdite.
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Durante le discussioni fu portata ai due statisti, e al loro seguito di rappresentanti politici e militari, la notizia del bombardamento di Roma, realizzato da 500 bombardieri statunitensi fortemente scortati da caccia. In Italia, questo bombardamento fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il 25 luglio Mussolini fu sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo, ed imprigionato, per ordine del Re Vittorio Emanuele III, prima a Ponza, poi alla Maddalena, e infine a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, dove poi sarebbe stato liberato, il 12 settembre, dai paracadutisti tedeschi.
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Nel frattempo, il Sovrano aveva chiamato l’uomo che in quel momento, per il suo prestigio militare, sembrava il più adatto a guidare la nazione, il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, Sottocapo di Stato Maggiore Generale durante la prima guerra mondiale all’epoca della battaglia del Piave e di quella di Vittorio Veneto, conquistatore dell’Etiopia nel 1936, e poi fino al disastro della campagna di Grecia, nel novembre 1940, Capo di Stato Maggiore Generale. Nel nuovo gabinetto entrarono a far parte, quali ministri e capi di stato maggiore della Marina e dell’Aeronautica, l’ammiraglio Raffaele de Courten e il generale Renato Sandalli, che rispettivamente sostituirono nelle cariche i troppo compromessi e filo-fascisti ammiraglio Artuto Riccardi e generale Rino Corso Fougier.
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L’eliminazione politica di Mussolini e la caduta del fascismo causarono in Hitler un’ira furibonda che lo indusse a pianificare misure coercitive contro i nuovi governanti italiani, e a realizzare, alla prima favorevole occasione che si fosse presentata, i piani "Alarich" (Alarico) e "Kostantin" (Costantino), già ordinati dal Fuhrer, per motivi cautelativi, fin dal gennaio 1943 e messi a punto dal suo Quartier Generale (O.K.W). nel corso della successiva primavera. Con l’"Alarich" doveva realizzarsi il pieno controllo delle operazioni militari in Italia, allo scopo di "dover mantenere la guerra il più lontano possibile dai confini tedeschi"; con il "Kostantin" mantenere il controllo nei Balcani e nell’Egeo.
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Entrambe le operazioni tendevano quindi ad evitare quel secondo fronte chiesto ripetutamente da Stalin, che avrebbe potuto aprire agli anglo-americani le porte verso il centro dell’Europa. Ne conseguì che alla fine di maggio l’O.K.W. aveva elaborato la prima stesura della Direttiva n. 48, da attuare "nel caso di un mutamento politico-militare in Italia", ma che anche riguardava la difesa dell’area centrale dell’Europa senza contare sull’aiuto dell’Italia, da molto tempo considerata il molle ventre dell’Asse, e tenendo anzi in considerazione anche la drastica ipotesi di affrontare con le armi gli italiani, nel caso di una loro defezione, in modo da eliminare un alleato considerato infido, pronto a cambiare di schieramento, e quindi a staccarsi dall’Asse a non lunga scadenza per schierarsi dall’altra parte, e che ormai, fortemente demoralizzato, rinunciava perfino a combattere.
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Lo dimostravano l’incredibile resa di Pantelleria dell’11 giugno 1943 a cui era seguito, il successivo 11 luglio, l’abbandono della piazzaforte di Augusta; per non parlare poi dello squagliamento generale delle truppe nei reparti di tutte le Forze Armate, in particolare dei siciliani, impegnati in un generale "tutti a casa"., mentre i soldati preposti alla difesa costiera si arrendevano quasi con entusiasmo, dando addirittura una mano a scaricare i mezzi da sbarco degli invasori. Ma ancora più umiliante fu l’inqualificabile gioiosa e a volte trionfale accoglienza offerta dalle popolazioni siciliane nei confronti degli anglo-americani, che pure erano ancora nemici dell’Italia.
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A tutto questo si aggiungeva, per aumentare l’ira di Hitler e dell’O.K.W., la resistenza del Comando Supremo, iniziata all’inizio dell’anno con il cambio al vertice del generale Vittorio Ambrosio, nuovo Capo di Stato Maggiore Generale al posto del generale Ugo Cavallero, fautore del rispetto dell’alleanza con la Germania. Ambrosio, essendo invece palesemente antitedesco e convinto di dovere abbandonare l’alleanza dell’Asse, si opponeva a concedere il libero transito in Italia ai rinforzi tedeschi che affluivano, e che in gran parte erano diretti nel sud della penisola ove si stava annunciando, dopo la Sicilia, la prossima mossa offensiva degli Alleati.
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A Roma erano terrorizzati dai preparativi tedeschi, che si svilupparono, inequivocabilmente, tra la fine di luglio e la prima decade di agosto, quando l’O.K.W., rompendo ogni indugio, fece affluire nel nord Italia, attraverso il Brennero e dalla Francia otto divisioni, due delle quali corazzate. Agli ordini del feldmaresciallo Rommel - che per il suo comportamento in Africa settentrionale era inviso agli italiani, che ne avevano chiesto ed ottenuto da Hitler la sostituzione durante la campagna di Tunisia, nel febbraio 1943 - quelle divisioni costituirono il Gruppo d’Armate B che rimase dislocato nella Valle Padana. Ciò significò lasciare alle otto divisioni del Gruppo di Armate C del feldmaresciallo Albert Kesselring, Comandante in Capo del fronte meridionale (O.B.S.) il compito di continuare a proteggere il sud dell’Italia, e a combattere in Sicilia.
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Dopo una strenua resistenza davanti all’Etna realizzata dalle tre divisioni tedesche del 14° Corpo corazzato (generale Hans Hube) rinforzato da aliquote di paracadutisti della 1^ Divisione, dal momento che da parte italiana restarono a combattere, in modo lodevole, soltanto alcuni reggimenti d’artiglieria inseriti nelle unità germaniche, la Sicilia fu evacuata tra il 6 e il 15 agosto. E ciò avvenne con l’operazione "Lehrgang" impiegando, con straordinario successo, tutte le motozattere dell’Asse disponibili, per trasportare in Calabria truppe ed equipaggiamenti. In quella che fu considerata dal generale Frido von Senger "una gloriosa ritirata" i soli mezzi navali tedeschi, agli ordini del capitano di fregata von Liebinstein, effettuando ben 4.700 traversate, riuscirono a portare via dalla Sicilia, in sette giorni e sette notti, 39.569 soldati, 9.605 veicoli, 47 carri armati, 94 cannoni, più di 2.000 tonnellate di carburanti e munizioni e circa 15.000 tonnellate di rifornimenti vari. Da parte italiana, con altrettanto notevole sforzo, furono evacuati in Calabria 62.000 uomini, 227 veicoli, 41 cannoni e 12 muli.
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E ciò avvenne, sotto la direzione del Comandante di Marina Messina, ammiraglio Pietro Barone e del colonnello dell’Esercito tedesco Ernst-Gunther Baade, con perdite insignificanti, nonostante l’intervento in massa dell’aviazione anglo-americana, che impiegò tra l’8 e il 17 agosto ben 2.922 velivoli, e con l’appoggio delle artiglierie italiane e tedesche concentrate anche dall’altra parte dello Stretto di Messina, sulla costa della Calabria. Lo storico navale statunitense, prof. Ammiraglio Samuel Eliot Morison ha scritto che il concentramento d’artiglieria contraerea realizzato in quell’occasione con almeno 150 cannoni da 88 e da 90 mm., e quindi senza contare l’armamento leggero e quello delle navi, era di potenza pari a quanto gli aerei degli Alleati trovavano in Germania, nella zona industriale della Rhur.
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Le intenzioni di Rommel, che aspirava ad essere l’unico comandante tedesco sul fronte italiano, erano quelle di ritirare tutte le truppe tedesche dietro la catena settentrionale degli Appennini, sulla linea Livorno, Arezzo e Pesaro. Hitler e l’OKW , che sempre più temevano la sedizione degli italiani, condivisero questa idea; anche perché una tale sedizione, appoggiata dagli anglo-americani, avrebbe potuto tagliare fuori, nell’Italia meridionale e centrale, le divisioni di Kesselring, portando al disastro l’intero fronte meridionale.
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Ma Kesselring, che rispetto a Rommel, considerato un buon tattico sul campo di battaglia, aveva una ben maggiore visione strategica, si rese conto che abbandonare la penisola italiana, per attestarsi nella Valle Padana, avrebbe significato di consentire al nemico di sfruttarne il territorio per incrementare, dal sud, l’attività aerea e terrestre verso la Germania. Pertanto si oppose ad abbandonare le sue posizioni nella penisola. Combattendo tenacemente, prima a Salerno, poi al Volturno e quindi a Cassino, dove trattenne gli Alleati fino alla fine di maggio del 1944, per poi ritirarsi lentamente fino a portarsi sulla linea Gotica, Kesselring dimostrò con i fatti di avere avuto ragione, fino a riguadagnare la fiducia di Hitler e a restare unico e geniale comandante tedesco sul fronte italiano.
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Nel frattempo, il generale Ambrosio era intenzionato a capire fino a quanto l’O.K.W. intendesse impegnarsi per la difesa dell’Italia, e se i tedeschi erano intenzionati a cedere gli aiuti richiesti, tra cui ben 2.000 aerei, per armare modernamente e quantitativamente le Regie Forze Armate. Il 6 agosto, mentre due rappresentanti diplomatici del Ministero degli Esteri italiano - Blasco Lanza d’Ajeta e Alberto Berio - avevano preso contatti con gli ambasciatori britannici di Lisbona e Tangeri per capire se vi fossero possibilità di arrivare ad un armistizio favorevole che evitasse la resa incondizionata, Ambrosio si incontrò a Tarvisio con il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, Capo dell’O.K.W. Il convegno, a cui parteciparono i più qualificati ufficiali delle due parti, fu alquanto agitato, e gli italiani si resero conto che il diffidente alleato non intendeva concedere armi, ma soltanto di inviare proprie forze, che ormai apparivano palesemente di occupazione.
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Di fronte a questo comportamento, che denunciava apertamente l’intenzione tedesca di occupare militarmente l’Italia per tenere gli anglo-americani lontano dai confini della Germania, subordinando ogni risoluzione ai desideri dei rappresentanti tedeschi, a Roma fu presa la decisione, anche per volere di Vittorio Emanuele III, di stabilire segretamente nuovi contatti con gli anglo-americani, allo scopo di arrivare ad un armistizio di compromesso che impegnasse gli Alleati a scacciare i tedeschi dalla Patria. Ciò significava, come temeva Hitler, che i tedeschi sarebbero diventati, di punto in bianco, da alleati, chiamati in Mediterraneo fin dal dicembre del 1940 per difendere le vacillanti posizioni italiane, a nemici mortali, da scacciare ad ogni costo. Da questo momento, per incredibile pressappochismo, realizzatosi ad ogni livello nell’ambito dei massimi rappresentanti delle Regie Forze Armate, ma specialmente da parte di Badoglio e di Ambrosio che dovettero anche assoggettarsi alle volontà di Vittorio Emanuele III, anche per salvaguardarne il traballante trono che una sconfitta militare avrebbe fatto crollare, ebbe inizio per l’Italia la tragedia che portò al fatidico armistizio dell’8 settembre.
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Mentre il 25 luglio, può essere considerato un giorno traumatico per gran parte degli italiani e di gioia incontenibile per altri - perché fu scardinato il regime di Mussolini e uscirono dalla clandestinità coloro che l’avevano avversato, però tenendosi lontani al sicuro, e quelli che, senza alcun pudore, si unirono alla nuova causa soltanto per opportunità dopo essere stati tra i più ferventi sostenitori del regime - l’8 settembre rappresenta invece, senza possibilità di appello, il giorno più tragico ed umiliante della storia dell’Italia, quello che poi portò alla guerra civile e infine ad un trattato di pace fortemente punitivo. Fu indubbiamente una scelta obbligata, compiuta per risparmiare lutti alla nazione ormai indifendibile, disponendo l’Italia di un Esercito male armato e dal morale a pezzi, e con le cui principali città sottoposte ad una serie d’incursioni da parte dell’aviazione Alleata che, nella cieca opera distruttiva e punitiva, non risparmiava nulla, compresi gli ospedali, le chiese e i centri storici. Tuttavia, visto come si realizzò il cambio di rotta, segretamente ed ingannando subdolamente la Germania che ancora oggi non dimentica il tradimento, si trattò di un atto immorale, il secondo in vent’otto anni di un Governo italiano, e pertanto difficilmente giustificabile, soprattutto all’estero, sia a livello politico che a livello militare.
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Fu in questa tragica situazione, che all’inizio della seconda metà di agosto, per volere del Capo Governo condiviso da Vittorio Emanuele III, iniziarono a Lisbona, per mezzo di un rappresentante del Comando Supremo, il generale di brigata Giuseppe Castellano persona di fiducia del generale Ambrosio, le discussioni di pace con i rappresentanti del Comandante in Capo delle Forze Alleate, il generale statunitense Dwight D. Eisenhower. Questi inviò quale proprio rappresentante il suo abilissimo Capo di Stato Maggiore, generale Walter Bedell-Smith, coadiuvato dal generale britannico Kenneth Strong, Capo del Servizio Informazioni. Le discussioni proseguirono tra molte reciproche diffidenze a Cassibile, in Sicilia. In esse s’inserì - generando negli Alleati nuovi dubbi sulle intenzioni italiane - il generale Giacomo Zanussi inviato dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito generale Mario Roatta perché non si sapeva più nulla di Castellano. Si arrivò quindi al 3 settembre, quando Castellano fu autorizzato, con delega del maresciallo Badoglio, a firmare il testo dell’armistizio corto, e quindi della resa incondizionata, che fu controfirmato da Bedell- Smith a nome di Eisenhower.
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Fino all’arrivo di Castellano, la strategia degli Alleati era rivolta a due obiettivi, riaprire interamente il Mediterraneo alla navigazione, in modo da accorciare le linee di rifornimento con il medio e l’estremo oriente, e realizzare lo sbarco in Normandia, spostato dal 1943 alla primavera del 1944. La conquista della Sicilia portò a realizzare il primo obiettivo. Ma mentre gli statunitensi erano propensi ad evitare di impegnarsi ulteriormente nel Mediterraneo, per concentrare uomini e mezzi in Inghilterra destinati allo sbarco in Normandia (operazione "Neptune"), il vulcanico Primo Ministro britannico Winston Churchill, riteneva di dover spingere lo scontro ad un‘Italia scoraggiata e afflitta per eliminarla dal conflitto, con tutti i vantaggi che ne sarebbero derivati; primo fra tutti quello di dare una mano ai russi che dovevano fronteggiare non meno di 156 divisioni tedesche, i quali, con l’offensiva di Kursk del 5 - 13 luglio 1943 (operazione Zitadelle), sebbene fallita, dimostravano di essere ancora temibili.
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In questo suo progetto Churchill aveva l’appoggio dei vertici della R.A.F. che ritenevano necessario realizzare l’occupazione dell’Italia peninsulare fino alla linea a nord dell’asse Napoli-Foggia, ove esistevano numerosi e attrezzati aeroporti da cui poter estendere, con buona autonomia per i velivoli da bombardamento, l’offensiva agli obiettivi industriali della Germania meridionale e orientale e contro il suo maggiore paese fornitore di petrolio, la Romania. Occorre però dire che una prima grossa incursione realizzata il 1° agosto contro gli impianti petroliferi rumeni di Pleosti, con partenza dalle basi della Pirenaica, costò molto cara alla 9^ Air Force statunitense, che perse ben 54 aerei, sui 177 impiegati, e 773 uomini del proprio personale di volo.
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La missione di Castellano a Lisbona coincise con l’importante conferenza "Quadrant" in Canada, a Québec, a cui parteciparono, da parte britannica e statunitense, i due capi di stato con i loro consiglieri e i capi di stato maggiore che, almeno inizialmente, non accolsero con simpatia le proposte italiane; tanto che Churchill commentò, con molta diffidenza ma anche con preveggenza: "Badoglio ammette che farà il doppio gioco ai danni di qualcuno ma …[è] più probabile che sarà Hitler ad essere raggirato …e intanto la guerra continuerà … "in tutti i modi permessi dagli americani" [sottolineato dal Primo Ministro]. (1)
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Vi era però anche il convincimento, anche se i nuovi rappresentanti del Governo italiano erano considerati dal generale Bernhard Montgomery "uomini di paglia", che l’Italia poteva essere occupata con poca fatica, sempre che le sue Forze Armate avessero avuto forza sufficienze per opporsi ai tentativi tedeschi; e ciò avrebbe permesso di realizzare, limitando le perdite, di avere nella penisola truppe sufficienti per rassicurare il Governo italiano e a rinvigorire la forza del suo Esercito e per costringere i tedeschi a ritirarsi sempre più a nord, possibilmente fino alle Alpi. Castellano in questo era stato molto chiaro, dicendo a Bedll-Smith che non vi era l’intenzione dei tedeschi di difendere il sud e il centro dell’Italia, ma soltanto la Valle Padana facendo resistenza sulla linea degli Appennini. Ma in questo, non conoscendo la determinazione e la tenacia di Kesselring, si sbagliava.
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La patata bollente, quella di decidere se andare avanti con le operazioni in Italia, fu lasciata ad Eisenhower, il cui orientamento era il compromesso tra le idee del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito statunitense, generale George C. Marshall, appoggiate dal presidente Franklin Delano Roosevelt, e di Churchill. Il Comandante in Capo delle Forze Alleate si disse pronto a privarsi di sette divisioni britanniche e statunitensi, di quattro gruppi da bombardamento pesante, e di numeroso naviglio da trasporto e da sbarco per mandare il tutto in Inghilterra, in vista dello sbarco in Francia, entro il 2 novembre, e nel contempo ad intraprendere sbarchi in Italia, per estrometterla dalla guerra ed impegnare nella penisola il maggior numero di divisioni tedesche.
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Fu su questa politica di compromesso che Eisenhower decise di dare attuazione immediata alle operazioni d’invasione dell’Italia, realizzando il 3 settembre, dopo un formidabile bombardamento d’artiglieria navale e terrestre, lo sbarco di due divisioni dell’8^ Armata britannica nella punta estrema della Calabria, a cui doveva seguire cinque giorni dopo un’operazione più complessa, denominata "Avalanche", da realizzare con altre quattro divisioni nel Golfo di Salerno. Ma a questo punto, proprio alla vigilia del nuovo sbarco, da integrare con un’altra operazione anfibia a Taranto, Eisenhoweer si accorse, come vedremo, della portata dell’irresolutezza dell’Italia, sulle cui Forze Armate molto conto era stato fatto per appoggiare in modo consistente le operazioni degli Alleati.
Dopo aver minacciato di bombardare nuovamente Roma per imporre agli italiani di affrettarsi a firmare la resa, il generale Bedell-Smith aveva concordato con il generale Castellano di far affluire per via aerea sugli aeroporti della Capitale, ad iniziare da subito dopo l’annuncio alla radio dell’armistizio, la 82^ Divisione aviotrasportata statunitense, i cui elementi doveva giungere a destinazione nel corso di quattro notti successive. Lo scopo di questo piano era quello di aumentare le possibilità difensive degli italiani, tenendo Roma fino all’arrivo delle truppe di terra Alleate, provenienti da Salerno. Quest’operazione, denominata "Giant Two" (Gigante 2), era stata accordata dal generale Eisenhower, contro il parere del generale Mark Clark, Comandante della 5^ Armata statunitense, perché, come egli sostenne con due messaggi inviati il 1° settembre ai Capi di Stato Maggiore congiunti anglo-americani, era l’unica possibilità che potesse convincere gli italiani a firmare l’armistizio, e per mantenere il controllo di tutto il territorio a sud di Roma.
Fu per l’arrivo di questa divisione che si sarebbero verificati i primi contrasti tra i responsabili italiani, che contribuirono poi, in modo forse determinante, alla rovina dell’Italia.
 
Cassibile, 3 settembre 1943 - Walter Bedell Smith appone la sua firma al documento dell'Armistizio. In piedi, da sinistra, il commodoro britannico Royer Mylius Dick, il maggior generale americano Lowell Rocks, il capitano inglese de Hann, il generale Giuseppe Castellano, il generale inglese Kenneth Strong (dietro Castellano) ed il console Franco Montanari, funzionario del Ministero degli Esteri. (1)
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Parte Seconda
L’armistizio di Cassibile e le reazioni in Italia
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Nelle condizioni di resa fissate dagli Alleati, era stato stabilito che al momento dell’entrata in vigore dell’armistizio il governo del maresciallo d’Italia Pietro Badoglio doveva dare ordine alla flotta, al naviglio mercantile e agli aerei militari di dirigere verso le basi anglo-americane e distruggere le navi e gli aerei impossibilitati a partire per impedire che cadessero in mano ai tedeschi. Per l’attuazione di questi movimenti, pretesi dagli Alleati sotto la promessa che la consegna della flotta e degli aerei avrebbe permesso di concedere all’Italia condizioni di pace più favorevoli, furono consegnati al generale Castellano sette documenti. (2)
Tra essi, per la parte riguardante la Regia Marina, vi era un promemoria del commodoro Royer.M. Dick, Capo di Stato Maggiore del Comandante navale alleato, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, ove erano stabilite le rotte e le modalità tecniche per il trasferimento delle navi italiane nei porti sotto controllo degli anglo-americani. (3)
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Il maresciallo Badoglio e il generale Ambrosio, adeguandosi a quanto si erano raccomandati i rappresentanti Alleati, mantennero il più assoluto riserbo sui contatti con gli Alleati fino alla firma dell’armistizio, che essi stessi non sapevano quando sarebbe entrato in vigore, perché gli anglo-americani, non fidandosi, si erano riservati di farlo conoscere soltanto poche ore prima del loro sbarco nel Golfo di Salerno (operazione Avalanche). A Roma, come vedremo, basandosi su un’ipotesi di Castellano, si ritenne che l’armistizio sarebbe entrato in vigore il 12 settembre; ma tale supposizione si dimostrò poi errata.
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Fatta questa breve esposizione, vediamo ora come i capi militari italiani furono informati dell’armistizio:
Nelle prime ore del pomeriggio del 3 settembre 1943 il Capo del Governo italiano riunì al palazzo del Viminale il ministro degli Esteri Raffaele Guariglia, il Capo di Stato Maggiore Generale, generale Ambrosio, i ministri della Guerra, della Marina e dell’Aeronautica, generale Antonio Sorice, ammiraglio de Courten e generale Sandalli. Ad essi, il maresciallo Badoglio, comunicò "L’autorizzazione data al generale Castellano per l’accettazione dell’armistizio, invitando quindi ognuno a predisporre nella propria competenza e secondo le direttive già date dal Capo di Stato Maggiore Generale". (3)
Secondo quanto sostenne nella sua relazione il generale Sandalli, che al pari dell’ammiraglio de Courten era anche Capo di Stato Maggiore della propria Arma, il Capo del Governo comunicò: "che vi erano trattative di armistizio in corso, che dovevano essere tenute assolutamente segrete per ovvie ragioni e che non vi era, a suo avviso, altra via di uscita possibile. Approvammo ben consci delle difficoltà pressoché incontestabili di attuare soddisfacentemente il capovolgimento della situazione". (5)
Commentando le istruzioni impartite da Badoglio, il generale Castellano - che alle 17.15 dello stesso giorno 3 settembre firmò a Cassibile le condizioni di resa dell’Italia fissate dall’armistizio corto, fece le seguenti considerazioni: (6) "E’ certo quindi che il giorno 3 i ministri militari ed il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, siano stati informati della decisione presa dal Governo e che fossero perciò in grado di disporre tutto [quanto] poteva essere fatto per migliorare la situazione delle nostre forze armate rispetto a quelle tedesche".
Occorre dire che il più pronto nell’impartire ordini fu il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il quale fin dal pomeriggio di quel giorno 3 settembre, dopo aver ricevuto comunicazione verbale che l’armistizio con gli Alleati era stato firmato, per rinforzare la difesa di Roma, anche trasferendovi alcuni reparti che si trovavano in Toscana, prese i seguenti provvedimenti: (7)
a) l’afflusso colla massima celerità nella zona di Roma delle divisioni "Re", "Lupi di Toscana", e del reggimento Corazzato "Lodi"
b) finte di predisposizioni per il trasferimento in Italia Meridionale delle divisioni "Piave" e "Ariete";
c) riorganizzazione della difesa di Roma (sganciamento del Corpo d’Armata Motocorazzato) dalla difesa fissa che venne affidata al XVII Corpo d’Armata;
d) azione della divisione "Ravenna" (dislocata in Toscana) sul terreno della 3^ Panzergrenadieren quando e se questa si fosse mossa per agire contro Roma;
e) assunzione da parte dello S.M. R. Esercito del coordinamento della difesa della Capitale.
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Due giorni dopo, il 5 settembre, apparendo ormai prossima la dichiarazione dell’armistizio e quindi il prevedibile scontro con i tedeschi, il generale Roatta impartiva nuovi ordini, ed assegnava al generale Carboni, Commissario Straordinario del Servizio Informazioni Militari (S.I.M.) e Comandante del Corpo Motocorazzato, il compito di assumere le funzioni primarie nella difesa di Roma. Quindi, dopo un colloquio con il generale Ambrosio, Roatta si ripromise di spostare la divisione corazzata Ariete e la motorizzata Piave in una zona situata ad est di Roma, (tra Palombara Sabina e la strada consolare Casilina), mentre la divisione paracadutisti statunitense sarebbe stata schierata a sud-est della Piave nella zona di Marcellina, usufruendo degli alloggiamenti della divisione corazzata Centauro. Questa, essendo costituita con elementi fascisti, e pertanto considerata infida, doveva essere internata tra i monti della zona Casilina, ad oriente di Tivoli.
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Ai sette documenti dell’armistizio, contenenti le norme che il Governo e le Forze Armate italiane dovevano attuare per fronteggiare la reazione tedesca al momento in cui, alle ore 18.00 di un imprecisato giorno X, il generale Eisenhower avrebbe comunicato per radio la proclamazione dell’armistizio, e che furono portati a Roma in aereo il 5 settembre dal maggiore Luigi Marchesi, il generale Castellano aveva aggiunto una sua lettera personale per il generale Ambrosio, in cui tra l’altro si affermava: (8) "Per quanto abbia fatto l’impossibile per riuscirvi, non ho potuto avere alcuna notizia sulla precisa località dello sbarco. Circa la data non posso dire nulla di preciso: ma da informazioni confidenziali prevedo che lo sbarco potrà avvenire tra il 10 e il 15 settembre, forse il 12."
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Marchesi, confermò ad Ambrosio quanto sostenuto da Castellano, mentre in realtà, come poi lo stesso Castellano avrebbe rettificato, si trattava di una data puramente ipotetica, che generò un increscioso equivoco, dal quale derivarono le più gravi conseguenze.
Dopo che la traduzione in italiano dei principali documenti fu rapidamente completata e portata alla consultazione del maresciallo Badoglio, quella stessa sera del 5 settembre il Capo di Stato Maggiore Generale riunì i tre capi di stato maggiore delle Forze Armate (generale d’armata Roatta, ammiraglio di squadra de Corten e generale di squadra aerea Sandalli), "dando loro comunicazione dei lineamenti operativi generali degli Alleati, e delle questioni di rispettiva competenza". In particolare, il generale Ambrosio sostenne "che le condizioni di armistizio apparivano dure, ma che nel Documento Aggiuntivo di Quebec tale durezza era mitigata in relazione al nostro concorso avvenire contro i tedeschi, e che quindi era nostro dovere lavorare in lealtà nell’indirizzo voluto dal Governo". (9)
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Quindi il Capo di Stato Maggiore Generale ordinò al generale Sandalli di assicurare il pieno "approntamento degli aeroporti" della Capitale (Guidonia, Certeveti e Furbara), sui quali gli elementi della 82^ Divisione aviotrasportata statunitense, destinata all’operazione "Giant two", avrebbero dovuto prendere terra, per poi essere avviati via terra, con 400 autocarri da mettere a disposizione dagli italiani, nelle zone di acquartieramento assegnate. Poiché gli statunitensi sarebbero arrivati sugli aeroporti portando al seguito razioni di viveri per due soli giorni, benzina per uno, materiale sanitario per il periodo iniziale e munizioni per tutta l’operazione, erano richieste agli italiani integrazioni, nonché le necessarie forniture di carburanti, fino ad arrivare al filo spinato e agli attrezzi di lavoro. Occorreva poi mettere a disposizione dei paracadutisti cinquecento uomini di fatica a partire dal secondo giorno dell’aviosbarco.
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Sull’argomento dell’arrivo dei paracadutisti, seguì una discussione, perché Sandalli - come ha scritto il generale Castellano - "con eccessivo e ingiustificato pessimismo che lo stato di guerra, quando non esiste né giorno né notte, non ammetteva", affermando "che sarebbero occorsi sette giorni" per attuare le disposizioni richieste all’Aeronautica, "influì negativamente", aggiungendo "non poche altre difficoltà a quelle già ingrandite dallo Stato Maggiore dell’Esercito". Argomento, quest’ultimo, di cui parleremo in seguito. (10)
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Nelle sua relazione, Sandalli si giustificò affermando che, quando il giorno 5 settembre ricevette dal Comando Supremo "alcuni documenti di parte alleata contenenti sommarie modalità per la pratica attuazione dell’armistizio" e fu quindi "possibile entrare nel concreto", due "circostanze richiamarono particolarmente l’attenzione". (11)
a) Queste modalità non erano state discusse, ma imposte (nessuna possibilità quindi per il momento di vari accordi e, quel che è peggio, nessuna possibilità di capirsi con gli Alleati).
b) Sembrava che vi fosse l’intenzione, da parte alleata, di operare anche nell’Italia centrale (si faceva cenno infatti al giorno X per la dichiarazione dell’armistizio e ad un successivo sbarco di paracadutisti o truppe aviotrasportate a Roma. Il giorno X sarebbe stato tra il 12 ed il 15 settembre).
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In sostanza (tutti lo ritenevano fermamente) l’azione sarebbe stata contemporanea: armistizio ed arrivo in forza degli Alleati in una zona dell’Italia centrale (in tal senso erano state avanzate richieste da parte del Comando Supremo) senza di che si sarebbe fatto un salto nel buio.
Inoltre, Sandalli ha specificato nel dopoguerra, facendo un’aggiunta alla sua relazione, che all’Aeronautica era richiesto di assumersi il compito più difficile ed ingrato: (12)
La Marina aveva un solo compito una volta dichiarato l’Armistizio, portarsi subito a Malta; l’Aeronautica aveva invece il peggiore dei compiti, un compito di compromesso che l’avrebbe obbligata, secondo le strane "modalità" recapitate al Comando Supremo il 5 settembre (ed a me consegnate il 6) quasi a partire e restare nello stesso tempo, partire perché ciò era previsto nelle dette ’modalità’ e restare perché anche questo era previsto in un foglio aggiuntivo nel quale si elencavano le prestazioni ed il concorso che si richiedevano all’Aeronautica.
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Secondo quanto scritto dal generale Giuseppe Santoro, all’epoca Sottocapo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, egli fu convocato dal generale Sandalli il 6 settembre, assieme al Comandante della 3^ Squadra Aerea (Italia Centrale) generale Aldo Ilari, per ricevere "comunicazione personale, da tenere segreta anche con i rispettivi diretti collaboratori, del concluso armistizio", che "avrebbe avuto attuazione presumibilmente non prima del 15 settembre". (13)
Lo stesso Santoro affermò poi in una sua relazione, che il Ministro dell’Aeronautica lesse alcuni documenti, che comprendevano: (14)
a) condizioni di carattere militare dell’armistizio [corto armistizio];
b) disposizioni da mettere in atto alla ricezione dell’ordine convenzionale "attuare missione ordine pubblico promemoria n. 1 Comando Supremo";
c) disposizioni relative a sbarchi aerei e navali anglo-americani nella zona
della Capitale, nel giorno dell’armistizio [promemoria Cannon];
Il capo di S.M. - aggiunse Santoro - non ci consegna i predetti documenti, ne vuole se ne faccia copia; consente, però che si prenda qualche appunto circa le disposizioni da attuare immediatamente alla ricezione del citato ordine convenzionale ...
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Oltre a far comprendere che il Ministro dell’Aeronautica aveva chiaramente informato del concluso armistizio sia Santoro che Ilari, la testimonianza del Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, integrando quelle sostenute dai generali Ambrosio e Sandalli, fornisce la misura della conoscenza da parte dei capi militari dei documenti dell’armistizio più importanti e delle note aggiuntive del memorandum di Quebec. Invece, come vedremo, l’ammiraglio de Courten ha sempre sostenuto di non averle conosciute fino alla sera dell’8 settembre, tranne il Promemoria Dick, consegnatogli da Ambrosio il giorno 6 e che riguardava il comportamento che doveva tenere la sola Marina.
Ambrosio, inoltre, chiese a de Courten, di mettere a disposizione una motosilurante, che doveva servire, come ha scritto lo stesso Ministro nella sua relazione "per portare un gruppo di ufficiali italiani da Gaeta ad Ustica dove, all’alba del 7, si sarebbe trovata una motosilurante inglese, la quale avrebbe ritirato gli ufficiali italiani per portarli a Palermo e consegnato due alti ufficiali anglo-americani, che avrebbero dovuto essere trasportati a Gaeta per proseguire per Roma".
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Fu anche chiesto che della missione facesse parte "un ufficiale superiore di Marina il quale fosse bene al corrente della situazione operativa e della dislocazione ed efficienza delle unità della R. Marina". (15) De Courten scelse il capitano di vascello Ernesto Giuriati che, avendo diretto fino a pochi giorni prima l’Ufficio Operazioni di Supermarina, doveva assumere il comando del cacciatorpediniere Mitragliere e della 12^ una Squadriglia Cacciatorpediniere di base alla Spezia. Trovandosi in in licenza a Castiglioncello (Livorno), Giuriati fu immediatamente richiamato a Roma. Il Ministro della Marina incaricò l’ammiraglio Francesco Maugeri, Capo dei Servizi d’Informazione della Regia Marina, di dirigere la missione di trasferimento di tredici ufficiali, che comportava anche di prelevare dal grosso motoscafo britannico Duffit (046), con il quale fu fissato l’appuntamento presso Ustica, due ufficiali paracadutisti statunitensi, specialisti nelle operazioni di avio-sbarco.
Si trattava del generale Maxwell Taylor, comandante dell’artiglieria dell’82^ Divisione aviotrasportata, e del colonnello William Tudor Gardiner, del Servizio Trasporti aerei dell’Aviazione statunitense. Essi, sbarcando a Gaeta, dovevano essere condotti segretamente a Roma in autoambulanza, come se fossero due piloti feriti recuperati da un aereo abbattuto.
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Maugeri decise che al posto della richiesta motosilurante avrebbe impiegato la corvetta Ibis (tenente di vascello Giulio Pelli), per la maggiore autonomia e la maggiore resistenza al mare; quindi raggiunta Gaeta nel pomeriggio del 6, e salito sulla Ibis, prese in disparte il comandante Giuriati, e gli fornì la seguente notizia, da noi per primi scoperta e pubblicata nel libro La Marina e l’8 settembre: "… che era già stato firmato l’armistizio, ma che per evitare rappresaglie da parte della Germania, esso non sarebbe stato proclamato prima di 10-15 giorni, contemporaneamente ad uno sbarco in grande stile degli alleati. (16)
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Questa testimonianza del comandante Giuriati, fissata nella sua relazione, è un dettaglio della massima importanza, che pone finalmente termine al dilemma sulla conoscenza dell’armistizio da parte delle massime autorità militari italiane, interessate a negare l’importante argomento per nascondere le loro gravissime responsabilità determinate dalle tardive diramazioni degli ordini ad agire contro i tedeschi e al dissolvimento delle capacità di reazione delle Regie Forze Armate. Gli ufficiali della Missione Militare italiana, e in particolare il tenente colonnello di stato maggiore Paolo De Carli del Comando Supremo, portavano inoltre agli Alleati importantissimi documenti, incluso il promemoria inviato dal generale Ambrosio al generale Castellano, che si trovava presso il Comando Alleato di Algeri, e nel quale gli si chiedeva di convincere il generale Eisenhower ad acconsentire alla flotta italiana di restare in territorio Italiano, alla Maddalena, dove avrebbe dovuto recarsi anche il Re con la Corte; proposta che, come abbiamo detto, fu però respinta da Eisenhower, perché non prevista dai termini dell’armistizio approvati da Washington e da Londra.
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Lo stesso documento (protocollato in arrivo 16 Segr. Op.), che secondo il colonnello Adelmo Pedersani, nominato da Castellano Capo di Stato Maggiore della Missione Militare Italiana presso il Comando Alleato di Algeri, era stato preparato dal Comando Supremo nel timore che la flotta italiana non avrebbe ottemperato "all’ordine di trasferirsi nei porti alleati e che preferisca auto-affondarsi", dimostrava poi, con prova inequivocabile, che i responsabili militari italiani erano pienamente al corrente che lo sbarco anglo-americano nella sud della penisola si sarebbe svolto a Salerno, e chiedevano di farlo precedere di almeno due giorni all’arrivo a Roma dei paracadutisti, per i seguenti motivi: (17)
"I lineamenti generali dell’operazione prevedono che l’aviosbarco avvenga contemporaneamente allo sbarco principale da mare nella zona Salerno-Napoli.
Sarebbe preferibile che lo sbarco principale precedesse di almeno due giorni l’aviosbarco della divisione paracadutisti allo scopo di attirare nella zona Salerno-Napoli le forze tedesche che attualmente sono tra Roma e Napoli e quindi a portata della capitale".
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Da parte degli Alleati, importantissimo è il promemoria preparato per il Comando Supremo italiano dal generale britannico Harold Alexander, Comandante del 15° Gruppo d’Armate (8^ Armate britannica e 5^ Armata statunitense), altro documento da noi scoperto e pubblicato nel Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare di giugno 1993. In questo promemoria, si chiedeva agli italiani di esercitare, al momento dell’armistizio e dello sbarco a Salerno, il massimo delle misure militari.
Fu lo stesso Alexander che, presiedendo dopo gli accordi di Cassibile, nel pomeriggio del 3 settembre, una riunione di carattere tecnico-operativo, spiegò al generale Castellano, in modo approfondito ed esauriente, che erano richiesti agli italiani i seguenti compiti specifici: (29)
1) L’occupazione di Roma con l’oggetto di salvaguardare la capitale del Paese, la vita di Sua Maestà, il Governo del maresciallo Badoglio e l’arresto del movimento tedesco in Italia.
2) Impadronirsi dei porti chiave: Taranto, Brindisi, Bari, Napoli.
3) Tagliare la ritirata dei tedeschi bloccando le strade.
4) Stendere un cordone attraverso l’Italia in qualche parte a a nord di Roma per impedire ai tedeschi di mandare rinforzi nel Sud.
5) La cattura di un aeroporto importante come Foggia.
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Con ciò viene sfatata la leggenda, esposta ad arte, che agli italiani era richiesto dagli Alleati di esercitare contro i tedeschi soltanto "azioni di sabotaggio".
Le misure che dovevano essere attuate dal Regio Esercito, com’era elencato nel promemoria di Alexander, erano in verità particolarmente ambiziose e difficilmente attuabili dalle modeste forze italiane, tranne, forse, nella zona di Roma, dove era concentrato il fiore delle divisioni del Regio Esercito, assegnate alla difesa della Capitale, e che possedevano un armamento, soprattutto in artiglierie, carri armati e cannoni semoventi di tutto rispetto. Ma vediamo, nel dettaglio, quali erano le richieste avanzate degli anglo-americani.
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A partire dalle ore 18.15 del giorno X, il Comandante in Capo Alleato avrebbe iniziato a dare alla radio l’annuncio dell’armistizio; quindi con inizio alle 18.30 (ora B del giorno X) doveva essere liberati e protetti i prigionieri Alleati, bianchi e di colore, per non farli cadere in mano tedesca, così come doveva essere impedita la cattura di tutte le navi italiane, da guerra e mercantili, che dovevano salpare e raggiungere i porti Alleati. "I sommergibili italiani - era specificato - non devono essere richiamati dal pattugliamento, in quanto ciò sarebbe una azione rivelatrice".
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Nel frattempo doveva essere rinforzata al massimo la difesa di Roma, bloccando le strade di accesso e facendo affluire nei vicini aeroporti selezionati gruppi da caccia italiani. Ciò doveva permettere di assicurare la massima protezione della divisione paracadutisti statunitense, possibilmente rinforzata, mantenendo il controllo di tre aeroporti chiave vicini alla Capitale (Guidonia, Cerveteri e Sarzana),
Il Comando dell’Oberbefehlshaber Sud (O.B.S.) a Frascati, i posti di Comando delle organizzazioni militari e i depositi di carburante e di munizioni tedeschi, dovevano essere attaccati, neutralizzati e distrutti direttamente dai reparti italiani. Questi dovevano anche esercitare il controllo delle vie di comunicazione, bloccandole e tendendo imboscate ai mezzi di trasporto germanici che vi transitavano.
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Parte Terza
Le condizioni della resa
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Fra gli altri compiti richiesti agli italiani, al di fuori della zona di Roma, dovevano essere esercitate nell’Italia centrale e meridionale le medesime misure, tendenti a mantenere il controllo dei punti nevralgici, delle basi navali e degli aeroporti, soprattutto di Bari e di Brindisi ma in particolare di quello di Taranto in modo da "tenerlo per l’ingresso delle Forze delle Nazioni Unite": Doveva essere assicurata la "massima copertura per la partenza della flotta" italiana verso i porti degli Alleati, e la distruzione a terra degli aerei e dei depositi di carburanti, lubrificanti, munizioni tedeschi, soprattutto intorno a Foggia. Dovevano essere isolate le forze tedesche che si trovavano nell’Italia meridionale. Si doveva cercare di portare via quante più truppe italiane dai Balcani, attraverso l’Adriatico. Infine, a dimostrazione che l’operazione Avalance aveva per chiaro obiettivo la zona del Golfo di Salerno, agli italiani era richiesto: Interferire quanto più possibile per i movimento delle Divisioni tedesche dislocate fra Roma e Napoli. Prevenire la distruzione del porto [di Napoli] e del naviglio e tenere l’area portuale se possibile. (30)
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Come si vede erano forniti agli italiani istruzioni e dettagli ai quali attenersi tassativamente, compresi quelli riguardanti le modalità e gli orari che dovevano essere rispettati nel pomeriggio di un non specificato giorno X, per le proclamazioni dell’armistizio da parte del maresciallo Badoglio e del generale Eisenhower.
Il fatto che gli anglo-americani richiedessero alle Forze Armate italiane di mantenere il possesso "dei porti chiave" dell’Italia meridionale e dell’impoirtante aeroporto di Foggia, e di bloccare i rinforzi tedeschi diretti "nel Sud" della penisola, erano indizi inequivocabili che mostravano chiaramente quali fossero gli obiettivi da raggiungere. Le operazioni di sbarco degli Alleati si sarebbero svolte nelle regioni della Puglia e della Campania, e quindi a sud di Roma, perché altrimenti sarebbero stati inclusi nel promemoria di Alexander anche i porti più settentrionali di Civitavecchia, Livorno e La Spezia, come più volte aveva sollecitato il generale Castellano su esplicite richieste del maresciallo Badoglio e del Comando Supremo. Con le loro insistenze, i due maggiori responsabili dell’8 settembre intendevano costringere gli Alleati a variare la loro strategia, anche se ciò comportava, senza che essi forse se ne rendessero conto, di entrare in aperto contrasto con gli anglo-americani che dopo la firma di Cassibile non intendevano più affrontare discussioni su qualsiasi argomento già trattato ed approvato.
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Non si sarebbero fatte attendere le conseguenze di questo comportamento insistente ed anche ambiguo che, per guadagnare tempo, allo scopo di rinforzare le difese di Roma, ma anche per ottenere dagli Alleati condizioni di pace più favorevoli di quelle già fissate a Cassibile, portò, come vedremo, il maresciallo Badoglio, consigliato dal generale Carboni, a rifiutare, con varie scuse, l’arrivo negli aeroporti della capitale della 82^ Divisione Aviotrasportata statunitense. Questa grande unità, sostenuta anche da cento cannoni anticarro e da sedici carri armati da far arrivare con quattro unità navali da sbarco alla foce del Tevere, e con cento velivoli da caccia (Spitfire britannici e P.40 del 33° Gruppo statunitense) destinati ad installarsi a Ciampino, avrebbe incrementato notevolmente e con successo le possibilità di difesa della capitale italiana; anche perché gli Alleati, se costretti, avrebbero fatto di tutto per sostenere e proteggere i loro uomini nel modo più adeguato.
Infatti, era previsto, come richiesto dal generale Castellano, di bombardare pesantemente gli elementi della 3^ Panzergrenadier che, almeno sulla carta, era ritenuta l’unità tedesca più pericolosa per la difesa della Capitale italiana. Ma, visto come andarono i fatti, evidentemente a Roma le assicurazioni d’impegno degli Alleati non erano state ben comprese, ed ancora oggi ci sono degli storici, evidentemente malinformati, che hanno considerato la "Giant Two" un inganno degli statunitensi, un‘operazione che non sarebbe mai stata realizzata, e questo nonostante vi siano negli archivi storici piani ed ordini impartiti consultabili da tutti. (31)
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Al rifiuto di Badoglio, come descriveremo, sarebbe seguita, in modo precipitoso, la fuga del Re e dei Capi Militari dalla Capitale, forse concordata con il feldmaresciallo Albert Kesselring. Questi, infatti, era particolarmente interessato ad avere libertà di manovra nella zona di Roma dove convergevano le strade e le ferrovie necessarie per fare affluire i rinforzi nella zona di Salerno e alle divisioni della sua 10^ Armata. Un insuccesso nella zona della Capitale italiana avrebbe messo in crisi l’intero fronte meridionale tedesco, e tagliate al Gruppo di Armate C di Kesselring, la maggior parte delle vie della ritirata nell’Italia centrale, soprattutto lungo la dorsale tirrenica.
Dalla fuga del Re ne sarebbe conseguito il dissolvimento delle capacità di reazione delle Forze Armate italiane, al momento in cui scattò, nella notte sul 9 settembre, la reazione tedesca, che fu rapida, efficiente ed implacabile non soltanto a Roma e nei territori della penisola italiana, ma anche nei territori oltremare, come quelli dell’Albania, della Iugoslavia, della Grecia e dell’Egeo.
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Comunque, occorre dire che per ottemperare alle direttive essenziali assegnate dal documento di Alexander alle Forze Armate italiane, necessitava che esse contenessero un deciso atteggiamento offensivo contro i tedeschi, da attuare immediatamente dopo l’annuncio dell’armistizio che se fosse stato adottato avrebbe potuto cambiare il tragico corso degli eventi dell’8 settembre. Ma, per portare a compimento una simile impresa, difficilissima stanti le condizioni morali e materiali delle Regie Forze Armate, sarebbe stato necessario che gli ordini fossero stati adeguati e tempestivamente diramati, ma soprattutto che comandanti i delle grandi unità a cui erano diretti si dimostrassero all’altezza della situazione. E ciò purtroppo non avvenne, se non in rare eccezioni.
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Ma, furono i comandi centrali, in particolare il Comando Supremo, che più mancarono. Lo ha chiaramente spiegato il generale Ettore Musco, che ha scritto: "il pensiero operativo dell’Alto Comando è stato condizionato, sovente dominato, da tre fattori; il timore di un colpo di mano germanico che è andato tramutandosi in uno stato ansioso dell’aggressione; l’ossessiva conservazione del segreto; le incertezze, prima, e il travaglio dopo, per le trattative armistiziali". (32)
Deleterio fu certamente il fattore della difesa ad oltranza del segreto. Il generale Ambrosio, non potendo fare tutto da solo nel campo operativo, si limitò a mantenere i contatti con Castellano e con Giacomo Carboni, il più giovane generale di Corpo d’Armata dell’Esercito italiano che, oltre ad essere il Comandante del Corpo motocorazzato per la difesa di Roma, incarico assegnatogli per il suo "carattere energico", era anche Capo del Servizio Informazioni Militari (S.I.M.).
Soltanto dopo il 3 settembre, ad avvenuta firma dell’armistizio, Ambrosio si decise a mettere al corrente della situazione il generale Francesco Rossi, Sottocapo di Stato Maggiore Generale. Questi era rimasto all’oscuro di tutta la faccenda, assieme al generale Silvio Rossi, Capo dell’Ufficio Operazioni del Comando Supremo, "nei cui riguardi", come ha scritto il generale Filippo Stefani, Ambrosio "probabilmente non doveva avere assoluta fiducia". (33)
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In queste condizioni la compilazione e la diramazione degli ordini non poteva essere che tardiva; e ciò avvenne verso mezzogiorno del 6 settembre, quando il Comando Supremo, dopo un lavoro immane avendo dovuto tradurre ed adeguare ai piani italiani le norme contenute nei documenti militari degli Alleati inviati in volo a a Roma da Castellano tramite il maggiore Luigi Marchesi. Questo ufficiale del Comando Supremo che, assieme al maggiore dell’Aeronautica Giovanni Vassallo pilota personale del generale Sandalli, aveva partecipato con Castellano alle ultime discussioni che si svolsero a Cassibile e alla stesura dei piani per l’aviosbarco a Roma dell’82^ Divisione, fece pervenire ai tre Capi di Stato Maggiore delle Forze Armate il "Promemoria n. 1", che conteneva le norme a cui l’Esercito, l’Aeronautica e la Marina dovevano adottare contro i tedeschi. Fu anche compilato il "Promemoria n. 2" che invece, diramato nella giornata del 7 settembre per dare la precedenza alla compilazione del "Promemoria n. 1", era destinato ai Comandi italiani d’Oltremare: Francia, Iugoslavia, Grecia, Egeo, ecc.
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Per quanto riguardava il comportamento che doveva tenere la Marina nel "Promemoria n. 1" si specificava di adottare, con il sostegno dei Comandi dei Corpi d’Armata dell’Esercito, le seguenti misure: impedire la cattura delle navi italiane, da guerra e mercantili che, se impossibilitate a partire dovevano essere auto-affondate; i reparti della Marina germanica dislocati nella varie basi catturati o messi in condizione di non nuocere; impedire che i tedeschi potessero impossessarsi di impianti logistici, arsenali, bacini di carenaggio, inutilizzandoli per lungo tempo; ma soprattutto, due erano i punti importanti, d) e e), in cui si riportava: (34)
d) Unità da guerra italiane: debbono uscire al più presto in mare tutte quelle comunque in condizioni di navigare, per raggiungere i porti della Sardegna, della Corsica, dell’Elba, oppure di Selenico e Cattaro; tutte le unità non in condizioni di muovere, oppure che in uno dei porti di rifugio di cui sopra verranno a trovarsi in condizione di cadere in mano germanica, dovranno essere auto-affondate.
e) Naviglio mercantile italiano: armato ed in condizione di muovere dovrà al più presto partire per raggiungere porti italiani, dalmati o albanesi a sud del parallelo di Ancona; in Tirreno, a sud di Livorno.
Le navi non armate o non in condizioni di muovere dovranno, mediante sabotaggio, essere inutilizzate per lungo tempo.
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A questo punto, occorre fare una parentesi, per conoscere i motivi per i quali il trasferimento delle navi della Regia Marina nei porti Alleati fosse, giustamente, contrastato dagli italiani.
Durante le conversazioni di Cassibile del 31 agosto 1943, il generale Castellano, aveva portato all’attenzione del generale Bedell-Smith la "questione della flotta italiana"; argomento già affrontato in modo insoddisfacente nelle discussioni di Lisbona, e che per il Governo, il Sovrano e i Capi Militari rappresentava, come moneta di scambio, l’unica carta da giocare per ottenere condizioni di pace più favorevoli. Castellano chiese "se gli Alleati sarebbero contrari che la flotta venisse concentrata alla Maddalena", come gli era stato raccomandato dal maresciallo Badoglio, consegnandoli un appunto in cui era sottolineato: "La flotta va alla Maddalena". (35) Bedell-Smith ripeté a Castellano "che per varie ragioni ciò non era accettabile e che le disposizioni per la flotta italiana erano una questione di "alta politica" a seconda delle condizioni d’armistizio". (36)
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In effetti, gli Alleati, agendo sulla base della resa incondizionata stabilita nel gennaio 1943 nel convegno di Casablanca tendevano, a mettere le mani su tutte le navi italiane che fossero riuscite a sottrarsi alla cattura dei tedeschi, anche per usarle per le loro esigenze di guerra.
Al riguardo, il 26 luglio, all’indomani della caduta di Mussolini e del regime fascista, il Primo Ministro britannico Winstonn Churchill, scrivendo al Presidente statunitense, aveva specificato: "la resa immediata agli alleati della flotta italiana, o almeno la sua effettiva smobilitazione o paralisi … libererà notevoli forze navali britanniche per operare nell’Oceano Indiano … contro il Giappone. La risposta di Roosevelt del 30 luglio, fu che occorreva assicurare "l’immediata capitolazione della flotta italiana agli Alleati o almeno la sua effettiva smobilitazione ed il disarmo, in qualunque misura riteniamo necessaria e utile". (37)
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E fu su questo punto fermo delle concordi vedute dei due statisti e delle condizioni della "Resa incondizionata" da imporre all’Italia, che il generale Eisenhower fu autorizzato a redigere il "Testo di Armistizio", in cui, nei riguardi della flotta veniva fissato: "Il Governo italiano, al momento dell’armistizio, deve ordinare che la flotta italiana ed il maggior numero possibile di navi mercantili salpino per i porti alleati". (38)
Questi inflessibili desideri furono portati da Castellano alla conoscenza di Badoglio, di Ambrosio e di Vittorio Emanuele, quando il generale rientrò a Roma il 1° settembre per riferire sui colloqui intavolati a Cassibile con i rappresentanti degli anglo-americani. Castellano, ritornato in Sicilia il 2 settembre per il viaggio che poi avrebbe portato l’indomani alla firma dell’armistizio, essendo stato ancora sollecitato dal Capo del Governo e dal generale Ambrosio a fare nuovi tentativi affinché le navi si recassero alla Maddalena o in alternativa almeno a Palermo o a Cagliari, si senti nuovamente rispondere da Bedell-Smith che ciò non era possibile, anche perché, evidentemente, sull’argomento il Capo di Stato Maggiore del Comandante in Capo Alleato non era stato autorizzato a fare alcuna concessione.
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Ma poi Castellano capì che non vi era più nulla da fare quando, nel corso della conferenza presieduta dal generale Alexander che seguì alla firma dell’atto di resa, il commodoro Dick gli fece conoscere nel dettaglio il capestro delle " richieste navali" che dovevano essere ottemperate dall’Italia al momento della proclamazione dell’armistizio. Vi era stabilito che la flotta dell’alto Tirreno doveva andare al largo di Bona, e quella dello Ionio doveva recarsi a Malta; e ciò in base ad "ordini… tassativi che venivano direttamente da Londra". (39)
Su questa imposizione, Castellano ha riferito nel suo libro Come firmai l’armistizio di Cassibile: (40) "Ancora una volta chiesi l’assicurazione che le navi non sarebbero state disarmate, e che cioè la nostra flotta non avrebbe ammainata la bandiera italiana, ripetendo che in caso contrario le navi non sarebbero giunte a Malta. Dick mi assicurò al riguardo nel modo più categorico; ed uguale assicurazione mi dette per le navi mercantili."
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Parte Quarta
La missione della corvetta Ibis, la conoscenza della firma dell’armistizio da parte dell’ammiraglio de Courten e le ipotesi che si facevano a Roma sulla data della sua entrata in vigore
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Che l’ammiraglio de Courten fosse in qualche modo al corrente di trattative segrete italiane per trattare la pace, ed anche delle discussioni in corso per evitare la consegna della flotta agli alleati, si desume chiaramente da quanto ha scritto l’ammiraglio Maugeri. Questi, infatti, che alla fine di agosto del 1943 aveva preso contatti con gli anglo-americani tramite un proprio agente inviato a Lisbona, il capitano commissario Mario Vespa, ha sostenuto nel suo libro Ricordi di un marinaio di aver espresso il 3 settembre (giorno della firma dell’armistizio) alcune preoccupazioni personali a de Courten, prendendosi un severo rimprovero dal Ministro della Marina, che gli disse: (41) "Sei andato troppo oltre. Se le cose vanno male quelli di Palazzo Chigi diranno che la colpa è della Marina. Le istruzioni che ho sino a questo momento sono che la Marina si deve opporre con tutte le sue forze ad un eventuale sbarco sulla penisola. Lascia al Ministero degli Esteri di occuparsi di tutta la faccenda."
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Come si vede, de Courten applicava allora la politica dello struzzo, in attesa che gli eventi, di cui era certamente al corrente, maturassero negli ambienti del potere politico.
Infatti, avendo la Commissione d’Inchiesta chiesto al generale Ambrosio se corrispondeva a verità il fatto che l’ammiraglio de Courten era stato messo al corrente delle trattative di armistizio soltanto "all’ultimo momento", l’ex Capo di Stato Maggiore Generale affermò, testualmente: (42) "Il Capo di Stato Maggiore della Marina era in pari tempo ministro e, come tale sicuramente ha appreso, in qualche consiglio dei Ministri degli approcci in corso presso gli anglo-americani. Ma, indipendentemente da ciò, il Capo di Stato Maggiore della Marina seppe della questione nei rapporti serali verso la fine di agosto, e poi nella riunione presso il Capo del Governo del 3 settembre mattina."
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Naturalmente, dal momento che l’armistizio fu firmato da Castellano soltanto nel pomeriggio di quel giorno 3, il maresciallo Badoglio non poteva dire allora che l’armistizio era stato siglato, ma soltanto che vi era una bozza di accordo che stava per entrare in vigore con gli alleati; fatto quest’ultimo confermato, ad ogni scanso di equivoci, dallo stesso de Courten nelle sue Note compilate a Brindisi il 10-IX-1943 sugli appunti dal 3 all’8 IX :
Il Ministro della Marina, riferendosi alla riunione tenutasi il 3 settembre nell’ufficio del maresciallo Badoglio al palazzo del Viminale, in quell’annotazione, scritta di suo pugno, ha riportato: (43) "3 p.m. Comunicazione segreta Badoglio a Sorice, Sandalli e me presenti Ambrosio e Acquarone che S.M. il Re ha deciso di chiedere l’armistizio: pourparler in corso a Palermo [sic] gli a.a. [anglo-americani] effettueranno piccoli sbarchi in Calabria, poi grosso sbarco vicino a Napoli (6 divisioni), poi Div. Paracadutisti vicino a Roma, dove nel frattempo saranno concentrate, pronte, oltre 6 divisioni di Carboni anche divisioni della IV Armata."
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E possibile che i capi militari fossero stati ufficialmente informati della firma dell’armistizio soltanto il 5 settembre, quando furono chiamati al Comando Supremo dal generale Ambrosio, che consegnò loro i documenti ai quali dovevano adeguare le loro misure operative.
Quanto alle divisioni della 4^ Armata si trattava di due unità che erano state ritirate dalla Francia, e che si trovavano in quel momento in movimento dal Piemonte e dalla Liguria verso sud per raggiungere Roma. Era sull’arrivo di queste due divisioni che i capi militari chiedevano agli Alleati di ritardare di almeno quattro giorni la dichiarazione dell’armistizio, per permettere di rinforzare la difesa della capitale, in modo da fronteggiare in modo più adeguato la prevedibile reazione delle due delle tre divisioni tedesche che, messe alle dipendenze dell’XI Fliegerkorps (generale Kurt Student), si trovavano nel Lazio: la 2^ paracadutisti che, dislocata a sud di Roma, a Pratica di Mare, doveva anche difendere oltre a quell’importante aeroporto anche i Comandi del feldmaresciallo Albert Kesselring (O.B.S.) e della 2^ Luftflotte, entrambi a Frascati; e la 3^ Granatieri corazzati (Panzergrenadier) concentrata a nord di Roma, nella zona del Lago di Bracciano. La terza divisione, la 15^ Panzer, proteggeva la zona tra Gaeta e il fiume Volturno.
Quest’ultima unità, dovendo affluire rapidamente nella zona di sbarco di Salerno, dove era dislocata la 16^ Panzerdivision, a differenza di quanto temeva il Comando Supremo con il promemoria inviato il 7 settembre a Castellano, e in cui si chiedeva agli Alleati di spingere la zona di sbarco il più possibile vicino a Roma, difficilmente avrebbe potuto partecipare ai combattimenti che si sarebbero svolti intorno alla Capitale. La richiesta italiana, per una maggiore efficienza nella difesa di Roma, non era da scartare, ma nello stesso tempo era troppo tardi per accettarla, dal momento che gli Alleati gia da tre giorni avevano in mare i loro grossi convogli d’invasione, fortemente scortati e diretti alle spiagge di Salerno.
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Il generale Castellano, per quanti sforzi avesse fatto, durante le discussioni che portarono alla firma della resa dell’Italia, non riuscì ad ottenere quanto gli era stato raccomandato dal generale Ambrosio e dal Ministro degli Esteri Guariglia, ossia "lo sfasamento tra lo sbarco principale e degli alleati e la dichiarazione di armistizio". ll generale Eisenhower, infatti, pur rendendosi conto che la dilazione di qualche giorno chiesta da Castellano sarebbe convenuta anche agli Alleati, non fidandosi degli italiani, temendo che avrebbero potuto fare il doppio gioco, e quindi continuare a combattere con i tedeschi, si ripromise di non svelare le proprie intenzioni. Pertanto, fece condurre i negoziati con Castellano da suo abile collaboratore Bedell-Smith, in modo da poter ottenere dagli italiani il massimo dell’aiuto possibile "durante lo sbarco o immediatamente dopo". (44)
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Come riferì a Londra l’ambasciatore britannico a Lisbona, Ronald Campbell, nelle trattative dell’armistizio il generale Bedell-Smith seppe manipolare in modo così "magistrale" il generale Castellano, considerato la volpe del Comando Supremo, da fargli credere che gli Alleati disponevano di divisioni e mezzi da sbarco molto superiori a quelli reali. (45) Castellano, infatti, ha riferito che nei colloqui del 31 agosto a Cassibile, esponendo il pensiero del Governo italiano, e facendo presente che i tedeschi avevano in Italia ormai diciannove divisioni che si andavano di giorno in giorno rinforzando, insistette con Bedell-Smith "sulla necessità che lo sbarco avvenisse a nord di Roma, per proteggere così la Capitale, e che esso fosse effettuato prima dell’armistizio". (46)
A questa proposta a scritto il generale Zanussi, che era presente, "parve che una doccia gelata cadesse sugli astanti (47). La reazione del generale Bedell-Smith, forse anche infastidito dal fatto che Castellano stava volutamente aumentando a dismisura le difficoltà italiane evidentemente anche per guadagnare tempo, fu brusca e decisa. Lo stesso Castellano là descritto la reazione dell’ufficiale statunitense come segue: (48) "Il Generale Smith mi rispose che non si poteva cambiare di un pollice quanto mi era stato comunicato a Lisbona e che al Governo Italiano non restavano che due vie; o accettare integralmente le condizioni di armistizio e le relative modalità o non accettarle.."
Soggiunse che gli Alleati sarebbero sbarcati inizialmente nella penisola con 3 o 4 divisioni per attrarre verso il punto dello sbarco una aliquota delle forze tedesche. Dopo qualche giorno avrebbero effettuato lo sbarco principale in altre località con circa 15 divisioni, il che, nel complesso, calcolando cioè quelle dello sbarco secondario, oltrepassava il numero richiesto dal Maresciallo Badoglio
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La sera dello sbarco principale, e precisamente sei ore prima, il Generale Eisenhower avrebbe annunciato alla radio la nostra richiesta di armistizio e contemporaneamente il Capo del Governo italiano avrebbe dovuto fare analoga dichiarazione.
Sulla pretesa italiana di dichiarare l’armistizio soltanto a sbarco avvenuto di quindici divisioni, occorre fare una precisazione, riferendoci a quanto scritto nel Verbale dell’incontro di Cassibile del 31 agosto 1943, che contrasta alquanto con quanto sostenuto da Castellano.
Rispondendo ad una domanda del Governo italiano, letta da Castellano, il generale Bedell-Smith dichiarò "che gli alleati avevano le forze necessarie per l’invasione dell’Italia ma che queste sarebbero più efficaci se le forze armate italiane le assistessero." Castellano, dopo aver ripetuto la litania che le truppe italiane erano deboli e che lo sbarco degli Alleati doveva avvenire prima della dichiarazione dell’armistizio, si disse propenso a "presumere che 15 divisioni alleate sarebbero sbarcate: la maggior parte fra Spezia e Civitavecchia", e se occorreva, "nel momento in cui le truppe alleate sarebbero sbarcate sul territorio italiano", che il Regio Esercito dovesse "far finta di opporsi".
Bedell-Smith, dimostrando chiaramente che quelle quindici divisioni supposte da Castellano non esistevano, aveva risposto: "Non ci sarebbe stato bisogno di una dichiarazione di armistizio una volta che gli alleati riuscissero ad avere una testa di ponte di 15 divisioni". (49)
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La conferma di queste affermazioni del generale statunitense, la troviamo anche in Zanussi, che scrisse: "Alle proposte di Badoglio, sbarco 15 divisioni … Smith osservò ironicamente che se avessimo potuto disporre di tante divisioni, avrebbe senz’altro fatto a meno dell’apporto di forze italiane". (50)
Bedell-Smith, inoltre, sostenne che l’opinione pubblica degli Alleati non avrebbe accettato che vi fossero state delle vittime causate da un’eventuale reazione dei soldati italiani. Deponendo poi alla Commissione d’Inchiesta, Castellano ammise che nell’incontro del 31 agosto 1943 il generale Smith affermò che gli Alleati "avevano un piano operativo che non potevano cambiare da un momento all’altro"; ed aggiunse che "uno sbarco di secondaria importanza sarebbe stato effettuato in Calabria per attirare le forze tedesche e che uno sbarco principale sarebbe stato effettuato altrove. Quindi confermò "che la dichiarazione dell’armistizio sarebbe coincisa con lo sbarco principale", che doveva avvenire "più a nord possibile per quanto consentito dalla necessità di avere la protezione della caccia". (51)
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Bedell-Smith aggiunse anche, quale monito diretto agli italiani: "L’invasione dell’Italia avrà luogo e non fallirà, in quanto ché é prevista tenendo conto sia della resistenza tedesca che di quella italiana". E aggiunse che per gli Alleati l’ obiettivo è la Valle del Po, non i Balcani. "Quando potremo avere basi aeree da cui bombardare la Germania meridionale e orientale, la Germania sarà finita". In conclusione, in caso di conclusione favorevole delle condizioni d’armistizio, sarebbero stati realizzati: "sbarchi secondari (5 o 6 divisioni) con opposizione italiana. Dopo un breve periodo di tempo (una o due settimane?): sbarco principale in forze, a sud di Roma; azione delle divisione paracadutisti vicino a Roma e contemporaneamente annuncio dell’armistizio". (52)
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Il Capo di Stato Maggiore di Eisenhower fu ancora più chiaro il 3 settembre, subito dopo la firma dell’armistizio, quando confidenzialmente riferì a Castellano, che "uno sbarco di secondaria importanza avrebbe avuto luogo nel Golfo di S. Eufemia e a Taranto", per poi essere seguito dallo sbarco principale, "da effettuarsi con circa 9 divisioni". (53) Ancora una volta però Bedell-Smith non diceva del tutto la verità, poiché le divisioni che avrebbero dovuto realizzare lo sbarco principale, a Salerno, erano soltanto quattro.
Nell’esposizione fatta a Badoglio e ad Ambrosio al rientro a Roma da Cassibile il 1° settembre, Castellano, non sospettando di essere stato raggirato sul numero delle quindici divisioni da impegnare in operazioni anfibie, dimostrò di non aver ben compreso il vero significato di quanto sostenuto da Bedell-Smith, e le sue parole servirono soltanto ad alimentare la confusione sul vero obiettivo degli Alleati. Bedell-Smith, infatti, oltre a ribadire che lo sbarco principale e la resa italiana dovevano avvenire contemporaneamente, affermando come era logico, che la zona dell’invasione doveva rientrare nel raggio d’azione dei velivoli da caccia dislocati in Sicilia, portava praticamente a conoscenza che si sarebbe verificato un solo sbarco a sud di Roma.
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Invece, avendo Castellano specificato che l’obiettivo degli anglo-americani era quello di raggiungere rapidamente la Valle del Po, Badoglio ed Ambrosio arrivarono a concludere che il secondo ipotetico sbarco con quindici divisioni, si sarebbe verificato molto più a nord di Roma, possibilmente a nord di Livorno o nella zona adriatica di Pesaro, come entrambi avevano suggerito a Castellano di riferire agli Alleati.
Da qui l’illusione che quello sarebbe stato, a breve scadenza, il secondo obiettivo degli anglo-americani. Raggiungere la Valle del Po partendo dal sud Italia avrebbe infatti significato di risalire la penisola, combattendo in territorio difficile, particolarmente montuoso, boscoso, pieno di forre e di avvallamenti, e percorso da numerosi fiumi e corsi d’acqua, prima di arrivare alla catena degli Appennini settentrionali in cui si riteneva che i tedeschi avrebbero fatto il massimo della resistenza.
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La presunzione del maresciallo Badoglio che gli Alleati potessero realizzare uno sbarco con quindici divisioni nella zona di Livorno, per prendere alle spalle i tedeschi ed accorciare la campagna d’Italia, era concettualmente corretta ma in quel momento fuori della realtà. Soltanto otto divisioni degli Alleati erano disponibili per le operazioni di sbarco - e di queste due erano aviotrasportate - sulle quindici divisioni esistenti tra la Sicilia e il Nord Africa, e la zona di Livorno si trovava a circa 450 miglia al di fuori del raggio d’azione dei velivoli da caccia destinati alla scorta delle navi. E questa presunzione ha scritto lo storico britannico Sheppard era una dimostrazione "evidente che il maresciallo non era al corrente della tecnica delle operazioni anfibie e non lo erano neppure i tedeschi che temevano sbarchi vicino a Roma e a La Spezia". (54)
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Questa osservazione di Shepperd sui tedeschi non è del tutto esatta, in quanto il feldmaresciallo Kesselring, da buon tecnico dell’aviazione, aveva compreso che il Golfo di Salerno sarebbe stata la pù probabile località di sbarco prescelta dagli Alleati per l’invasione dell’Italia. Inoltre, egli era troppo scaltro per non rendersi conto che gli italiani si stavano preparando ad un voltafaccia, e aveva pronto un piano da mettere in attuazione al primo sintomo di defezione dell’alleato.
Concludendo, era pertanto chiaro che dopo lo sbarco a Reggio Calabria del giorno 3 settembre, la nuova operazione avrebbe potuto rappresentare soltanto lo sbarco principale preannunciato da Bedell-Smith, quello di Salerno, e quindi del giorno dell’armistizio, mentre nessun impegno era preso dagli Alleati per estendere l’azione anfibia più a nord, come desideravano gli italiani.
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Pertanto, conoscendo il testo del verbale del 31 agosto, non si riesce bene a capire come ancora alla data dell’8 settembre nel Governo e nelle alte sfere delle Forze Armate italiane, soprattutto al Comando Supremo e allo Stato Maggiore dell’Esercito, esistesse la presunzione che, dopo lo sbarco di Salerno, gli alleati avrebbero potuto sbarcare più a nord con altre quindici divisioni. Era quello, invece, il numero massimo di divisioni che gli Alleati avevano disponibili tra la Sicilia e il nord Africa, delle quali ne poterono impiegare nelle operazioni anfibie, attuate tra il 3 e il 9 settembre, soltanto sette: due a Reggio Calabria (operazione Baytown), quattro a Salerno (operazione Avalanche), e una a Taranto (operazione Slapstik). Ad esse si aggiungeva la 82^ Divisione aviotrasportata, inizialmente destinata a Roma, e poi inviata anch’essa a sostenere l’area di sbarco di Salerno.
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Al momento della firma dell’atto di resa, pur conoscendo le molte lacune delle Regie Forze Armate, gli Alleati, basandosi su quanto aveva detto loro Castellano, avevano fatto grande affidamento sull’aiuto che le divisioni italiane avrebbero fornito al momento dello sbarco a Salerno avendone però, all’atto pratico, una grandissima delusione. (55) Ciò avrebbe avuto gravi conseguenze, perché dopo che il 28 settembre 1943 fu firmata a Malta, sulla corazzata britannica Nelson, l’atto di resa conclusivo - lungo armistizio - tra Badoglio e Eisenhower, le Forze Armate italiane restarono praticamente emarginate, ed anche private dei mezzi necessari, ceduti in gran parte ai francesi, per poter continuare le operazioni contro i tedeschi che si svolgevano nella penisola.
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I movimenti delle unità navali dirette a Salerno, che avevano i loro principali porti d’imbarco delle truppe nei porti del Nord Africa francese, a Tripoli e a Malta, erano stati percepiti fin dal 5 settembre dagli aerei tedeschi. Pertanto, il Comitato della Ricognizione Strategica - costituito il 5 giugno 1943 per coordinare tutto il vasto complesso servizio della ricognizione aerea e navale, si trovava ubicato presso lo Stato Maggiore della Marina ed includeva qualificati ufficiali dell’aviazione italiana e tedesca dell’O.B.S. - già la sera del 5 settembre, anche considerando l’avvenuta partenza di tutte le portaerei che si trovavano a Gibilterra, arrivò al convincimento che una seconda operazione di sbarco, dopo quella avvenuta a Reggio Calabria, poteva verificarsi "a partire anche dalle prossime 48 ore".
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Poi, la sera del 6 settembre il Comitato fu in grado di fornire la sottostante valutazione, diramata, con numero di protocollo 12931 di Supermarina, a firma dell’ammiraglio de Courten: (56)
"Il convoglio di LST avvistato alle 1700 di ieri al largo di Arzew con rotta Est potrebbe segnalare l’inizio della prevista operazione principale. Tale convoglio potrebbe giungere sulle coste Sarde o Corse nella notte sull’8 e nelle coste Campane nella notte sul nove. Durante la giornata di domani e specialmente nelle ore pomeridiane le ricognizioni preordinate dovrebbero, se l’ipotesi è esatta, segnalare i movimenti di altri convogli di mezzi da sbarco."
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Su questa valutazione, che indicava lo sviluppo della situazione navale nemica che si andava chiaramente evolvendo con l’attesa "operazione principale" degli Alleati, riferita dal generale Castellano e che aveva per obiettivo il Golfo di Salerno, il Ministro della Marina, cominciò a impartire ordini di estrema urgenza, però mascherati, soprattutto nei confronti dei tedeschi, come intervento navale per contrastare gli sbarchi. Egli riportò nella sua relazione quanto segue: (57)
"La sera del 6 settembre, dati i sintomi sempre più evidenti di un’imminente azione offensiva anglo-americana contro le coste dell’Italia meridionale (forse anche ioniche, ma certamente tirreniche), in armonia con le direttive impartite dal Comando Supremo e confermate molto recentemente in riunioni dei Capi di S.M. tenute colla partecipazione da parte tedesca a Palazzo Vidoni (sede degli Uffici del Comando Supremo), venne ordinata la dislocazione di 22 sommergibili lungo le probabili rotte di avvicinamento dei convogli anglo-americani e davanti alle presunte zone di sbarco, e vennero messe in stato di allarme le flottiglie di MAS. Le disposizioni per le forze navali e per le forze aeree di protezione e di copertura erano già state emanate con appositi ordini di operazione."
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Inoltre, per l’avvistamento di altri convogli e di tre navi portaerei localizzate dai ricognitori tedeschi il mattino del 5 settembre presso Orano con rotta est, il S.I.M., con il suo Bollettino Giornaliero n. 99 portato il mattino del 7 alla visione del maresciallo Badoglio e dei Capi e Sottocapi di Stato Maggiore delle Forze Armate, aggiungeva: (58)
"La presenza accertata tra il giorno 4 e il giorno 5 del rilevante numero di formazioni e convogli lungo le coste del Nord Africa Francese, coincidente con l’avvistamento delle navi portaerei, fanno ritenere prossima un’altra azione offensiva del nemico a maggior raggio e più importante di quella in atto in Calabria."
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Questa eventualità apparve sicura il mattino del 7 settembre, quando la ricognizione aerea tedesca avvistò a nord di Palermo un convoglio di settanta - ottanta mezzi da sbarco con rotta levante, scortati da unità da guerra, ed un convoglio veloce nella zona di Bengasi con rotta ponente. Quindi, alle ore 13.00, fu individuato e segnalato un convoglio costituito da cinquantaquattro unità (35 navi da trasporto, 6 cisterne, 9 vedette e 4 mezzi da sbarco), seguite da altre sette navi da sbarco per carri armati LST. Collegando l’avvistamento dei mezzi da sbarco a nord di Palermo con i movimenti navali individuati nella giornata del 6 settembre, era ormai chiaro che si trattava dei convogli d’invasione, di cui si fece interprete il generale Roatta scrivendo nella sua Memoria per la difesa di Roma di essersi recato quel pomeriggio da Ambrosio riportandogli che, secondo lui, lo sbarco degli Alleati doveva essere stato anticipato dalla data del 12 settembre, perché i convogli avvistati non potevano restare "tanti giorni in mare". (59)
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Il Capo di Stato Maggiore Generale, come risulta dalla sua relazione, espresse parere contrario, e rispose a Roatta, che l’arrivo della divisione paracadutisti statunitense si sarebbe verificato "a scaglioni in tre o quattro notti"; ragion per cui "la dichiarazione dell’armistizio si sarebbe effettuata intorno al 12, in quanto anche gli anglo-americani, non potevano aver mandato il giorno 5, un ordine senza darci il tempo indispensabile per la sua esecuzione, per la quale essi pure dovevano giudicare necessari vari giorni". (60)
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Tuttavia queste dichiarazioni di Ambrosio sembrano smentite dal fatto che, alle 12.40 del 7 settembre, il Comando Supremo trasmise per telescrivente, a Superesercito, Supermarina, Superaereo e all’O.B.S., la seguente significativa direttiva: (61)
"N. 42451/Op. Presenza stamani grosso convoglio a Nord di Palermo ed intenso movimento di piroscafi mezzi da sbarco et unità da guerra fanno ritenere imminente sbarco in Italia Centro Meridionale. Siano prese conseguenti misure. Generale AMBROSIO - 12400709."
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A Roma, non mancavano gli indizi di un’operazione di sbarco imminente, ma vi fu anche una certa confusione. Il generale Castellano riferì alla Commissione d’Inchiesta per la mancata difesa di Roma, che il mattino del 3 settembre, dopo un colloquio con il generale Bedell-Smith, aveva telegrafato a Roma avvertendo: "operazioni militari di sbarco contro la penisola avranno inizio molto presto". (62)
Tuttavia, questa segnalazione era in aperto contrasto con quanto lo stesso Castellano scrisse poi ad Ambrosio, ipotizzando l’entrata in vigore delll’armistizio per il giorno 12. E questa era la data a cui da parte del Capo di Stato Maggiore Generale, forse ingenuamente, si continuò a dare fiducia.
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Parte Quinta
I promemoria del Ministro della Marina, compilati dopo la consegna del Promemoria Dick, e la riunione degli ammiragli del 7 settembre
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Sulla conoscenza dell’armistizio da parte dell’ammiraglio de Courten, e sulle sue proteste verificatesi dopo che, nella notte sul 6, ebbe consultato attentamente il Promemoria Dick, esiste anche una lettera dell’allora Sottocapo di Stato Maggiore, ammiraglio Luigi Sansonetti, spedita nel dopoguerra al Ministro della Difesa Emilio Taviani, e nella quale é riferito: (63) "Che si trattasse di un ’armistizio’ fu comunicato al Ministro e Capo di Stato Maggiore della Marina - sotto il vincolo del più assoluto segreto, anche verso di me, suo diretto collaboratore - soltanto il 3, quando invece l’armistizio era già stato firmato. Le clausole navali - le sole veramente importanti - gli furono comunicate solo il giorno 6. Perciò la mattina del 7 de Courten portò al Comando Supremo - e volle essere accompagnato da me per testimonianza - una vibrante protesta scritta per essere stata tenuta la Marina completamente all’oscuro di trattative che così direttamente la riguardavano."
In effetti, l’ammiraglio de Courten ha scritto nella sua relazione che la sera del 6 settembre gli era stato consegnato il Promemoria Dick, in lingua inglese, "nel quale erano dettagliatamente indicate le norme esecutive per la dislocazione della Flotta italiana in caso (sic) di armistizio", in località, per le grandi navi e i sommergibili, "quasi tutte dislocate sotto controllo britannico" (Malta, Palermo Augusta, Gibilterra, Tripoli). Era, invece, permesso al naviglio sottile e mercantile di rimanere in porti situati "a sud del parallelo di Civitavecchia e non sotto controllo tedesco". (64)
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In effetti, il Promemoria Dick era molto dettagliato, soprattutto riguardo alle rotte che le navi italiane di superficie, i sommergibili e i mercantili, avrebbero dovuto seguire. Occorreva, per le navi di superficie, di "salpare appena possibile, dopo il tramonto della proclamazione" dell’armistizio, " navigare alla più alta velocità sino al sorgere del giorno" ed arrivare a gruppi, evitando per quanto possibile l’arrivo isolato, nelle zone prestabilite difese dagli Alleati a giorno fatto, avvicinandosi alla costa ad una velocità non superiore ai dodici nodi. Erano poi fissate istruzioni in cui, sulle navi da guerra, a parte l’armamento contraereo, tutti i cannoni dell’armamento principale e i lanciasiluri "dovevano essere brandeggiati per chiglia"; e norme di riconoscimento che imponevano a tutte le navi da guerra, di alzare, durante il giorno, "all’albero di maestra un pennello nero o blu scuro, il più grande possibile" e di porre "in coperta grandi dischi neri come segnale di riconoscimento per gli aerei". I segnali di riconoscimento notturni prescrivevano di tenere "accesi i fanali di via con luce attenuata" e, in caso d’incontro con altre navi, per farsi riconoscere, di trasmettere "con il lampeggiatore il segnale G A".
Le stesse norme di riconoscimento del pennello nero e dei dischi neri, e sulla velocità d’avvicinamento alla costa, valevano per i piroscafi Quanto ai sommergibili, dirigendo verso i porti degli Alleati, dovevano "navigare in superficie sia di giorno che di notte". Per tutti doveva essere osservato nella misura maggiore il silenzio radio, e le trasmissioni, quando fosse stato indispensabile, si dovevano inizialmente svolgersi sui 500 kilocicli., salvo a passare a una maggiore frequenza, che sarebbe stata indicata, nel caso dovessero svolgersi trasmissioni piuttosto lunghe. (65)
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Ma vediamo adesso, perché ci interessano particolarmente per il dramma che vide protagonista le Forze Navali da Battaglia, quali rotte dovevano seguire le navi che si trovavano a muovere dalle coste occidentali dell’Italia: (66)
a) Tutte le navi da guerra trovatisi nelle coste occidentali dell’Italia a nord del 42° parallelo dovranno portarsi a nord della Corsica e far rotta quindi verso sud passando a ponente della Corsica e della Sardegna in modo da arrivare durante le ore diurne al largo del porto di Bona. Quindi avranno un incontro [con navi alleate] e riceveranno istruzioni per l’ulteriore rotta. Le navi - salvo disposizione contraria - non dovranno avvicinarsi al porto di Bona più di 5 miglia.
b) Le navi da guerra che si trovavano a sud del 42° parallelo dovevano risalire il Tirreno fino a raggiungere il Nord della Corsica, e quindi dirigere per Bona seguendo la medesima rotta indicata al punto a); le navi più piccole dovevano raggiungere La Maddalena passando ad oriente della Corsica, per poi dirigere, se possibile anch’esse per Bona. Quelle che si trovavano a sud del 42° parallelo, che erano impossibilitate a restare in porto, dovevano dirigere da Napoli o da nord di Napoli ad Augusta, seguendo la costa e passando per lo Stretto di Messsina.
c) Quanto alle navi da guerra principali che si trovavano a Taranto e sulla costa orientale dell’Italia, la loro destinazione era Malta, mentre le unità minori che dovevano raggiungere Augusta. Anche in questo caso la navigazione per Malta doveva svolgersi arrivandovi direttamente da levante durante le ore diurne. Le navi che si trovavano in Egeo dovevano invece andare ad Haifa. (67)
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In definitiva, ciò che veniva chiesto alla Regia Marina, con il Promemoria Dick, era un compito molto ingrato e fonte di gravi preoccupazioni, particolarmente di ordine morale e di prestigio, per l’ammiraglio de Courten
Il Ministro della Marina, letto il Promemoria Dick, protestò allora con il Capo di Stato Maggiore Generale, lamentando che alle discussioni sull’armistizio non avesse partecipato alcun rappresentante della Marina, dimenticando, forse, di aver detto all’ammiraglio Maugeri di non occuparsi della faccenda e di lasciarne la condotta al Ministero degli Esteri, e quindi al ministro Guariglia. In definitiva, dal momento che il generale Ambrosio confermò, alla Commissione d’Inchiesta per la mancata difesa di Roma, che l’ammiraglio de Courten seppe sicuramente delle discussioni dell’armistizio in un Consiglio dei Ministri della fine di agosto, dobbiamo osservare che egli stava allora adottando la politica dello struzzo.
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Il generale Ambrosio rispose a de Courten che il "Promemoria Dick… poteva considerarsi lettera morta, perché era stato richiesto agli anglo-americani che la Flotta potesse concentrarsi tutta a La Maddalena", e si poteva presumere "pertanto che non vi sarebbero state difficoltà nell’accoglimento di tale richiesta". (68)

Durante la notte sul 7-8 settembre, avendo esaminato ancora più attentamente il Promemoria Dick, il Ministro della Marina ritenne necessario compilare due promemoria per il Comando Supremo. Nel primo, insisteva sulla necessità che il grosso delle navi, dislocate alla Spezia e a Genova, fosse riunito alla Maddalena, e le altre unità minori in porti della Sardegna; e ipotizzò che in seguito tutte potessero essere concentrate nei vasti ancoraggi di Augusta e di Taranto. Sebbene il contenuto del Promemoria Dick fosse assai significativo, De Courten non dovette rendersi conto delle tassative imposizioni Alleate, anche perché non gli era stato fatto ancora vedere il documento dell’atto di resa (corto armistizio).
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Come se avesse letto il pensiero di Churchill, il Ministro della Marina arrivava addirittura a "rilevare che la Flotta italiana costituirebbe un apporto di enorme importanza per la guerra nel pacifico", soprattutto per l’impiego, con propri equipaggi, delle tre corazzate moderne tipo "Vittorio Veneto"; esse potevano risultare utilissime per gli alleati, che disponevano, secondo lui, soltanto di sei unità equiparabili "per grandezza, potenza e velocità". (69) Occorre dire che, scrivendo al Presidente statunitense, il Primo Ministro britannico aveva, effettivamente, auspicato l’impiego nel Pacifico delle corazzate italiane tipo "Vittorio Veneto", però con equipaggi Alleati, misura alla quale Roosevelt si dimostrò contrario. (70)
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A differenza di quanto contenuto nel primo promemoria, nel secondo l’ammiraglio de Courten, esponeva la sua protesta "per la mancata partecipazione della Marina alle trattative di armistizio" e "per l’estrema gravità delle condizioni previste". Ciò risultava chiaramente dal contenuto del Promemoria Dick, considerato "molto oscuro" e prestante "il fianco a molte critiche", in quanto, specificò il Ministro della Marina: "l’entità degli organi di controllo e delle misure di disarmo delle unità navali è lasciata al completo arbitrio delle autorità alleate, senza nessuna limitazione che salvaguardi la nostra dignità e soprattutto la sicurezza delle nostre navi. E concluse sostenendo: Nessun accenno al problema essenziale della bandiera. Reputo assolutamente necessario che delicate trattative di questo genere siano effettuate con l’assistenza di esperti navali, i quali siano in grado di tutelare le esigenze della Marina e di tenere conto delle peculiari necessità della forze navali, tanto più che la questione "Flotta", come già messo in rilievo, ha nelle presenti circostanze un’importanza assoluta predominante". (71)
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Questo secondo promemoria fa ben comprendere come l’ammiraglio de Courten riteneva che vi fosse ancora tempo di trattare con gli anglo-americani, sulla destinazione e sulla sorte delle navi; mentre invece, come chiaramente disse il generale Eisenhower al generale Castellano il mattino del 7 settembre, la questione era stata praticamente chiusa con la firma dell’armistizio di Cassibile, e nessuna concessione poteva più essere fatta alla Marina italiana.
Stranamente, i due promemoria compilati da de Courten non furono consegnati al generale Ambrosio quando, a mezzogiorno dell’8 settembre - essendo stato urgentemente richiamato a Roma perché era ormai certo, dopo l’arrivo del generale Taylor e di un telegramma spedito dal generale Castellano, che l’armistizio sarebbe stato annunciato dagli Alleati nel pomeriggio di quello stesso giorno - rientrò tranquillamente in treno da Torino giustificandosi di non aver trovato disponibile un aereo come mezzo più rapido di trasporto (sic). In tal modo, restando fuori sede dalla sera del 6 settembre al mattino dell’8, Ambrosio non ebbe modo di vedere il generale Taylor, ne cercò di parlargli nelle ore che seguirono.
Molti hanno ipotizzato che il Capo di Stato Maggiore Generale fosse partito proprio per non incontrare l’ufficiale statunitense, ma noi invece siamo propensi a credere che si tratto soltanto di una decisione infelice, presa in buona fede, anche per stare qualche ora con la famiglia, e con la errata convinzione che l’armistizio non sarebbe entrato in vigore prima del 12 settembre. A questo punto, dal momento che de Courten parlò con Ambrosio al suo rientro da Torino per discutere l’urgente trasferimento della flotta, non ci resta che pensare che i due promemoria siano stati compilati soltanto come pezzi di carta da tenere in Archivio per motivi giustificatori.
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Nel frattempo, il Ministro della Marina aveva incaricato l’ammiraglio Sansonetti di convocare telefonicamente per il mattino seguente a Supermarina gli ammiragli comandanti delle squadre navali e dei dipartimenti marittimi, per orientarli sulla situazione. (72)
Nella lunga riunione che ebbe inizio alle ore 16.00 del 7 settembre, e che ebbe termine alle ore 19.00, l’ammiraglio de Courten, vincolato al segreto, non dette copia del Promemoria n. 1 del Comando Supremo, non consegnò alcun ordine scritto, e nulla disse dell’importante Promemoria Dick, che sarebbe stata una rivelazione dell’armistizio; ma nello stesso tempo cercò di far capire la situazione politica e militare che si stava evolvendo, dando istruzioni intese a fronteggiare la possibilità di un colpo di mano contro il Governo per riportare il fascismo al potere, e per fronteggiare una reazione dei tedeschi con i quali si era arrivati ai ferri corti.
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Su queste improvvise rivelazioni, che sorpresero quanti erano stati chiamati a partecipare alla riunione, abbiamo la testimonianza dell’ammiraglio Da Zara, allora Comandante della 5^ Divisione Navale di Taranto, che nel suo Diario degli avvenimenti scrisse: Quali potessero essere le cause determinanti della minaccia tedesca il Ministro non disse né noi chiedemmo. Nondimeno non sfuggì a tutti che non si trattava delle solite direttive contornate di "se" e di "ma" cautelosi e prudenti; erano ordini precisi e perentori di un pericolo imminente che occorreva fronteggiare con la massima energia. (73)
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Tali ordini, letti ai presenti dall’ammiraglio Sansonetti ed autorizzati ad essere trascritti da ogni ammiraglio nel proprio taccuino, prescrivevano tra l’altro di trasferire, alla ricezione dell’ordine esecutivo "Attuate misure ordine pubblico promemoria n. 1 Comando Supremo", tutte le Forze Navali dell’Alto Tirreno nei porti della Sardegna, Corsica ed Elba, quelle dello Ionio a Spalato, quelle dell’Adriatico a Cattaro e Sebenico, e le navi mercantili, in grado di muovere, nei porti a sud di Livorno e di Ancona. Tutte le unità da guerra e mercantili impedite a salpare per riparazioni, lavori o per altra causa, dovevano essere auto-affondate con l’apertura delle valvole Kingston.
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Dovevano essere messe in allarme tutte le difese a terra, e rinforzata la sorveglianza di stabilimenti militari, opere, centri di collegamento etc., allo scopo, come annotò nella sua relazione l’ammiraglio Bruno Brivonesi, di "prevenire ed impedire a qualunque costo occupazione di naviglio, di opere, di stazioni di comunicazione, da parte tedesca. Ma soprattutto, come ha scritto nel suo Memoriale l’ammiraglio de Courten, "Il significato delle norme relative ai prigionieri di guerra" che dovevano essere liberati in caso di attacco tedesco, e nel contempo di sparare sugli aerei tedeschi ma non su quelli anglo-americani, come prescriveva il promemoria del Comando Supremo, non sfuggì a "molti dei partecipanti alla riunione". Purtroppo, però, non ai comandanti delle forze navali. (74)
Come, infatti, riferì nel dopoguerra l’ammiraglio Sansonetti al comandante Bragadin, a parte quegli ammiragli che stando a Roma conoscevano la situazione, di nulla ebbero sentore gli ammiragli imbarcati che non si resero conto della gravità del momento. Invece, era informato sui provvedimenti da prendere "l’ammiraglio Bruto Brivonesi, Comandante in Capo a Taranto, che aveva visto al Comando di Corpo d’Armata di Bari una circolare [la Memoria 44 Op. - N.d.A.] in cui lo S.M. Esercito illustrava la situazione". (75) Ed anche all’ammiraglio Maraghini, che aveva la sua sede di comando alla Spezia, non sfuggì il particolare: "in caso di attacco da parte tedesca considerare come nemici gli aerei tedeschi volanti sul cielo della FF.NN. e delle Basi e non agire contro gli aerei Anglo-Americani". (76)
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Con la decisione di concentrare le Forze Navali in porti italiani, gli alti responsabili del Governo e delle Forze Armate italiane, oltre a tentare logicamente di evitare la cattura del naviglio da parte dei tedeschi, cercavano di eludere le clausole dell’armistizio e del Promemoria Dick, che invece prescrivevano l’immediato approdo delle navi in porti sotto controllo degli anglo-americani. Le richieste avanzate dal Comando Supremo per far restare le navi nei porti nazionali, e dal generale Castellano portate il 7 settembre all’approvazione, non concessa, del generale Eisenhower, finirono indubbiamente per rendere gli Alleati più dubbiosi ed esigenti nei confronti degli italiani.
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Nello stesso tempo si continuò ad ingannare i tedeschi dal momento che quello stesso giorno 7 l’ammiraglio de Courten assicurò il feldmaresciallo Kesselring, che la Forza Navale da Battaglia dislocata nell’Alto Tirreno sarebbe salpata dalla Spezia e da Genova l’indomani o nella giornata del giorno 9 per intervenire contro il nemico, segnalato in movimento verso il Golfo di Salerno, in una battaglia dalla quale sarebbe uscita vincitrice o distrutta.
Che l’attesa operazione anfibia degli anglo-americani fosse in fase di realizzazione con obiettivo previsto, nelle ore serali, il Golfo di Salerno, ne erano convinti anche i tedeschi. Come abbiamo detto, rra quello di Salerno un obiettivo da tempo previsto dal feldmaresciallo Kesselring, che aveva dislocato nella zona la 16^ Panzerdivision (generale Rudolph Siecknius), con un organico di mezzi da combattimento comprendente 106 tra carri armati e cannoni d’assalto, e 4.074 automezzi, dei quali 455 veicoli corazzati. (77). Alla divisione, però, mancava ancora il battaglione di carri Panter (tipo V).
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L’attenzione dei Comandi dell’Asse fu rivolta al primo avvistamento, tanto che alle 00.30 del giorno 8 l’Ufficio di Collegamento della Marina Germanica in Italia, nel comunicare a Supermarina l’informazione che il convoglio nemico si trovava a 45 miglia per 52° da Ustica, con rotta 40°, ritenne fosse diretto in "un punto poco a Nord di Capo Palimuro", e quindi nella zona in cui erano stati inviati in agguato i sommergibili italiani. (78)
In quel momento almeno parte dei capi militari italiani, tra quanti erano informati dell’armistizio, si resero conto che lo sbarco sarebbe avvenuto, rispetto al previsto, con quattro giorni di anticipo sul tempo ritenuto necessario per completare le misure difensive nei confronti dei tedeschi. Pertanto, fin da quella notte, si presentò l’obbligo di rispettare le clausole stabilite con gli Alleati, prima fra tutte quella di non attaccare i convogli da sbarco diretti a Salerno. Ma, in attesa di una decisione del Capo del Governo e del Comando Supremo, che erano ancora indecisi sul da farsi, i Ministri della Marina e dell’Aeronautica non furono ancora autorizzati ad impartire un tale ordine ai Comandi delle unità navali ed aeree.
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In un’inedita relazione, il generale Attilio Ranza, Comandante della 4^ Squadra Aerea dislocata in Calabria e in Puglia, ha riferito che su richiesta degli irritati alleati tedeschi, già impegnati da alcune ore con i loro velivoli nell’attacco contro i convogli da sbarco anglo-americani, messosi in contatto con Superaereo "non riuscì ad avere istruzioni di come comportarsi". Egli richiese all’organo operativo della Regia Aeronautica di voler impartire l’ordine di attacco per i suoi reparti, ma restò l’intera giornata in attesa di riceverlo. Si giustifico per la propria inerzia, riferendo ai tedeschi la sua intenzione di iniziare le azioni d’attacco, in modo consistente, dopo aver racimolato una sufficiente scorta di aerei da caccia, necessaria per appoggiare le incursioni degli aerosiluranti, dei bombardieri e degli assaltatori. (79)
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Parte Sesta
L’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre
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Vediamo ora cosa accadde ad Algeri la sera del 7 settembre, quando il generale Castellano, avendo ricevuto il promemoria del Comando Supremo dal colonnello De Carli, si recò subito a conferire con Eisenhower, il quale assicurò che, dopo lo sbarco a Salerno, sarebbe stato fornito il massimo dell’appoggio nella zona di Roma; elemento, questo ultimo, indubbiamente molto importante per la difesa della Capitale italiana, e per tagliare i rifornimenti alle divisioni tedesche dislocate in Campania. Eisenhower, tuttavia, si rifiutò di prendere in considerazione le richieste italiane sulla questione della flotta e sulla data dell’annuncio dell’armistizio, perché come ha scritto Castellano, "erano state oggetto di discussioni ed erano state definite a Cassibile prima della firma dell’armistizio".
.I risultati del colloquio furono poi trasmessi a Roma, in due parti, con il seguente messaggio, in cui Castellano specificava: (80)
"Riferimento promemoria est impossibile da parte comando alleato aderire desiderato circa flotta perché opinione pubblica anglo-americana non accetterebbe alcun compromesso che possa anche opportunamente diminuire la totalità della accettazione delle condizioni stop Parte flotta andrà però porti Sicilia stop Occorre assicurare partenza intera flotta guerra et mercantile onde evitare cattura stop Argomento est ritenuto di capitale importanza stop. Circa numero due promemoria non est possibile mutare piani operativi per assoluta imminenza operazioni et date già stabilite stop Generale Eisenhower non condivide preoccupazioni espresse nel capoverso in questione."
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Prima ancora di questa doccia fredda - che a Roma avrebbe fatto crollare ogni residua speranza di ottenere il consenso di concentrare la flotta alla Maddalena, sottraendola agli obblighi dell’armistizio che le imponevano di raggiungere i porti anglo-americani, oltre a deludere le aspettative per guadagnare il tempo necessario per completare le misure militari, perché gli Alleati non avevano alcuna intenzione di cambiare i loro piani già in attuazione - Castellano aveva affrontato con Eisenhower la questione del trasferimento del Re in Sardegna. E ciò avvenne sulla scorta di un altro promemoria compilato il 6 settembre e anch’esso portatogli l’indomani dal tenente colonnello De Carli. In tale documento si chiedeva: (81)
"Sua Maestà il Re, con il Governo, vuole trasferirsi tempestivamente in Sardegna ed evitare il bombardamento di Roma. Sarebbe desiderabile, solo per detto motivo, conoscere con 24 ore di anticipo il giorno X onde effettuare con più sicurezza il viaggio di notte. La Squadra di Spezia proteggerà cola Sua Maestà il Re ed il Governo responsabile. Siglato A [Ambrosio] "
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Castellano, testimoniando alla Commissione d’Inchiesta per la mancata difesa di Roma, ha raccontato. Non appena ricevuto quel promemoria "Mi recai subito dal generale Eisenhower il quale alla mia richiesta scoppiò a ridere". E l’interprete Mario Montanari, che accompagnava Castellano, quando vide ridere il Comandante in Capo Alleato, aggiunse: (82) "Intuendo qualcosa, domandai molto commosso se era per il giorno dopo l’annuncio dell’armistizio. Eisenhower non rispose ma dal suo atteggiamento comprendemmo che era così. Telegrafammo subito a Roma segnalando che era urgente preparare la partenza del Sovrano. Ciò avveniva verso le 19 del 7/IX "
.Il testo del messaggio (protocollo n. 25/1Op.), compilato personalmente dal generale Castellano, riportava: (83)
"Comandante in Capo condivide intenzioni espresse alta personalità circa trasferimento in Sardegna alt Concede uso nostro incrociatore con scorta quattro cacciatorpediniere stop Prega tenermi subito pronto a partire data assoluta imminenza operazioni stop Non può aderire preavviso ventiquattr’ ore stop Giorno X sarà reso noto prima di mezzogiorno stop Desidera conoscere subito ora et località partenza, rotta, nome delle navi porto approdo, tempo della traversata onde provvedere protezione stop Segue altro telegramma stop"
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Questo messaggio di Castellano, che precisava non esserci più tempo per concedere le ventiquattro ore di preavviso per il trasferimento del Re in Sardegna, dovette sollevare notevoli perplessità per il generale Francesco Rossi, che sostituiva Ambrosio al Comando Supremo. Queste perplessità, infatti, erano rese ancora più allarmanti perché generavano la certezza che il giorno X dello sbarco alleato, e quindi della proclamazione dell’armistizio, sarebbe stato notificato - come avevano stabilito gli Alleati - prima di mezzogiorno dell’indomani, 8 settembre; ragion per cui Rossi, avendo capito che la partenza del Re e di Badoglio per la Maddalena era ormai sfumata con il rifiuto di Eisenhower di permettevano alla flotta di raggiungere quella base della Sardegna, telefonò subito a Torino per sollecitare il ritorno a Roma del suo superiore.
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Nel frattempo, la sera del 7 settembre, sbarcati a Gaeta dalla corvetta Ibis e proseguendo in autoambulanza scortata dai carabinieri, arrivarono a Roma, a Palazzo Caparra sede del Ministero della Guerra, il generale Taylor e il colonnello Gardiner, inviati dal Comando Alleato a preparare l’arrivo sugli aeroporti della Capitale della 82^ Divisione aviotrasportata statunitense, fissato per la sera dell’indomani.
Ma i due ufficiali, dopo essersi incontrati con il generale Carboni, Comandante del Corpo Motocorazzato assegnato alla difesa di Roma - al quale Taylor dichiarò di avere piena fiducia sulle sue truppe - di fronte alle difficoltà subito esposte dall’ufficiale italiano, si allarmarono, perché convinti che il generale Castellano avesse ingannato gli Alleati presentando loro una situazione ben diversa sull’efficienza delle forze italiane assegnate alla difesa della Capitale.
Allora Taylor chiese di conferire subito con il maresciallo Badoglio. Da questo momento, ha scritto Castellano, ebbe "inizio una sequenza di errori" che condizionarono "sfavorevolmente tutta la storia di quel tragico 8 settembre". (84)
Badoglio, trovandosi nella sua villa di Via Bruxelles, e svegliato in piena notte, accolse in pigiama i due ufficiali statunitensi e il generale Carboni, che li accompagnò nella visita. Taylor e Gardiner, chiesero al maresciallo quale fosse realmente la situazione. Si sentirono rispondere che gli italiani non erano a ancora pronti a combattere, perché non avevano truppe sufficienti, né i 400 autocarri richiesti per il trasporto dei paracadutisti nelle zone assegnate, e neppure riserve di carburante. Si presentavano, inoltre, notevoli difficoltà per difendere, nei richiesti venti chilometri per lato, il braccio meridionale del fiume Tevere, che doveva essere risalito dai mezzi da sbarco trasportanti i cannoni anticarro e i carri armati, destinati al sostegno della loro 82^ divisione aviotrasportata. (85)
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Inoltre, dal momento che questa divisione non doveva essere impegnata prima di essere ammassata al completo, gli italiani erano convinti che nei combattimenti, con propria iniziativa da cominciare subito contro i tedeschi, essa "avrebbe presentato soltanto un peso". Era questa l’opinione del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, che in quel momento delicatissimo in cui sarebbe stata necessaria la sua presenza, come Ambrosio era assente da Roma. Il generale Roatta si trovava, infatti, a Monterotondo, nel suo ufficio della sede di campagna dello Stato Maggiore dell’Esercito, per discutere, assieme al Sottocapo di Stato Maggiore Generale, la trattazione di un promemoria, che era stato preparato dai due alti ufficiali fin dalla sera del 6 settembre, e in cui si chiedeva di rimandare l’armistizio di almeno quattro giorni. (86) Un’altro promemoria, dello stesso tenore, era stato compilato in tre copie dallo stesso Roatta e portato nella notte fra il 6 e il 7 settembre all’attenzione del Capo del Governo, del generale Carboni e, assente Ambrosio, al generale Rossi.
Pertanto Badoglio e Carboni, pur essendo stati informati con una certa riservatezza da Taylor che "l’armistizio era imminente e, forse, nello stesso giorno 8", (87) non esitarono a sollecitarono nuovamente di ritardare l’aviosbarco e la dichiarazione dell’armistizio per aver il tempo di rinforzare le difese della capitale.
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Misure già studiate dal generale Roatta, che per sostenere l’arrivo, per lui non troppo desiderato, dei paracadutisti statunitensi, aveva previsto di assegnare il compito di proteggere gli aeroporti esterni alla cinta della Capitale alla divisione di fanteria Lupi di Toscana e alla divisione corazzata Centauro, ex divisione M (Mussolini) della Milizia.
La Lupi di Toscana, che si stava spostando da nord, doveva proteggere gli aeroporti di Furbara e di Cerveteri, mentre quello di Guidonia, vicino a Tivoli, era assegnato al controllo della Centauro, che pur essendo considerata come unità scarsamente affidabile, poteva avere un forte peso nella difesa di Roma. (88) A scanso del suo modesto organico di 5.500 uomini essa, infatti, era equipaggiata con 45 carri armati, 36 cannoni semoventi, 72 cannoni e 40 mitragliere da 20, in gran parte materiale moderno e potente fornito a Mussolini dai tedeschi, e che in quel momento era anche rimpianto da Hitler che temeva venisse impiegato efficacemente contro le proprie truppe.
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Il generale Taylor, di fronte ai piagnistei e alle elencazioni delle miserie italiane rimase profondamente turbato, e quindi telegrafò al Comando Alleato di Algeri, per far conoscere le difficoltà incontrate con la frase convenzionale "Situation innocuous". Contemporaneamente Badoglio inviava un messaggio ad Eisenhower in cui, paventando che le rinforzate truppe tedesche avrebbero occupato Roma e sopraffatto il Governo, chiedeva addirittura di rimandare l’armistizio; anche perché, assumendosi una gravissima responsabilità, specificò: "Operazione Giant non è più possibile dato che io non ho forze sufficienti per garantire aeroporti". (90) E Taylor, usando la sua radio e i suoi codici, rinforzò ancora la dose di pessimismo, aggiungendo che vi era l’impossibilità di fare arrivare a Roma l’82^ Divisione, perché "non c'erano munizioni, né si sapeva dove prenderne" per fronteggiare le forze tedesche, che ora, con l’arrivo di nuovi rinforzi, erano passate ad avere 36.000 uomini. (91)
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A Roma, infatti, basandosi sulle informazioni fornite dai sempre imprecisi servizi d’informazione, si riteneva che 12.000 uomini fossero nella 2^ Divisioni paracadutisti, dislocata a sud di Roma, e ben 24.000 nella 3^ Divisione corazzata (in realtà Granatieri Corazzati -Panzergrenadier) acquartierata presso Orvieto, a nord della Capitale italiana. La prima era priva di mezzi corazzati ed armamento pesante, avendo distaccato i suoi unici semoventi Marder a difesa dei Comandi di Frascati, e la seconda che possedeva soltanto efficienti 37 cannoni d’assalto sui 42 in carico, dovendo fronteggiare i circa 200 carri e semoventi della Divisione cavalleria corazzata Ariete che le sbarrava la strada nella zona del Lago di Bracciano, era stata rinforzata con un battaglione (gruppo Busing), sottratto alla 26^ Panzerdivision che si trovava in Calabria, e comprendente circa 70 carri armati tipo III. e IV, con cannoni da 75 mm.
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Gli effettivi delle due grandi unità tedesche erano pertanto alquanto al disotto di quelli italiani, ed il loro armamento assai inferiore, non per qualità ma per numero di uomini, di artiglierie e di mezzi corazzati, dal momento che nelle sei divisioni che difendevano Roma, a cui se ne aggiungeva un’altra costiera a sud di Civitavecchia, erano disponibili: 88.137 uomini, 124 carri armati, 257 cannoni semoventi, 122 veicoli blindati, 615 cannoni, 259 mitragliere da 20 mm. A queste forze si dovevano aggiungere quelle degli elementi delle Scuole, delle caserme non indivisionate, dei Carabinieri e degli altri corpi del Regno di ogni specialità, nonché i pezzi d’artiglieria, in parte mobili, delle 42 batterie contraeree della cintura difensiva della Capitale, e i cannoni delle numerose batteri costiere.
Da parte tedesca, si opponevano a questa formidabile armata - che con il sostegno della 82^ Divisione statunitensi e con i mezzi che dovevano arrivare via mare (100 cannoni controcarro e 16 carri armati), poteva essere decisiva per le sorti delle operazioni nell’Italia centrale - 25.033 uomini, 95 carri armati, 54 cannoni semoventi, 196 veicoli blindati, 165 cannoni, 74 mitragliere da 20 mm. (92)
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Pensiamo che queste cifre, che dovrebbero far riflettere quando si esaltano gli episodi della difesa di Roma, che fu costretta alla resa in poco più di ventiquattr’ore, possono far comprendere quanto grande era la disparità di forze tra tedeschi e italiani. Questi ultimi, se avessero combattuto con convincimento e decisione, avrebbero potuto facilmente difendere la Capitale, il suo Re e il suo Governo, ed attaccando per primi, come avevano chiesto gli Alleati, anche di riportare un grosso successo; soprattutto per eliminare i Comandi tedeschi che si trovavano a Frascati. In tal modo, avrebbero permesso agli anglo-americani di vincere con largo anticipo l’esito della battaglia d’Italia, che invece continuò ad essere combattuta per altri lunghissimi venti mesi. Ma, come ha scritto il generale Pierluigi Bertinaria, "la mancanza di un atteggiamento più deciso" e da "farsi risalire a valutazioni errate circa il numero e l’efficienza dei mezzi germanici; è indubbio, infatti, che la valutazione effettuata dall’apposito ufficio costituito presso lo Stato Maggiore del Regio Esercito erano errate in qualità e quantità, influenzando negativamente tutte le decisioni".
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Il S.I.M., infatti, contribuendo a generare pessimismo, aveva fornito notizie che facevano ascendere il numero dei carri armati germanici presenti vicino a Roma a ben 600; e questo per gli italiani contribuiva a creare grande incertezza e grande timore sulle proprie possibilità combattive. Al riguardo, il generale Roatta ha riportato nella sua relazione che la difesa degli aeroporti, comportando varianti allo schieramento italiano intorno a Roma, non avrebbe consentito alle sue forze "di resistere per più giorni alle truppe tedesche non impegnate contemporaneamente contro truppe anglo-americane". E aggiunse che anche la stessa Capitale avrebbe potuto resistere soltanto "poche ore" ad un attacco, anche perché i tedeschi non avrebbero mancato di bombardarla pesantemente dal cielo. (93)
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In questo clima, deleterio per il forte pessimismo, in cui invece di chiacchierare, per andare a ricercare le più svariate difficoltà, si doveva soltanto agire, il Comando Alleato ricevette verso mezzogiorno dell’8 settembre i telegrammi di Taylor e di Badoglio; e subito quei messaggi fecero temere il peggio per l’imminente sbarco a Salerno, operazione che già nel corso della pianificazione era stata considerata rischiosa dal Comandante della 5^ Armata statunitense. Il generale Clark, inoltre, non si fidava delle possibilità degli italiani di tenere il controllo delle spiagge, prevedendo una dura reazione tedesca. Inoltre non voleva privarsi dell’82^ Divisione che il piano originale prevedeva dovesse lanciarsi nella zona di Capua, come poi avvenne, per contrastare i rinforzi tedeschi diretti a Salerno.
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Parte Settima
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Essendo il generale Eisenhower partito per una visita al posto di Comando avanzato di Biserta, gli ufficiali del suo Stato Maggiore rimasero sbalorditi dal contenuto del telegramma di Badoglio che chiedeva di rimandare l’armistizio e decisero di ritrasmettere al proprio superiore. Contemporaneamente, fu compilato e trasmesso un telegramma per il Comandante dell’82^ Divisione aviotrasportata, generale Matthew Ridgway, per arrestare il decollo dalla Sicilia di centotrentacinque aerei da trasporto degli stormi 51° e 52° che stavano imbarcando i primi paracadutisti, quelli del 504° Reggimento, diretti a Roma.
Considerando però che l’ora fissata per l’operazione "Giant Two" era molto vicina, con una corsa contro il tempo, il Comando Alleato incaricò il generale Lyman L. Lemnitzer, Capo di Stato Maggiore del 15° Gruppo Trasporti, di recarsi in volo da Biserta a Licata dove si trovava il Comando dell’82^ Divisione. L’ufficiale arrivò a destinazione poco prima delle 18.00, quando già sessantadue aerei C. 47, con a bordo i paracadutisti, avevano decollato ed erano in volo per prendere la formazione prescritta e dirigere su Roma.
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Con eguale tempestività fu arrestato un piccolo convoglio statunitense, comandato dal colonnello William H. Bertsh che, salpato al mattino da Biserta e diretto alla foce del fiume Tevere, fu poi dirottato verso le spiagge di Salerno, ove stavano sopraggiungendo le unità anfibie dell’operazione "Avalanche".(94)
Il convoglio era costituito da una nave da sbarco per carri armati LST e da tre mezzi da sbarco per carri armati LCT, che trasportavano i cento cannoni anticarro e tre plotoni con sedici carri armati. Erano le armi che, in seguito agli accordi tra Castellano e Bedell-Smith, avrebbero dovuto raggiungere la foce del Tevere entro tre o quattro giorni dall’inizio dell’aviosbarco, per poi risalire il fiume fino a raggiungere il punto segnato sulle carte come G.C., situato a mezza strada tra Ostia e Roma.
Su questi rinforzi statunitensi, che dovevano sbarcare dai mezzi da sbarco per sostenere la divisione paracadutisti, ha quindi pienamente ragione Castellano in Roma Kaput, scrivendo: "Come si vede i timori di Carboni erano del tutto infondati perché gli americani mantenevano fede alla parola data". (95)
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Nel frattempo, conosciuto il contenuto del dispaccio di Badoglio, che chiedeva di rimandare la dichiarazione dell’armistizio, e rimasto letteralmente sbalordito, come lo erano stati i suoi ufficiali ad Algeri e Castellano (96), il generale Eisenhower, telegrafando a Roma, fece sapere, senza possibilità di ulteriori equivoci, che l’armistizio firmato a Cassibile sarebbe stato diramato nella serata; ragion per cui chiedeva al maresciallo di rispettare gli accordi conclusi, altrimenti ne avrebbe informato egli stesso il mondo intero, dopodiché l’Italia non avrebbe più avuto un solo amico.
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E in effetti, come vedremo, a Roma fu come se fosse arrivato un fulmine a cielo sereno, che ebbe grosse ripercussioni sulle possibilità di difesa della città, perché, oltre a far scoppiare il panico, distrusse il clima di fiducia che gli incoscienti responsabili italiani dell’armistizio non avevano previsto. Essi, infatti, nel loro pensiero manicheo e bizantino, pensavano che gli Alleati avrebbero accettato di posticipare l’armistizio, e poi di realizzare lo sbarco dal mare il più possibile vicino a Roma, tra Gaeta e Anzio, come era stato richiesto con il promemoria di Ambrosio inviato a Castellano tramite il tenente colonnello De Carlo. Richieste, che furono di nuovo riproposte nel pomeriggio dell’8 settembre, al rientro del generale Ambrosio da Torino, spedendo in aereo a Biserta, assieme al generale Taylor, il Sottocapo di Stato Maggiore Generale che, come detto, insieme al generale Roatta, aveva preparato un promemoria da consegnare agli Alleati, in cui si diceva testualmente: "la parte italiana aveva la netta impressione che lo sbarco nella zona Salerno-Napoli avvenisse verso il 12 settembre". (97)
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Nel promemoria erano contenute le ultime proposte italiane, che il generale Francesco Rossi ampliò, durante il volo sull’S.79 pilotato dal capitano Baracchini, con proprie annotazioni. Dando per scontato che gli Alleati avrebbero realizzato un secondo grosso sbarco il più vicino possibile a Roma, si chiedeva di rimandare l’armistizio a quando l’operazione si sarebbe verificata. Inoltre, per non essere accusati di tradimento e per dare all’opinione pubblica nazionale e ai propri combattenti, non convinti del voltafaccia, di essere stati costretti a reagire ad una palese aggressione delle Forze Armate germaniche, si suggeriva l’opportunità di evitare di dover iniziare le ostilità sino a quando non fossa stata l’altra parte a cominciare a sparare. Una formula astuta, che poi ebbe un certo successo, almeno come giustificazione, anche se da tutti non condivisa, alla guerra civile che sarebbe seguita in Italia al disastro dell’8 settembre.
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Nelle sue aggiunte a matita, il generale Rossi riportò che, allo scopo di essere pronti, occorreva che il secondo grosso sbarco, da realizzare nella zona Formia - Gaeta - Terracina - Littoria, venisse ritardato di almeno sette giorni; e sempre allo scopo di "salvare la faccia", si chiedeva che anche l’arrivo a Roma della divisione paracadutisti statunitense, che non doveva essere annullato, fosse ritardato di ventiquattrore. Infine, in una annotazione alla fine del testo che si riferiva alla flotta, Rossi riportava i seguenti quesiti: "Squadra interesse che cooperi. Non pretendere che vada nei porti. Si autoaffonda. Meglio Sardegna". (98)
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Occorre dire che le richieste italiane dell’ultima ora potevano apparire agli Alleati come particolarmente ambigue, quelle dello sconfitto che cercava di ottenere i maggiori vantaggi dopo essere salito sul carro del vincitore. In particolare le richieste che suggerivano di mandare le navi in Sardegna e di rimandare l’armistizio di almeno quattro giorni, dopo che gli anglo-americani fossero sbarcati il più vicino possibile alla Capitale, non potevano essere accettate, dopo che erano state discusse e definite con il generale Castellano, anche se a Roma erano invece fiduciosi venissero accolte. Soprattutto perché Eisenhower aveva accettato di incontrarsi con il Sottocapo di Stato Maggiore Generale, annunciato dal Comando Supremo come latore di una comunicazione di "importanza fondamentale". Lo sta chiaramente a dimostrare quanto scritto dal generale Roatta nella sua Memoria. Dopo aver spiegato il motivo dell’invio a Tunisi del generale Rossi, sulla riuscita della cui missione, fatta per "guadagnare tempo" e per costringere lo Stato Maggiore del generale Eisenhower "a soprassedere nel caso che esso avesse - per avventura - intenzione di precipitare le cose", contavano il Governo, il Comando Supremo e lo Stato Maggiore dell’Esercito - Roatta arrivo alle seguenti conclusioni: (99) "In sostanza appariva assicurata la disponibilità di altri quattro giorni, e si aveva altresì forte ragione di ritenere che date le modalità sarebbero state riesaminate e - questa volta - esattamente comunicate alla parte italiana".
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Le richieste italiane derivavano dalla non conoscenza delle difficoltà logistiche e tattiche in cui si dibatteva il generale Eisenhower a cui, dopo la campagna di Sicilia, erano stati sottratti aliquote di truppe, mezzi aerei e mezzi navali da destinare allo sbarco in Normandia, previsto per la primavera del 1944, e mezzi da sbarco destinati al fronte del Pacifico. Ma a parte questo occorre dire che, per ampliare le zone di sbarco, come annotato nel promemoria dal generale Rossi, alla zona Formia - Gaeta - Terracina - Littoria, gli Alleati avrebbero dovuto cambiare tutti i piani, approvati dal Presidente Roosevelt e dal Primo Ministro Churchill, che avevano informato dei loro progetti anche il Presidente dell’Unione Sovietica, maresciallo Iosif Stalin. (100)
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La gigantesca impresa supplementare di sbarco richiesta agli Alleati, aveva un ben fondato motivo per gli italiani. Ricordiamo che durante i colloqui dell’armistizio Bedell-Smith aveva riferito a Castellano, per rassicurarlo e per convincere il Governo italiano ad accettare l’atto di resa, che gli Alleati avevano disponibili per gli sbarchi quindici divisioni, da impiegare subito in Italia contro i tedeschi. Ma in realtà si trattò di un vero inganno, nel quale Castellano non poteva non cadere, dal momento che le divisioni anglo-americane presenti nel Mediterraneo erano realmente quindici, ma quella da impiegare subito nelle operazioni anfibie, anche per mancanza di mezzi navali, erano in tutto sette, a cui era da aggiungere la 82^ Divisione aviotrasportata.. A contribuire a convalidare l’inganno che gli Alleati avessero nel Mediterraneo forze ben più superiori a quelle reali, contribuirono poi gli errati calcoli dei servizi d’informazione nazionali e tedeschi, sempre portati a sopravvalutare il nemico.
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Tutto questo dimostrava che a Roma si aveva una completa ignoranza delle difficoltà di una guerra anfibia. Secondo la richiesta italiana, portata dal generale Rossi ad Eisenhower, la nuova operazione anfibia avrebbe dovuto impegnare, oltre alle sei divisioni già destinate a Salerno e a Taranto, ben altre nove divisioni da sbarcare nella zona tra Gaeta e Anzio. Ne conseguiva, che oltre a non essere prevista nei piani degli Alleati e quindi da studiare attentamente, l’operazione era resa impossibile proprio dalla mancanza di quelle divisione, e dei mezzi navali necessari per il trasporto, e resa sconsigliabile dal fatto di dover mantenere l’ombrello aereo nella zona delle operazioni anfibie entro il raggio d’azione dei velivoli concentrati negli aeroporti della Sicilia.
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In definitiva, fu da questo errato insieme di valutazioni, di ambiguità, di ritardi imperdonabili e di eccessiva fiducia che ebbe origine la causa della catastrofe delle Forze Armate italiane, e dell’Italia tutta. Quando, infatti, i generali Rossi e Taylor arrivarono a Tunisi con le nuove proposte italiane, essi si resero conto che non vi era più nulla da fare. Lo sbarco a Salerno - ormai nella fase di arrivo, con i convogli Alleati che dirigevano, fortemente scortati, verso le spiagge del golfo - sarebbe iniziato nei tempi previsti, e nulla, com’era logico considerando la quantità di mezzi messi in movimento, a quel punto avrebbe potuto fermarlo. (101)
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Il generale Rossi, incontrandosi la sera dell’8 settembre con Eisenhower, presente al colloquio anche Castellano, oltre a giustificare le richieste italiane di rinviare l’enunciazione dell’armistizio, fece notare al Comandante in Capo Alleato il senso di sfiducia dimostrato "verso di noi", ricevendone in risposta: "Ma eravamo nemici fino a due ore fa, come potevamo avere fiducia in voi". (102)
Naturalmente Eisenhower si riferiva al fatto di non aver potuto rivelare agli italiani la data dell’entrata in vigore dell’armistizio e dello sbarco a Salerno, un segreto che per il generale statunitense doveva essere assolutamente mantenuto per dare agli alleati "il tempo di sbarcare in Italia e di assicurarsi i punti più importanti prima che i germanici se ne fossero impossessati con la forza". (103)
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Eisenhower non immaginava quello che al momento stava succedendo in Italia e nei territori d’oltremare in cui si trovavano reparti italiani. Rispondendo alle lamentele di Rossi per "l’affrettata dichiarazione d’armistizio" che aveva "impedito l’attuazione di tutte le misure predisposte" dal generale Ambrosio, "creando una situazione quanto mai difficile", avrebbe detto: "Sono disposto ad ammettere di aver sbagliato, ma ciò che ora è necessario è di collaborare nel miglior modo possibile nell’interesse reciproco … Bisogna dare ordini precisi a tutti i comandi". Quindi, dopo che Rossi ebbe descritto quale fosse la sfavorevole situazione determinatasi nei Balcani, per la frammentazione delle divisioni italiane, il Comandante in Capo degli Alleati rispose: "Avete fatto un quadro della situazione più nero di quel che immaginassi. Tuttavia io sono fiducioso". (104)
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Il professor ammiraglio Morison, dimostrandosi particolarmente contrariato per quel modo di agire degli anglo-americani, scrisse, poi testualmente. (105)
"Ancora timorosi di una gigantesca mistificazione noi facemmo lo stesso errore commesso nell’Africa Settentrionale (nei riguardi dei francesi - N.d.A.), quello di non concedere la piena fiducia ai nostri nuovi amici; di conseguenza essi non furono in grado di aiutarci come avrebbero desiderato".
In definitiva, si trattò come disse lo stesso generale Eisenhower di "una brutta faccenda", perché anche gli Alleati avevano contribuito a realizzarla ingannando gli italiani sulla quantità di forze che potevano subito impegnare in Italia. Ma quel che è peggio, le conseguenze più disastrose avrebbero investito proprio gli italiani. Ne sarebbe derivata, per questi ultimi, un’umiliante e duratura brutta figura verso gli Alleati e peggio ancora nei confronti dei tedeschi; anche se questi ultimi stavano a loro volta preparandosi ad eliminare militarmente l’Italia. Il 6 settembre, infatti, nel momento stesso in cui lo sbarco degli anglo-americani nel Golfo di Salerno apparve imminente, Hitler aveva ordinato all’O.K.W. di preparare una nota ultimativa da inviare al Comando Supremo italiano, per indurlo, in breve tempo ad accettare le richieste tedesche per la futura condotta della guerra in comune, in un momento in cui le relazioni tra i due paesi si trovavano in una situazione insostenibile.
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Ha scritto lo storico tedesco Gerhard Schreiber. Il sospetto che gli italiani "si preparassero a deporre le armi aveva acquistato una consistenza tale da indurre i tedeschi a voler chiarire una volta per tutte la posizione del loro alleato", e ad adottare al più presto contro di loro "provvedimenti adeguati alla situazione" divenuta insostenibile. (106) Al riguardo nel diario di guerra dell’O.K.W. è inequivocabilmente riportato: "Se il Comando Supremo italiano dovesse dichiarare la propria indisponibilità, il comando germanico dovrà prendere le proprie decisioni esclusivamente sotto il profilo militare senza riguardo per i risvolti politici". (107)
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I sospetti tedeschi di un cambio di rotta degli italiani erano, principalmente, dovuti al fatto che le autorità italiane, invece di rinforzare le difese dell’Italia meridionale, avevano concentrato truppe nei dintorni di Roma. Nella nota ultimativa, particolarmente "cinica" dell’O.K.W., e da considerare legittima soltanto nella parte in cui si chiedeva agli italiani a rispettare l’alleanza con la Germania e per combattere gli anglo-americani, era pertanto richiesto: (108)
a) la completa libertà di movimenti per i reparti di truppa tedesca- ciò si riferiva in particolare alla riluttanza degli italiani a consentire alle truppe tedesche di installarsi vicino ai porti più importanti;
b) la ritirata di tutte le truppe italiane dalla zona di confine tedesco-italiano nella valle del Po per passare alle dipendenze del "Gruppo d’Armata B";
c) la creazione di un fronte italiano nell’Italia meridionale, al riparo dal quale la 10^ Armata potesse avere sufficiente libertà di movimento per contrattaccare un nemico invasore;
d) il Comando Comune (che significava in effetti comando tedesco) su tutte le forze armate.
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Come si comprendere, erano richieste estremamente coercitive ed anche umilianti, per il Comando Supremo e per il Governo del maresciallo Badoglio, assolutamente inaccettabili. Esse infatti implicavano di mettere nelle mani del Comandante del Gruppo di Armate B (Heeresgruppe B), l’intera condotta delle operazioni belliche nella penisola italiana, e quindi di concedere al feldmaresciallo Rommel anche la facoltà di esercitare il pieno controllo del territorio e dell’intera nazione. Per non parlare poi della possibilità da parte della Germania di attuare prima o poi il temuto colpo di mano per estromettere il Re e il Governo e riportare al potere il partito fascista, e Mussolini come capo di un governo fantoccio; eventualità, quest’ultima, non del tutto peregrina perché era negli intendimenti di Hitler, assetato di vendetta contro il Re e Badoglio. Il rifiuto italiano ad accettare l’ultimatum era pertanto prevedibile, e ciò avrebbe indotto la Germania a compiere passi ritenuti "necessari per assicurare la sicurezza delle sue truppe", inclusa la ritirata dalle forze della 10^ Armata "almeno dalla zona di Roma". (109)
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Rispetto al segreto cambio di rotta di Roma, la differenza sostanziale, e quindi di non poco conto, era che da parte tedesca vi sarebbe stato proprio un ultimatum, giustificato dalla necessità di eliminare un alleato considerato infido prima che fosse troppo tardi per la Germania. Era pertanto una vera dichiarazione di guerra da far pervenire al generale Ambrosio, "per costringerlo "a breve termine" ad "adottare provvedimenti adeguati alla situazione bellica. E se gli italiani si rifiutavano, Berlino avrebbe preso le sue decisioni soltanto in base alle esigenze militari e senza tener conto della svolta politica". (110)
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Tuttavia, di fronte all’ultimatum che stava per essere presentato dall’O.K.W., l’atteggiamento, non certamente coraggioso del Capo del Governo italiano e dei massimi rappresentanti delle Regie Forze Armate, deve essere discusso in modo più benevolo di quanto sia stato fatto finora; e questo sebbene quegli stessi personaggi stavano, chi più o chi meno, maneggiando per convincere la Germania sulla loro lealtà e chiedendo agli Alleati di cambiare, in modo più vantaggioso per l’Italia, gli accordi firmati con l’armistizio. Pertanto, se effettivamente si deve parlare di tradimento italiano, stava per esservi, contemporaneamente, un tradimento tedesco. Il primo, determinato dalla consapevolezza di non poter più continuare a combattere e dal terrore di dovervi ancora sottostare, perché questo era il volere imposto dalla Germania; il secondo, in parte giustificato dal convincimento di una prossima sedizione italiana di cui a Berlino esistevano parecchi indizi, se non proprio certezze.
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Conseguentemente, occorre dire che le responsabilità di Roma, determinate dal desiderio di uscire dal conflitto schierandosi con gli anglo-americani, erano ugualmente da condividere con le mancate aperture di Berlino nei confronti di Badoglio e del Comando Supremo, al quale, dopo la caduta di Mussolini, e complice anche il desiderio di vendetta di Hitler, erano state rifiutate le armi necessarie per poter continuare a combattere con la Germania. Una lancia a favore dell’Italia è venuta, fin dagli anni ’60, dal famoso storico tedesco Andreas Hillgruber, che nel pubblicare il 3°Volume del Diario di guerra dell’O.K.W., vi ha apportato la seguente annotazione: (111)
"Era fuori luogo chiamare tradimento la capitolazione italiana. Da parte tedesca si sapeva già da lungo tempo che l’Italia era alla fine delle sue forze e delle sue possibilità. In una situazione che diventava sempre più disperata, l’Italia dal fallimento dell’ultima offensiva in Africa, si è mantenuta ancora un anno intero fedele all’Asse. Un esame realistico della situazione in Germania avrebbe potuto far comprendere che sarebbe stato più giusto terminare la guerra insieme con Mussolini o con Badoglio. Dalla controparte si sono levati veramente pochi incoraggiamenti; la volontà di distruzione superò le possibilità di un’intesa. "
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La stessa opinione ha espresso l’allora maggiore Friedrich-Karl von Plehwe, primo ufficiale del generale Enno von Rintelen, ufficiale di collegamento tedesco presso il Comando Supremo italiano. Conoscendo gli ordini impartiti dall’O.K.W. per l’attuazione del piano "Achse", e non condividendo il modo in cui lo stesso O.K.W. e il Governo tedesco stavano trattando l’Italia, più da nemica che da amica, von Plehwe ha scritto: (112)
"In questi rapporti tesi, che già da lungo [tempo] avevano sostituito i rapporti amichevoli, sarebbe stato impossibile, irragionevole e persino da suicidio per il governo italiano, annunciare la fine della guerra, dato che non si era mai potuto prima parlare apertamente di preoccupazioni e pericoli. Ci si deve immaginare che gli italiani, dopo il 25luglio ad ogni movimento toccavano la punta delle baionette tedesche, dirette contro di loro, e delle quali non dovevano provocare il colpo. Nel passaggio dal luglio all’agosto, al più tardi nell’incontro di Tarvisio, riconobbero che un annuncio di collaqui di pace avrebbe suscitato sicuramente questa reazione tedesca. In questa posizione accerchiata, essi si trovarono in uno stato d’emergenza: Governo e popolo erano in pericolo."
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La nota ultimativa dell’O.K.W., da portare alla firma di Hitler il 9 settembre, doveva essere consegnata a Roma intorno al 12, ossia il giorno che gli italiani avevano ritenuto fosse quello dell’armistizio. A questo punto, paradossalmente italiani e tedeschi si sarebbero trovati entrambi pronti ad agire, ed affrontare un durissimo cimento, anche se è difficile dire, almeno nella zona di Roma, come sarebbe andata a finire. Noi riteniamo che le forze disponibili per la difesa della Capitale, soprattutto se rinforzate dai paracadutisti della 82^ Divisione statunitense, erano sufficienti per poter resistere per qualche giorno all’attacco tedesco, e per far mantenere agli Alleati il controllo del centro Italia, che poi era il loro più imminente obiettivo. Di parere contrario, rispetto alla nostra ipotesi, sembra invece essere Schreiber che ha scritto: (113)
"Nessuno dei personaggi principali di allora probabilmente poteva supporre che se gli anglo-americani avessero accettato le proposte di Badoglio [di rimandare l’armistizio], gli italiani si sarebbero trovati in una situazione ancor più grave di quella dell’8 settembre. "
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Comunque sia, l’ultimatum di Hitler, che era ancora in fase di compilazione, non ebbe modo di essere completato dall’O.K.W.; e questo per l’armistizio dell’Italia e per la pronta attuazione dei piani "Alarich" e "Kostantin", che ebbero rapido e pieno successo per i tedeschi, forse oltre ogni loro più rosea previsione.
Per concludere, dato che a barare erano in due, sia per gli italiani che per i tedeschi si trattò pur sempre di uno squallido affare, così come lo fu nello stesso tempo, per ammissione dello stesso generale Eisenhower, il comportamento intransigente, minaccioso e ingannevole degli Alleati nei confronti degli italiani.
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Parte Ottava
Parte Nona
L’inizio della diramazione degli ordini da parte di Supermarina
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Come abbiamo detto, nel tardo pomeriggio del 7 settembre, per l’avvistamento, alle ore 17.00, di un convoglio anglo-americano di mezzi da sbarco diretto dalla zona dell’isola Ustica verso le spiagge del Golfo di Salerno, e per altri molteplici movimenti navali individuati fin dal giorno 5 ma soprattutto il 6, a Roma si comprese che l’armistizio dell’Italia, firmato a Cassibile quattro giorni prima, poteva entrare in vigore prima del previsto, entro ventiquattro ore. Supermarina, su istruzioni ricevute dal maresciallo Badoglio, che temeva la pronta reazione tedesca, preparò allora uno schema di movimenti navali, per portare alla Maddalena, lontano dalla prevedibile zona dei combattimenti della Capitale, il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, i membri del Governo e del suo seguito (in tutto di circa cinquanta persone), affinché potessero dirigere da lontano le sorti della Nazione. (114)
Fattore che appariva allora costituzionalmente corretto per portare il Re e il Governo in posto più sicuro per continuare a dirigere le sorti della Nazione, ma che poi non avrebbe avuto più alcuna giustificazione, trasformandosi in una fuga, allorché, il Sovrano si allontanò in tutta fretta e furtivamente con i massimi Capi Militari, che in parte erano anche Ministri, nella notte tra l’8 e il 9 settembre, quando ormai era iniziata la battaglia di Roma, la cui difesa restò affidata a personaggi squallidi e imbelli.
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Le misure prese da Supermarina il 7 settembre, prevedevano il trasferimento di quegli Alti Personaggi, con due veloci motoscafi, partiti da Fiumicino per Civitavecchia. Qui doveva avvenire il loro trasbordo sui due cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli e sulla corvetta Pellicano - rispettivamente provenienti dalla Spezia, da Genova e da Gaeta - che li avrebbero portati a destinazione alla Maddalena.
La corvetta poi non si mosse da Gaeta, mentre l’ordine di partenza dei due cacciatorpediniere fu trasmesso quella stessa sera del 7 settembre con il seguente messaggio PAPA: (115) "SUPERMARINA - 68502 - Destinatario Nave ITALIA per F.N.B. et per conoscenza Marina La Spezia - Marina Napoli (alt) TABELLA PISA (alt) Disponete C.T. VIVALDI et DA NOLI si trasferiscano subito relitto [Civitavecchia] restandovi pronti in sei ore (alt) TABELLA PISA (alt) 194507."
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Fu anche disposto dall’ammiraglio de Courten, "per facilitare un’azione di comando unitaria sul naviglio minore", che il Comandante in Capo delle Forze Navali di Protezione del Traffico, ammiraglio Odoardo Somigli, inviasse gli ammiragli Nomis di Pollone e Federico Martinengo alla Spezia, per assumere direttamente e rispettivamente il comando delle siluranti e del naviglio antisommergibile che, secondo le norme del Promemoria Dick, dovevano salpare, al momento dell’armistizio, per Bona e Palermo. Lo stesso incarico fu affidato all’ammiraglio Franco Rogadeo, le cui navi dovevano raggiungere Augusta.
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Nel frattempo, in connessione con le notizie che indicavano l’approssimarsi dei convogli alleati al Golfo di Salerno, Supermarina segnalò al Comando delle Forze Navali da Battaglia: "Si richiama attenzione su disposizioni relative allarme speciale -201107". (116) Ciò significava, anche per non rendere sospettosi i tedeschi, che la flotta doveva prepararsi a respingere l’invasione; e ciò avveniva quando ormai i Capi Militari sapevano che la Forza Navale da Battaglia dell’ammiraglio Bergamini non sarebbe mai andata a Salerno, in quanto l’armistizio sarebbe entrato in vigore la sera dell’indomani. (117)
A partire da quel momento, e per tutta la giornata dell’8 settembre, gli ammiragli de Courten e Sansonetti si trovarono nell’angoscia di un‘alternativa che costringeva: ad obbedire per rispettare gli accordi presi con gli Alleati, facendo affluire subito le navi a Malta e a Bona come era previsto dal famoso Promemoria Dick; oppure di auto-affondarle, per impedire che cadessero nelle mani degli ex amici.
Ciò, lo ricordiamo, doveva realizzarsi, secondo uno schema tracciato il precedente giorno 7, e fatto conoscere nel corso della riunione pomeridiana degli ammiragli della flotta e dei dipartimenti, tra cui vi era il Comandante delle Forze Navali da Battaglia, ammiraglio Bergamini.
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Sulle discussioni di resa, che si svolsero prima a Lisbona e poi a Cassibile , e che portarono all’armistizio tra gli Alleati e l’Italia, Bergamini, per quanto sappiamo, rimase completamente all’oscuro; e nulla sospettò fino al 7 settembre, quando fu chiamato a Roma per la riunione degli ammiragli. Dal colloquio che egli ebbe con de Courten "sullo spirito della flotta" dovette però accorgersi del cambio di rotta imminente, per il contenuto antitedesco dell’estratto del promemoria n. 1 del Comando Supremo, letto dall’ammiraglio Sansonetti; ma forse non comprese quale fosse l’urgenza della situazione. E’ anche logico pensare che Begamini si fosse accorto che le navi, che egli stava preparando per affrontare l’ultima battaglia, non sarebbero andate all’auspicato e disperato combattimento contro la flotta britannica, quando fosse iniziata l’imminente invasione dell’Italia.
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Anche se, ben conoscendo la strategia rinunciataria e calcolatrice di Supermarina è difficile capire se questo disperato combattimento poteva avvenire sarebbe realmente, poiché le tre corazzate moderne della Forza Navale da Battaglia, Roma, Vittorio Veneto e Italia (ex Littorio), avrebbero dovuto affrontare l’estrema misura avendo alle spalle, dopo quattro mesi d’inedia, una sola esercitazione di un giorno, svolta nel Golfo Ligure il 26 agosto. In quelle condizioni di relativa efficienza, cercare di arrivare a combattere, una battaglia decisiva contro l’agguerrita ed efficientissima Royal Navy per di più sostenuta da una poderosa aviazione, sarebbe stato come andare incontro ad un vero suicidio, a un atto di sacrificio a cui però, occorre dirlo, la flotta era stata preparata con estrema fiducia dal suo Comandante.
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Bergamini, percorrendo in automobile la statale Aurelia, rientrò alla Spezia il mattino dell’8, con istruzioni verbali che tra l’altro tenevano anche conto di un eventuale auto-affondamento delle navi, per non farle cadere in mano ai tedeschi. Arrivato in sede cominciò a prepararsi per la partenza della flotta, che ancora riteneva dovesse andare alla Maddalena, passando la sua insegna, secondo quanto già previsto dal 5 settembre, dalla corazzata Italia (ex Littorio) sulla modernissima Roma. (118)
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Quando poi, alle 09.30 dell’8 settembre arrivò a Roma la notizia che alle 07.30 navi nemiche dirette verso le coste di Salerno, erano state individuate dal posto di avvistamento di Capo Suvero, Supermarina, con messaggio di priorità PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute), inviò al Comando delle Forze Navali da Battaglia l’ordine di approntamento in due ore, che comportava il trasferimento alle boe in rada delle navi dislocate alla Spezia e a Genova, per tenerle pronte a salpare. Il messaggio, di cui non conosciamo il numero di protocollo, era stato compilato dal comandante Ferruta come segue: (119)
"SUPERMARINA ……… Accendere e passare agli ormeggi in rada pronti in due ore con tutte unità (alt) 8^ Divisione resti pronta in due ore a Genova - 100008."
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Seguì poi l’ordine, compilato alle 12.00 da Supermarina, di aggregare alle Forze Navali da Battaglia una squadriglia di sei torpediniere che, al comando del capitano di fregata Riccardo Imperiali, dovevano svolgere un duplice incarico: aumentare la scorta avanzata alle grandi unità della flotta, che era costituita dalle navi da battaglia Roma, Italia e Vittorio Veneto, sei incrociatori e otto cacciatorpediniere; o servire, come vedremo, per il recupero degli equipaggi in caso di loro auto-affondamento. L’ordine impartito era il seguente: (120) "SUPERMARINA - 74604 - Decifrate da solo (alt) Destinatario Marina Spezia et per conoscenza ITALIA per F.N.B. (alt) Torpediniere ORIONE - PEGASO -ARDIMENTOSO - IMPETUOSO - ORSA - LIBBRA passino subito disposizione Forze Navali - 120008"
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Nello stesso tempo (ore 12.00) Supermarina dava ordine a Marina Napoli di fare accendere tutti i piroscafi e tenerli pronti a partire per Porto Ferraio, dove dovevano affluire anche tutte le unità pronte della Scuola Antisom di La Spezia, non impegnate in missioni di vigilanza. Fu poi disposto di sospendere la partenza di tutte le navi mercantili a nord di Civitavecchia. Quindi, ritenendo che il Re il suo seguito potessero in alternativa a Maddalena trasferirsi in altra località del Tirreno, forse in Sicilia per mettersi sotto la protezione degli Alleati, Supermarina trasmise a Marina Napoli: (121)
"SUPERMARINA - 74800 - Corvette GRU e PELLICANO restino a Gaeta disposizione Supermarina - 120508."
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Successivamente, con un messaggio trasmesso alle 13.40 ai Dipartimenti della Marina, l’organo operativo dell’Alto Comando navale diramava un chiaro ordine di approntamento per il naviglio leggero: (122) "Disponete che torpediniere et torpediniera scorta et corvette et VAS pronte nelle varie sedi completino subito carico combustibili liquidi acqua viveri. Per unità non pronte appartenenti a Silurantisom dislocate nelle sedi predisposte secondo quanto previsto comma beta paragrafo 8 noto promemoria attendendo esecutivo - 125508."
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Quindi, in previsione del trasferimento della flotta alla Maddalena, Supermarina impartiva il seguente ordine, poi annullato alle ore 18.00 dell’8 settembre, quando fu chiaro che le Forze Navali da Battaglia dovevano trasferirsi a Bona: (123)
"SUPERMARINA - 75906 - Destinatario Marina La Spezia et per conoscenza ITALIA per FF.NN. - Marina La Maddalena (alt) Cisterne acqua VOLTURNO et DALMAZIA si completino e si trasferiscano al più presto isolata a La Maddalena rotte costiere - 123008."
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Nonostante l’evidenza che gli ordini impartiti riguardavano le norme da adottare al momento dell’armistizio, fissate dagli Alleati e confermate nel Promemoria n. 1 del Comando Supremo, dal carattere prettamente antitedesco, l’ammiraglio de Courten, mostrandosi particolarmente ambiguo, ha scritto nella sua relazione argomenti fuori dalla realtà, come quello dell’approntamento della flotta per andare a combattere a Salerno: (124)
"La stessa mattina dell’8, essendo giunta conferma dell’inizio dello sbarco degli anglo-americani nel Golfo di Salerno, dopo aver preso contatto col Capo di S.M. Generale, ordinai alla Squadra da Battaglia, a La Spezia, di accendere, tenendosi pronta a muovere dalle ore 14, "per il previsto intervento nella zona di sbarco" [sottolineato nel testo] la mattina del giorno successivo e disposi perché fossero perfezionati e messi in atto gli accordi presi con le Autorità italiane e tedesca per la cooperazione aerea. "
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Per l’ultimo argomento, dobbiamo dire che nelle ore che precedettero il bombardamento statunitense di Frascati il Ministro della Marina, per non insospettire i comandi tedeschi sui veri scopi dell’approntamento e della partenza della flotta, dovette commettere un’altra scorrettezza, spiacevole ma anche giustificabile perché in quel momento serviva alla causa dell’Italia e della Marina.
Per rendere più plausibile verso l’alleato il convincimento che la flotta del Tirreno si apprestava realmente ad affrontare l’ultima battaglia, il mattino dell’8 settembre de Courten inviò il capitano di fregata Virginio Rusca dal feldmaresciallo Kesselring, che aveva la sua sede di Comando al Park Hotel di Frascati. Messo al corrente che Le Forze Navali da Battaglia sarebbero salpate dalla Spezia e da Genova la sera di quello stesso giorno per intervenire nella zona di sbarco di Salerno, Kesselring assicurò che avrebbe concesso per la scorta alle navi tutta la caccia tedesca disponibile. Quindi, chiamato al telefono il feldmaresciallo Manfred von Richthofen, Comandante della 2^ Flotta Aerea (2^ Luftflotte) e nipote del famoso Barone Rosso della prima guerra mondiale, lo incaricò di predisporre per dare alla flotta italiana il massimo dell’appoggio.
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Subito dopo il comandante Rusca si recò dallo stesso von Richthofen, che aveva il suo Comando all’Hotel Tuscolum, vicino alla sede dell’O.B.S. Il feldmaresciallo accompagnò l’ufficiale italiano dal suo Capo di Stato Maggiore, colonnello pilota Gorge Christl, ove in un colloquio di un quarto d’ora furono definite ed ordinate le norme d’impiego per l’intervento di tutti gli aerei tedeschi disponibili concentrandoli, per scortare le navi, sugli aeroporti più favorevoli ubicati lungo la costa tirrenica. Fu anche spiegato agli ufficiali tedeschi che il concentramento di aerei da caccia italiani sugli aeroporti del Lazio, serviva anch’esso per dare il massimo appoggio all’intervento della flotta, mentre in realtà si stavano realizzando i movimenti che erano stati pianificati dagli anglo-americani per assicurare, al momento dell’armistizio, la protezione rinforzata ai velivoli da trasporto dei paracadutisti statunitensi che dovevano arrivare nella zona di Roma. (125)
.Visto poi che gli italiani sono stati accusati dai tedeschi di palese tradimento, difficilmente cancellabile nel tempo nonostante ogni giustificazione a livello nazionale e resistenziale, forse questo spiacevole intervento dell’incolpevole Rusca poteva essere evitato. (126)
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Alle 13.30 di quell’8 settembre secondo l’ammiraglio de Courten - alle 15.40 secondo un intercettato dell’OVRA (Polizia Segreta) - Bergamini fu chiamato al telefono da Sansonetti che lo invitò a prepararsi per due possibilità: l’auto-affondamento della flotta, di cui si era discusso a Roma il giorno precedente, oppure il suo trasferimento previsto per quella notte o la notte dell’indomani.
Basandosi su un’annotazione scritta di proprio pugno da de Courten ma preparata in precedenza, Sansonetti, presente lo stesso Ministro della Marina, riferì a Bergamini: (127)
1°) Vuoi sapere se l’ordine che abbiamo dato è in relazione a ieri. L’ordine è dato in relazione agli avvistamenti: ma nella sostanza in relazione a ieri.
2°) Biancheri [ammiraglio Comandante della 8^ Divisione Navale] rimanga a Genova.
3°) Cosa potrebbe essere imminente.
4°) Scorta aerea: promessa più grande: 20 germanici - 10 italiani.
5°) Potrebbe presentarsi necessità applicare estrema misura di cui si è parlato ieri, per tutti l’ordine verrebbe dato così: Raccomando massimo riserbo. La seconda parola è quella del nome di battesimo del comune amico che ha nome = cognome. Ricevendo questa comunicazione ordinare a tutte le navi di uscire in mare e autoaffondarsi in alti fondali. Se impossibilitate a uscire si autoaffondino in porto.

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Secondo, invece, a quanto fu intercettato dall’OVRA (Polizia Segreta di Stato), il colloquio ebbe il seguente svolgimento (Prot. N. 914): (128)
Roma - Ministero della Marina - un signore [ammiraglio Sansonetti].
Spezia - Marina - il Comandante Bergamini.
Roma - Devo farti una comunicazione da parte dell’ammiraglio De Courten. Potrebbe presentarsi la necessità di applicare quell’estrema misura di cui si è parlato ieri… Quell’estrema misura…
Spezia - Per tutti?
Roma - Per tutti. L’ordine verrebbe dato con tre parole: la prima è "raccomando", la terza è "riserbo"; Quanto alla seconda parola, non te la dico, ma domanda a Caracciotti [ammiraglio e Capo di Stato Maggiore di Bergamini] il nome di battesimo del nostro comune amico che ha il nome uguale al cognome [il cardinale Massimo Massimi]: lui capirà. (129)
Spezia - Quest’ordine lo seguiremo qui stesso?
Roma - Fuori, al largo, dovunque ti trovi. Bisogna che tutti siano pronti a questo.
Spezia - Senza nessuna eccezione?
Roma - Senza nessuna eccezione.
Spezia - Il telegramma lo farete voi?
Roma - Si. Se noi non potessimo fare nessun segnale - anche questo caso si può verificare - ti regoli tu col tuo giudizio, ma l’idea che tutto è possibile, salvo ciò che in qualsiasi maniera menomasse l’onore della bandiera.
Spezia - E per i recuperi ecc?
Roma - Ci sono gli avvisi scorta, le torpediniere, le corvette: tutta questa roba non è necessario che esegua quell’ordine e la potrai adoperare per tale lavoro.
Spezia - Mi dovete fare il favore di tenermi al corrente.
Roma - Non te lo posso promettere, perché i tempi stringono.
Spezia - C’è probabilità che facciate quel segnale per quell’ordine di cui si è parlato ieri [a Roma]?
Roma - Molta probabilità, anche per questa notte o domani notte.
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Dobbiamo dire che il testo della telefonata svoltasi tra Sansonetti e Bergamini appare radicalmente differente se confrontato con quello dell’intercettazione dell’OVRA, nel quale i primi quattro punti sono praticamente inesistenti, rispetto al testo della comunicazione presentata da de Courten.
Il testo dell’intercettazione dell’OVRA mostra chiaramente che da parte dell’ex Ministro della Marina e da coloro che ne hanno condiviso le responsabilità, si è voluto mascherare l’ordine del "Raccomando massimo riserbo" con l’intervento delle Forze Navali da Battaglia nella zona di Salerno, fortemente scortate dagli aerei da caccia italiani e tedeschi, ribadendo con ciò l’idea che fino a quel momento a Supermarina era tenuta in considerazione anche questa estrema eventualità operativa.
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Ciò è servito, purtroppo riuscendovi, a rappresentare la situazione che si stava presentando a Roma come ancora incerta, mentre in realtà, con il ritorno da Torino del generale Ambrosio, tutto stava per essere deciso. In un incontro con l’ammiraglio de Courten, il mattino dell’8 settembre, Ambrosio comunicò che gli Alleati avevano respinto la proposta del Comando Supremo di concentrare la flotta alla Maddalena, avanzata con il promemoria del giorno 6 e l’indomani consegnato al generale Castellano dal colonnello De Carli. E’ pertanto chiaro che l’estrema misura comunicata da Sansonetti a Bergamini riguardava allora soltanto l’eventualità dell’auto-affondamento delle navi, in un momento in cui tra de Courten ed Ambrosio si continuava a discutere di mandarle in Sardegna, o di portarle direttamente agli anglo-americani. Si pensava che una decisione in tal senso dovesse essere presa dopo l’arrivo della risposta che avrebbe dato il generale Eisenhower al generale Rossi, che in quel momento, con il promemoria compilato assieme al generale Roatta, si apprestava a partire da Roma per Biserta assieme al generale Taylor. E su tutto questo de Courten è stato molto chiaro scrivendo nella sua relazione: (130)
"Il Capo di S.M. Generale mi comunica che gli anglo-americani avevano respinto la proposta di concentrare la flotta a Maddalena, consentendo di lasciare a disposizione di S.M. il Re un incrociatore e quattro cacciatorpediniere di scorta. Mi disse altresì che egli stava insistendo per l’accoglimento della proposta italiana e che sperava ancora di riuscire ad ottenere qualcosa. Il Capo di S.M. Generale mi comunica altresì di attendere ordini prima di far partire da La Spezia la flotta,"
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In quel momento né Ambrosio né de Courten sembravano rendersi conto che quanto disposto dagli Alleati sulla partenza della flotta erano richieste tassative e non procrastinabili, in quanto, come sappiamo, Eisenhower aveva deciso di non rimandare la diramazione dell’armistizio fissata per le ore 18.00, anche se il messaggio inviato a Roma dal Comandante in Capo Alleato non era ancora arrivato al maresciallo Badoglio. Così, quando nel tardo pomeriggio l’aereo che portava il generale Rossi e il generale Taylor atterrò a Biserta, Eisenhower aveva già parlato alla radio, e ciò impedì al Sottocapo di Stato Maggiore Generale di esporre le ragioni italiane, perché superate dagli eventi.
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Dobbiamo anche fare un’ultima considerazione. Nell’intercettato dell’OVRA delle ore 15.40, dopo aver parlato dell’auto-affondamento delle navi, Bergamini chiese a Sansonetti se vi era la possibilità che Supermarina facesse un segnale per eseguire un ordine, di cui si era parlato a Roma il giorno precedente. La risposta di Sansonetti, che vi era molta probabilità di fare quel segnale per quella stessa notte o nella notte dell’indomani, può essere interpretata con l’attuazione delle norme del Promemoria Dick, che fissava la partenza della flotta italiana subito dopo il tramonto del sole del giorno dell’armistizio. Ma può anche darsi che riguardasse la partenza delle Forze Navali da Battaglia per La Maddalena, dal momento che durante la mattinata, fino alle ore 13.45, di questo argomento si era parlato a Supermarina con l’ammiraglio Bruno Brivonesi.
Ha scritto, infatti, nella sua relazione l’ammiraglio de Courten: (131)
"Nella mattinata dell’8 settembre conferii coll’ammiraglio Bruno Brivonesi, Comandante M.M. della Sardegna, giunto in volo da La Maddalena, e dopo aver saputo da lui che era già stato messo al corrente del Promemoria n. 1 del Comando Supremo, gli impartii le disposizioni relative all’eventuale ormeggio della flotta a La Maddalena ed alla possibile presenza in quella sede della famiglia reale e di parte del Governo: gli ordinai poi di ripartire immediatamente per La Maddalena, dove infatti l’ammiraglio Brivonesi giunse prima di sera."
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Sulle istruzioni ricevute dal Ministro della Marina e dal Sottocapo di Stato Maggiore, abbiamo anche la testimonianza dello stesso Brivonesi, arrivato a Roma a bordo di un idrovolante Cant Z. 506 della 138^ Squadriglia Ricognizione Marittima, pilotato dal tenente Oreste Piantanida e con ufficiale osservatore il guardiamarina, Renato Minale. Si trattava dello stesso velivolo che era servito giorni avanti a portare Mussolini dalla Maddalena alla successiva prigionia del Gran Sasso. L’ammiraglio Brivonesi, sui colloqui tenuti con de Courten e con Sansonetti, scrisse nella sua relazione: (132)
"Mi sono trattenuto col Ministro della Marina e col Sottocapo di Stato Maggiore fino alle 13.45. Mi sono stati impartiti ordini segretissimi per la eventualità della esecuzione di una ‘Operazione T’ [difesa delle coste], della quale avevo già ricevuto istruzioni dal Comando delle FF.AA. della Sardegna durante un’apposita riunione tenuta a Bortigali il giorno 6 settembre. Oltre a ciò mi è stato ordinato di tenermi pronto a ricevere il mattino successivo nella rada di Maddalena tutte le nostre Forze Navali."
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Parte Decima
L’ultimatum del generale Eisenhower e la diramazione dell’armistizio
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Nel tardo pomeriggio dell’8 settembre, un altro dramma, si stava consumando al Comando Supremo, presso il Capo del Governo e al Quirinale, per l’arrivo del minaccioso ultimatum del generale Eisenhower che, trasmesso a Roma in tre parti (telegramma n. 45) merita di essere riportato integralmente per la sua durezza. Si tratta di un documento penoso per la Storia della nostra Patria, che ancora oggi non dovrebbe essere ignorato dai politici italiani, quando devono essere prese decisioni internazionali che poi devono essere rispettate, ad ogni costo: (133)
"Prima parte. Intendo trasmettere alla radio l’accettazione dell’armistizio all’ora già fissata. Se Voi o qualsiasi parte delle Vostre forze armate mancherete di cooperare come precedentemente concordato io farò pubblicare in tutto il mondo i dettagli di questo affare. Oggi è il giorno X ed io aspetto che Voi facciate la Vostra parte.
Seconda parteIo non accetto il vostro messaggio di questa mattina posticipante l’armistizio. Il Vostro rappresentante accreditato ha firmato un accordo con me e la sola speranza dell’Italia è legata alla Vostra adesione a questo accordo. Secondo la vostra urgente richiesta le operazioni aviotrasportate sono temporaneamente sospese. Avete intorno a Roma truppe sufficienti per assicurare la momentanea sicurezza della città, ma io richiedo esaurienti informazioni secondo le quali disporre al più presto per l’operazione aviotrasportata. Mandate subito il generale Taylor a Diserta informando in anticipo dell’arrivo e della rotta dell’apparecchio.
Terza parte. I piani sono stati fatti nella convinzione che Voi agivate in buona fede e noi siamo pronti ad effettuare su tale base le future operazioni militari. Ogni mancanza ora da parte Vostra nell’adempiere a tutti gli obblighi dell’accordo firmato avrà le più gravi conseguenze per il Vostro Paese. Nessuna Vostra futura azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella Vostra buonafede e ne seguirebbe di conseguenza la dissoluzione del Vostro Governo e della Vostra Nazione."
Generale Eisenhower
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Questa comunicazione mozzafiato, che praticamente metteva Badoglio con le spalle al muro, arrivò a Roma poco prima che radio Algeri e radio Londra, con trasmissioni delle ore 17.00, diramassero al mondo la notizia dell’armistizio. Seguì poi, alle 18.30, sempre trasmesso da radio Algeri, la lettura del proclama del Comandante in Capo Alleato. Se poi si considera che Badoglio era stato avvertito alcune ore prima dal generale Taylor, che quell’8 settembre aveva molte possibilità di essere il giorno dell’armistizio, mettendo il tutto in collegamento con l’avvistamento dei convogli Alleati diretti a Salerno, le giustificazioni del maresciallo non potevano che essere prese dal generale Eisenhower come una scusa penosa, che poi era la prova della disperazione che attanagliava l’animo di quel vecchio e deluso soldato italiano.
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La sua risposta, trasmessa alle 19.30 ad Eisenhower, mostrando molta irritazione, fu la seguente: (134)
"La mancata ricezione del segnale convenuto per radio e il dilazionato arrivo del vostro n. 45 non ha consentito di radio-diffondere la proclamazione all’ora convenuta. La proclamazione avrebbe avuto luogo come richiesto anche senza il vostro messaggio, essendo per noi sufficiente l’impegno preso. L’eccessiva fretta ha effettivamente trovato i nostri preparativi incompleti e causato ritardo."
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Badoglio non aveva del tutto torto sull’eccessiva fretta. Ma se ci fu incomprensione con gli Alleati ciò era da addebitare, come anno sottolineato gli storici dell’Esercito statunitense sul libro Sicily and surrender of Italy ad un insieme di fattori negativi verificatisi nell’ambito dei vertici militari italiani. In primo luogo al generale Ambrosio che in un momento particolarmente delicato della situazione era "assente per uno scopo privato a Torino". Poi ai generali Roatta, Rossi e Carboni: i primi due perché "tentavano di opporre cambiamenti fondamentali agli accordi conclusi da Castellano"; il terzo perché "giocava un disonesto gioco con entrambi gli Alleati e i propri superiori". (135)
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Particolarmente deleterio per l’arrivo a Roma dell’82^ Divisione fu l’ambiguo comportamento tenuto da Carboni che, concordando con le richieste avanzate ad uno spento Badoglio da Roatta e Rossi per rimandare l’armistizio, aveva denunciato al generale Taylor e allo stesso Badoglio, oltre a difficoltà logistiche per accogliere i paracadutisti statunitensi e temendo di non poteva garantire il possesso degli aeroporti della Capitale, mancanze italiane di ogni tipo; in particolare di carburante e di munizioni per i cannoni anticarro da 47 mm.; lacune che invece, almeno in parte, potevano essere facilmente superate. Basti pensare alla grossa scorta intangibile di ben 16.000 tonnellate di benzina dello Stato Maggiore dell’Esercito esistente nel deposito di Mezzocamino, sulla via Ostiense, e che invece di essere difesa ad oltranza fu catturata intatta dai tedeschi nelle primissime ore della loro reazione.
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Secondo noi, è anche da ritenere che, sull’inopportuna richiesta di rinviare l’annuncio dell’armistizio esposta da Carboni a Taylor e a Gardiner, a Roma non mancassero estimatori, di cui il generale italiano era il portavoce. I due ufficiali statunitensi, la cui Divisione avrebbe dovuto mettersi proprio a disposizione di Carboni, furono particolarmente disturbati dall’"allarmante pessimismo" dimostrato dal Comandante del Corpo Motocorazzato, che avrebbe certamente avuto una negativa influenza "nella condotta delle operazioni collegate alla Giant two". (136)
Dopo aver detto ai due americani di essere a conoscenza che lo sbarco anglo-americano si sarebbe svolto a Salerno, Carboni considerò quella località della Campania troppo distante per un aiuto diretto alla difesa di Roma. Quindi, secondo quanto il maggiore Marchesi ha scritto nella sua relazione, Carboni considerò il piano concordato da Castellano con gli anglo-americani "per lo meno imbecille"; ed arrivo perfino a dichiarare, disapprovando "il progettato esodo del Re e del Governo" da Roma, di "sconfessare ogni precedente accordo con gli Alleati", e a non esitare, "per il bene dell’Italia", a sacrificare il Gabinetto Badoglio e lo stesso Sovrano. (137)
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Ma il pessimismo e l’accentuato senso di sfiducia di Carboni erano argomenti nei quali, fermamente e per molteplici motivi più o meno giustificati, concordavano tutti i capi militari italiani; in particolare il Re e il Capo del Governo, che dovevano essere letteralmente terrorizzati al solo pensiero che la reazione tedesca si sarebbe scatenata prima che agli Alleati, sbarcando a Salerno, fossero stati in grado di raggiungere Roma, sulla cui difesa, affidata alle divisioni del Corpo Motocorazzato, evidentemente avevano scarsa fiducia; tanto che invece di restare, per galvanizzare con la loro presenza i combattimenti intorno alla Capitale, una volta constatato che non sarebbe stato possibile rinforzarne il potenziale militare con l’arrivo delle due divisioni che erano attese provenienti dal nord, preferirono la fuga.
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Per dimostrare, se ancora ve ne fosse bisogno, che l’intenzione di non combattere esisteva soltanto negli organi centrali italiani, occorre dire che alle ore 01.10 del 9 settembre il Comando del Corpo d’Armata Motocorazzato del generale Carboni aveva chiesto al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito l’autorizzazione a rispondere al fuoco contro i nuclei di soldati tedeschi che, dopo aver circondato le batterie di Ostia, si stavano avvicinando ai capisaldi tenuti dalla Divisione di fanteria "Piacenza".
Il generale Roatta aveva inizialmente dato risposta affermativa. Ma poi, con la situazione che si faceva sempre più allarmante, per le notizie che arrivavano sull’attività offensiva tedesca in ogni parte d’Italia, nei Balcani e nell’Egeo, arrivò a arrivato a sconsigliare al generale Ambrosio di emanare l’applicazione del Promemoria n. 1, per combattere i tedeschi. Quindi, da parte sua, Roatta nulla fece.
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Su questo argomento esiste il legittimo sospetto, se non la certezza, che nella lettera di Castellano, portata dal maggiore Marchesi al generale Ambrosio la sera del 5 settembre, vi fosse proprio la proposta degli anglo-americani di sostituire a Capo del Governo italiano il maresciallo Badoglio con lo stesso Ambrosio. Ciò sembrerebbe confermato da quanto è riportato in documenti raccolti dal generale Bedel Smith, pubblicati sotto il titolo "La resa dell’Italia", sui quali è detto che fin dal 31 agosto, temendo che il Re Vittorio Emanuele III potesse essere catturato dai tedeschi, era stato approntato "un piano per porre il generale Ambrosio come alternativa a Badoglio", ricorrendo ad un espediente: "Ambrosio doveva essere inviato a Palermo come radio-commentatore autorizzato del messaggio di Badoglio che annunciava l’armistizio"; ma la proposta, interpretata a Roma come una manovra per precostituire un governo fantoccio, il 6 settembre fu rifiutata. In seguito a ciò, quello stesso giorno, fu chiesto agli Alleati di mettere in salvo la Corte ed Governo, inclusi i ministri militari, mandandoli alla Maddalena, dove sarebbero stati al sicuro, protetti dalla flotta. Ma la proposta, come sappiamo, era stata rifiutata da Eisenhower, per impartire ordini operativi più energici, forse perché questa passività operativa era collegata con l’allontanamento del Re da Roma. (138).
Infatti, in quelle prime ore del giorno 9 i tre ministri militari, generali Sorice e Sandalli e ammiraglio de Courten, furono chiamati dal generale Ambrosio. Questi comunicò loro, a nome del Re, di partire immediatamente per Pescara, assieme al Sovrano e allo stesso Capo di Stato Maggiore Generale, a membri del Governo e ad alcuni alti ufficiali, tra i quali il principe Umberto e il generale Roatta.
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Sebbene fin dal giorno 6 settembre i tre ministri militari - ricevendo quelle che Sandalli definì strane "modalità" per andare al Sud o restare a Roma, che dovettero controfirmare - avessero deciso di non muoversi dalla Capitale, essi afferamaro, non sappiamo con quanta sincerità, di non essersi potuti opporre all’ordine di seguire il Re, che era stato inviato anche al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. (139)
Pertanto, forse in buona fede, si prestarono a quella fuga inopportuna, attuata in macchina per la via consolare Tiburtina, superando agevolmente i blocchi stradali tedeschi, che nulla fecero per fermare quegli importanti e riconoscibilissimi personaggi, in un momento in cui le Forze Armate italiane erano impegnate, ovunque e con estrema determinazione, dalla truppe germaniche.
Tra di loro non mancavano, naturalmente, Ambrosio e Roatta. Riteniamo che sul loro penoso e pavido comportamento dei due maggiori capi militari dell’Esercito italiano, che invece di ordinare alle proprie truppe di combattere chiedevano all’ex alleato di non farlo, non sia necessario ogni altro nostro commento dal punto di vista morale e storico. (140) Pertanto, sulla mancata diramazione dei Promemoria n. 1 e n. 2, e quindi degli ordini che erano attesi dalle truppe, ci limiteremo a riportare l’acuto pensiero dello storico tedesco Gerhard Schreiber, che ha scritto (141):
"Al momento dell’uscita dalla guerra portò stesso a confusione, incertezza ed in ogni caso a fatali ritardi nel prendere le decisioni più opportune. Tutti inconvenienti che sarebbe stato ancora possibile evitare o quanto meno limitare, se l’8 settembre il Comando Supremo e lo Stato Maggiore dell’Esercito avessero diramato un ordine inequivocabile. Proprio quello che si omise di fare; l’ordine di considerare le truppe tedesche come nemiche venne infatti impartito solo l’11 settembre. Troppo tardi, perché in quel momento l’Esercito italiano era ormai in preda al caos. (142)"
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Fatte queste precisazioni, occorre anche dire che famoso storico statunitense professor ammiraglio Samuel Eliot Morison, nella sua opera Sicily, Salerno, Anzio, è stato molto polemico con il comportamento tenuto da Taylor e sulla strategia del Comando in Capo Alleato, sostenendo: (143)
"Badoglio non fu irragionevole a prendere tempo per emanare ordini e per effettuare gli spostamenti delle truppe necessarie per salvaguardare l’aviosbarco. D’altra parte il Generale Taylor, uno specialista nelle operazioni di aviosbarco, comprese anche troppo prontamente le difficoltà e non ebbe né l’acutezza di spirito, né informazioni operative per accorgersi della montatura di Carboni. Noi avremmo dovuto andare risolutamente avanti con il piano di aviosbarco; Badoglio non avrebbe osato rifiutare la cooperazione poiché egli sapeva che se non avesse operato, il suo Governo e il Re sarebbero stati rovesciati. Il piano sarebbe potuto fallire, poiché qualunque operazione del genere è sempre molto rischiosa ,ma i benefici derivanti dalla sua riuscita erano grandi, al di là di ogni proporzione rispetto ai possibili danni derivanti da un fallimento.."
Infatti Roma non è soltanto il cuore dell’Italia, essa era allora per i Germanici il centro vitale delle comunicazioni in Italia e doveva essere in mani germaniche se le loro forze nel Meridione dovevano essere rifornite. Un riuscito lancio aereo avrebbe anche potuto costringere il nemico a ritirarsi sulla riva del Po e dell’Adige. Come invece avvenne, Roma fu sottoposta alla totale occupazione Germanica per otto mesi e gli Alleati dovettero strisciare per lo stivale combattendo i Germani fino alla fine della guerra.
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Il maresciallo Badoglio aveva anche perfettamente ragione nel denunciare ad Eisenhower la mancata trasmissione radio sulla musica di Verdi e sulle attività naziste in Argentina, che erano due dei tre segnali convenuti per indicare il giorno e l’ora dell’armistizio. Ma questa mancanza, che alcuni hanno addebitato ad una dimenticanza, per noi inconcepibile, del Comando Alleato di Algeri che non avrebbe avvertito La BBC, mon ci convince, cosi come non ci convince del tutto l’accusa fatta al generale Carboni dagli storici statunitensi nell’opera citata del Surrender , in cui è riportato: (144) "Il Comando Alleato il giorno 6 settembre aveva cancellato la musica di Verdi: gli italiani avevano ricevuto un messaggio in proposito e dato conferma ma Carboni non lo aveva trasmesso al Comando Supremo."
Gli stessi storici statunitensi, A.N. Garland, H. MacGay e M. Blumenson, ammettono però che, "per ragioni sconosciute", Londra non fece trasmettere il secondo segnale, quello "che si riferiva all’attività nazista in Argentina". Comunque fosse almeno il terzo segnale ci fu, quello del bombardamento di Frascati a mezzogiorno dell’8 settembre e quindi, come concordato, sei ore prima dell’entrata in vigore dell’armistizio.
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L’annuncio dell’armistizio doveva procedere l’inizio dello sbarco di quattro divisioni anglo-americane a Salerno a cui, come abbiamo detto, erano state destinate oltre 600 navi. Ricordiamo che il piano di sbarco dell’operazione Avalance doveva avvenire nelle prime ore del 9 settembre; e fu proprio in base a questo complesso progetto che, nelle discussioni svoltesi a Cassibile tra i generali Castellano e Bedell-Smith, era stato messo in chiaro che la notizia dell’entrata in vigore dell’armistizio sarebbe stata trasmessa da Radio Algeri alle 18.15, sei ore prima dell’inizio dell’invasione. La trasmissione fu però anticipata dalle indiscrezioni della stampa anglo-americana, riprese dalle emittenti di tutto il mondo, ma ciò avvenne soltanto un’ora e un quarto prima di quanto era stato concordato.
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Alle 17.00 - riferisce nella sua relazione il generale Giuseppe Santoro, Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica - viene intercettata "una comunicazione relativa alla conclusione di un armistizio"; notizia portata al Capo di Gabinetto del Ministro Sandalli, generale Urbani. Santoro è presente. Viene chiesta conferma al Comando Supremo dove si trovava il maggiore Vassallo, pilota del velivolo S. 79 del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica che era rientrato da Cassibile la sera del 5 settembre portando il maggiore Marchesi con i documenti dell’armistizio. Vassallo confermò la notizia. In seguito a ciò venne subito ordinato di sospendere le azioni aeree contro gli anglo-americani, e di richiamare gli aerosiluranti in volo inviati contro i convogli diretti a Salerno. (145)
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Il generale Sorice, allora Ministro della Guerra, riferì alla Commissione d’Inchiesta per la mancata difesa di Roma di aver saputo dell’armistizio alle ore 17.00 dell’8 settembre, trovandosi al Viminale, da Ambrosio, che mostrò a Badoglio il testo del telegramma di ultimatum di Eisenhower. Subito dopo, Sorice stesso avvertì i Ministri della Marina e dell’Aeronautica, de Courten e Sandalli, di recarsi al Quirinale.
Lo stesso Ambrosio confermò, riferendo alla commissione d’Inchiesta, che alle 17.30 giunse l’ultimatum del generale Eisenhower a Badoglio, il quale "dispose che si riunissero al Quirinale" i capi politici e militari; riunione, non prevista, ma concordata con il Re e passata alla Storia come Convegno della Corona. Una riunione che, secondo quanto ha puntualizzato la Commissione d’Inchiesta per la mancata difesa di Roma, "fu solo un espediente formale per far prendere una decisione collettiva, in realtà predeterminata, in cui né Badoglio né Ambrosio intendevano assumersi, personalmente, la responsabilità di fronte alla Storia". (146)
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Sempre nel pomeriggio dell’8 settembre, dopo che radio statunitense di Cincinnati, nello Ohio, aveva trasmesso la prima notizia ufficiosa della resa dell’Italia, la comunicazione era stata confermata alle 16.30 da Radio Algeri e poi ripresa alle 17.00 da radio Londra. (147)
Riferisce, nella sua relazione, il capitano di vascello Aldo Rossi, all’epoca Capo Ufficio Piani di Supermarina: L’ammiraglio Carlo Bergamini, Comandante delle Forze Navali da Battaglia, informato della trasmissione, telefonò da La Spezia a Supermarina, per chiedere se la notizia dell’armistizio era vera.
Gli fu risposto che lo era. La sua reazione, per non essere stato "tempestivamente avvertito", fu allora - come riportò l’ammiraglio Sansonetti al comandante Marcantonio Bragadin - "piuttosto vivace"; tanto che, a ragione, accu sò apertamente i responsabili di Supermarina, l’ammiraglio de Courten in particolare, di scarsa attenzione nei suoi riguardi, per averlo tenuto all’oscuro di problemi che lo riguardavano quale Comandante in Capo della Flotta. (148)
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De Courten gli spiegò che nella riunione del giorno precedente aveva cercato di far capite la situazione ma che non poteva, per ordini superiori dire di più né parlare in modo più esplicito, ed insiste poi sulla necessità che le clausole dell’armistizio [il sottolineato è nostro] siano lealmente eseguite".
La conversazione a un certo punto è interrotta perché l’ammiraglio de Courten è stato chiamato al Quirinale. Nel corso della telefonata Bergamini avrebbe detto. E adesso chi lo dice ai Comandanti?
Nel lasciare Supermarina de Courten diede ordine all’ammiraglio Sansonetti di chiamare di nuovo al telefono Bergamini per chiarirgli la situazione e fargli capire la necessità di adempiere le clausole dell’armistizio.
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Sansonetti, compagno di corso e grande amico di Bergamini, intorno alle 18.00 telefonò al Comandante delle Forze Navali da Battaglia per riferirgli, come lui stesso ha scritto in una lettera inviata nel dopoguerra al Ministro della Difesa Emilio Taviani, le seguenti testuali parole: (149)
"Il Governo dice di aver avuto assicurazione che sul trattamento del nostro Paese influirà molto l’atteggiamento della Flotta. La Flotta è l’ultima carta che ci rimane: potrà essere giocata bene o male: ma se si auto-affonda non potrà nemmeno essere giocata. Cosa ti costa di più, portare le navi al largo e affondarlo salvando gli equipaggi, oppure partire per Malta? La via del dovere e, naturalmente, la più aspra. "
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Sansonetti è stato molto più esplicito nella lettera scritta a de Courten l’11 luglio 1956, in cui, spiegando a Bergamini quale importanza avesse per il futuro dell’Italia la necessità che la Marina ottemperasse lealmente alle condizioni di armistizio, perché, si sperava, avrebbero influito nell’ottenere condizioni di pace più favorevoli per la Nazione, sostenne: (150)
La conversazione con Bergamini si svolse in tono più tranquillo della precedente. Tornò a lamentarsi di essere stato tenuto all’oscuro, lui comandante in capo in mare: mi disse che aveva sondato l’animo di alcuni comandanti e che li trovava molto restii ("non è facile persuaderli"). Gli confermai l’ obbligo perentorio del silenzio che ci era stato imposto, ma gli aggiunsi che credevamo proprio che avesse intuito la verità, come la avevano intuita Legnani e Somigli [ammiragli comandanti dei sommergibili e delle forze del traffico marittimo].
Gli ricordo bene di avergli detto queste testuali parole; "La flotta è l’unica carta che rimane al Paese. Potrà essere giocata bene o giocata male dal Governo responsabile, ma è nostro dovere obbedire agli ordini sanzionati dal Re".
Ricordo che la conversazione prese un tono commosso e fu allora che io gli dissi che molte volte la via giusta era quella che costava di più. Ricordo infine le sue ultime parole: "Bene ci penserò e vi farò sapere quel che farò. Dissi che tu ti stavi adoperando per ottenere una modifica alle disposizioni DICK e che intanto gli avremmo dato l’ordine di partire per Maddalena (del che avevamo parlato con te nell’intervallo).(151)
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Occorre anche tener conto che la dichiarazione dell’armistizio portava ad ammiragli, comandanti ed equipaggi della flotta uno stato di tensione immensa, che l’ammiraglio Bergamini, come era suo dovere, dovette giustamente mitigare e rassicurare nel corso del pomeriggio; ed in particolare, come vedremo, dopo l’annuncio dell’armistizio fatto da Badoglio alla radio, alle ore 19.15 dell’8 settembre.
Sulla violenta reazione di Bergamini, nel respingere l’imposizione di raggiungere i porti degli Alleati che evidentemente non si aspettava, abbiamo anche altre testimonianze, riferite agli ammiragli Sansonetti e al generale Sandalli. In particolare il Ministro dell’Aeronautica ha riferito nella sua relazione, per averlo appreso dallo stesso de Courten, che Bergamini "presentò le dimissioni - per telefono - sdegnato di non essere stato messo al corrente della situazione" il giorno avanti, "quando aveva appunto conferito con de Courten". (152)
In effetti la sua opposizione a recarsi a Malta continuò ad essere molto decisa, tanto che il Ministro della Marina, conversando nel pomeriggio dell’8 settembre con il generale Sandalli, gli riferì: "Ho parlato con Bergamini. Non vuole partire. Minaccia di affondare le navi". (153)
La decisione di de Courten di non riferire sugli accordi presi con gli anglo-americani, era stata indubbiamente di natura spiacevole. Tuttavia, sottolineò il generale Sandalli - anche per giustificare il suo personale operato nella tragedia che in quei giorni investì l’Aeronautica - "dato il segreto impostoci dal maresciallo Badoglio … che doveva essere assolutamente mantenuto … gli ordini non potevano essere che quelli". (154)
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Parte Undicesima
Il Consiglio della Corona al Palazzo del Quirinale e la fuga di Vittorio Emanuele III, con i membri del Governo ed i Capi Militari
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La riunione al Quirinale, dai contorni drammatici, iniziò alle ore 18.00 mezz’ora prima che il generale Eisenhower, sempre tramite radio Algeri, desse ufficialmente comunicazione del concluso armistizio tra le Nazioni Unite e l’Italia.
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L’annuncio del Comandante in Capo Alleato, che secondo gli italiani anticipava la data dell’armistizio di quattro giorni, lasciò in tutti i presenti uno stato di costernazione e d’angoscia. Ne seguirono accese discussioni, durante le quali alcune personalità, in particolare il generale Roatta ma anche lo stesso ammiraglio de Courten, si dissero propensi a respingere l’armistizio; una proposta assurda che, dopo un appassionato intervento del maggiore Marchesi - invitato alla riunione da Ambrosio per chiarire ai presenti l’importanza degli accordi stabiliti con gli Alleati - fu respinta dai più ragionevoli; perché, infatti, avrebbe portato l’Italia nel profondo di un baratro, rendendo furiosi i tedeschi e assetati di vendetta gli Alleati, che già stavano preparando, come immediata ritorsione, il bombardamento di Roma.
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Tutti i presenti, tranne naturalmente Ambrosio, apparvero inoltre indignati nei confronti di Badoglio, il più colpevole in quella situazione drammatica, per aver condotto le umilianti trattative con gli Alleati tenendo all’oscuro dei dettagli più importanti gli altri rappresentanti delle Forze Armate. Essi si trovarono di fronte al rapido evolversi degli eventi senza aver potuto tempestivamente adeguare le misure di sicurezza, poiché fiduciosamente avevano continuato a ritenere che l’armistizio sarebbe entrato in vigore soltanto dopo il giorno 12 settembre, secondo quanto aveva assicurato Ambrosio in base all’ipotesi fatta da Castellano; ipotesi che fu ritenuta valida anche dopo che il giorno 6 settembre erano apparsi evidenti i sintomi dello sbarco degli anglo-americani a Salerno, che il Comitato per la Ricognizione Strategica aveva previsto si sarebbe svolto nella notte sul giorno 9.
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Inoltre, sintomo evidente di una cieca fiducia sulla data d’armistizio ipotizzata da Castellano, portata fino al limite del ragionevole, Ambrosio non cambiò opinione neppure quando, a mezzogiorno dell’8 settembre, si era verificato il bombardamento di Frascati, che rappresentava uno dei segnali indicanti nel promemoria del generale Alexander per far conoscere il giorno dell’armistizio. (155) Al maggiore Marchesi, che gli aveva fatto rilevare quel particolare, Ambrosio rispose di non essere ciò possibile, in quanto Radio Londra non aveva ancora diramato le due trasmissioni convenzionali di musica di Verdi e sulle attività tedesche in Argentina. La dichiarazione trasmessa dall’Agenzia Reuter, un’ora e mezzo prima che fosse letto da radio Algeri il proclama del generale Eisenhower, fece crollare anche l’ultima illusione.
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Il contenuto della comunicazione radio di Eisenhower, trasmessa esattamente alle 18.30 dell’8 settembre 1943, era il seguente: (156)
"Qui il generale Dwight Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze Alleate. ."
Le Forze Armate italiane si sono arrese incondizionatamente. Come Comandante in Capo Alleato io ho accordato un armistizio militare i cui termini sono stati approvati dai Governi del Regno Unito e della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. In questo modo ho agito nell’interesse delle Nazioni Unite.
Il Governo italiano ha accettato questi termini senza riserve. L’armistizio è stato firmato da un mio rappresentante e da un rappresentante del maresciallo Badoglio e diviene effettivo da questo istante. Le ostilità fra le Forze Armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia sono adesso terminate.
Tutti gli italiani che col nuovo accordo aiuteranno a cacciare l’aggressore tedesco fuori dal suolo italiano avranno l’assistenza e l’aiuto delle Nazioni Unite
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Sul comportamento del Ministro della Marina, che durante le discussioni, rispondendo al Re, disse di non sapere nulla dell’armistizio - mentre invece erano le norme dell’atto di resa che ancora non conosceva, ma di cui fu poi messo al corrente quella stessa sera al Comando Supremo da Ambrosio - Elena Aga Rossi è stata particolarmente critica, sostenendo,: "Il comportamento schizofrenico di de Courten è uno dei tanti elementi difficili da spiegare della situazione nei giorni dal 3 all’8 settembre 1943" (157)
Ha scritto de Courten nella sua relazione:
"In questa riunione il Capo di Stato Maggiore Generale rese noto che: ."
a) l’armistizio era stato firmato fin dal 3 settembre con riserva verbale di scegliere per la sua notificazione il giorno più conveniente in relazione a preparativi militari di carattere operativo da prendere sia da parte italiana sia da parte anglo-americana;
b) il mattino dello stesso giorno il generale Eisenhower aveva comunicato di ritenere necessario di accelerare i tempi, che per conseguenza alle 18.30 avrebbe dato annuncio pubblico dell’immediata entrata in vigore dell’armistizio;
c) il Comando Supremo aveva protestato contro questa decisione improvvisa, che sconvolgeva i piani prestabiliti, e aveva inviato in volo a Palermo il Sottocapo di S.M. Generale, accompagnato dal generale americano Taylor, per indurre il generale Eisenhoower a desistere dal suo proposito;
d) l’Agenzia Reuter aveva però già diramato [alle ore 17.00] una comunicazione, la quale avrebbe in ogni caso messo in allarme il Governo e le autorità militari della Germania
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Sulla linea di condotta di Carboni, di respingere l’armistizio e di costituire un nuovo Governo, si trovarono anche il generale Sorice e dall’ammiraglio de Courten che, nei suoi Appunti tracciati a Brindisi scritti soltanto due giorni più tardi rispetto all’8 settembre, descrisse come segue lo svolgimento del Consiglio della Corona, e il suo comportamento tenuto nel corso della discussione: (158)
"p.m. Ordine di recarmi da S.M. alle 18. Arrivo. Poco dopo arriva Badoglio pallido e affranto con Ambrosio - Sorice Sandalli e generale Carboni, e Acquarone e poi Magg. Marchesi, Guariglia. Ambrosio mi dice che Eisenhower ha comunicato che alle 18 ½ comunicherà l’armistizio e questo manda a monte progetto spostamento truppe da Croazia - Albania verso coste ed azione paracadutisti americani a Roma.."
Prima entrano Badoglio - Ambrosio e Guariglia, poi tutti.
Mi chiedono parere su giorno X. Rispondo che non so nulla e che non sono al corrente dei termini dell’armistizio [il grossetto è nostro] Allora Ambrosio riesamina la situazione dicendo armistizio firmato con riserva verbale di scegliere il giorno conveniente. Comunica che ora tutto è accelerato; che è stato protestato ed inviato Rossi con il generale Taylor in volo a Palermo; che si spera Eisenhower si persuada, ma la Reuter ha già pubblicato comunicato sull’argomento.
Discussione: Guariglia dice che aveva sempre sconsigliato quest’avventura. Si va per redigere comunicato (agenzia) Stefani che smentisca Reuter, quando un ufficiale viene a comunicare che Eisenhower ha cominciato a parlare. Tableaux! Propongo che Sua Maestà sconfessi l’operato del Capo del Governo, accettando dimissioni tutto Governo e nominandone un altro: chi è favorevole, chi contrario. Sua Maestà sente tutti e poi chiede di rimanere solo, e dopo 10 minuti chiama Badoglio comunicandogli aver deciso l’accettazione dell’armistizio. Badoglio parte per l’Ejar. Noi ci rechiamo al Comando Supremo, dove vedo per la prima volta le clausole di armistizio e foglio allegato
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Sulla drammaticità del clima verificatosi durante il Consiglio della Corona, e sulla tormentata decisione di Vittorio Emanuele III di accettare il rispetto dell’armistizio appare significativo quanto è scritto nella relazione del generale Sandalli: (159)
"La riunione fu oltremodo drammatica poiché si ebbe la netta sensazione di essere messi con le spalle al muro. Gli Alleati, cioè, ci ingiungevano di dichiarare subito l’armistizio, il che significava compromettere irrimediabilmente la situazione dato che l’imprevisto anticipo coglieva in piena crisi i nostri preparativi. L’armistizio immediato rappresentava il temuto salto nel buio dal punto di vista militare mentre il rifiuto avrebbe rappresentato la sconfessione dei precedenti accordi e l’obbligo, per il Governo, di dimettersi, causando una crisi intollerabile nelle circostanze (crisi estremamente favorevole al ritorno del fascismo appoggiato, ovviamente, dai tedeschi).."
Considerato il pro ed il contro, e soprattutto gli impegni precedenti, apparve la necessità di rassegnarsi a subire la situazione sia pure considerandola di estrema gravità, e in tal senso fu espresso un esplicito parere. Sua Maestà ci congedò momentaneamente, riservandosi qualche minuto per riflettere e quindi ci fece sapere che aveva deciso di dichiarare l’armistizio. Ci ritirammo con la convinzione di avere compiuto il nostro dovere, ma con la precisa sensazione di avere segnato l’inizio di un nuovo ciclo di eventi sul quale non era possibile nutrire alcuna illusione
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Subito dopo che Eisenhower ebbe fatto a Radio Algeri l’annuncio dell’Armistizio, il tenente colonnello Dogliani fu incaricato dal generale Silvio Rossi, Capo dell’Ufficio Operazioni dello Stato Maggiore Generale, di tornare a Frascati per "comunicare a voce ma ufficialmente al Maresciallo Kesselring la conclusione dell’armistizio". A Frascati la notizia era già conosciuta e Kesselring, rispose all’ufficiale italiano, che fino a quel momento era stato alle sue dipendenze: (160)
"La comunicazione non mi sorprende. Da diverso tempo, specie dopo la Tunisia, mi ero convinto che combattere non era più nella volontà degli italiani. Questo io non potevo ammetterlo perché per noi tedeschi la sconfitta di un popolo è peggiore della morte. Non so cosa ci riserverà l’avvenire a noi e a voi. Avrei però preferito come soldato, una maggiore lealtà."
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Il generale Roatta, apprese dell’armistizio nel suo studio della sede di campagna dello Stato Maggiore dell’Esercito a Monterotondo, mentre si trovava a colloquio con il generale Rudolf Toussaint, nuovo Addetto Militare germanico a Roma, che era accompagnato dal Capo di Stato Maggiore dell’O.B.S., generale Siegfried Westphal. Mostrandosi sorpreso dalla notizia, comunicata per telefono dal colonnello von Waldemburg, Roatta rispose che si trattava di una comunicazione falsa architettata dagli alleati per screditare gli italiani con i tedeschi., Quando poi ebbe conferma dell’annuncio di Eisenhower, il generale italiano, comprensibilmente sconvolto, telefonò a Toussaint, rientrato a Roma, per scusarsi., riferendogli, come intercettarono gli agenti del S.I.M. che tenevano sotto controllo le linee telefoniche: (161)
"Voi avete tutto il diritto di non credermi ma io vi do la mia parola d’onore che mezz’ora fa quando ho detto che la notizia dell’armistizio era falsa ignoravo totalmente che essa invece fosse vera."
Toussaint non rispose, abbassò bruscamente la cornetta del telefono e subito dopo il S.I.M. intercettò una sua comunicazione telefonica con il generale Schurchant, a Berlino, al quale riferì, in modo sprezzante, che la "parola d’onore" di Roatta era una "parola d’onore italiana".
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Alle 19.30, dopo che era terminato il Convegno della Corona, il Maresciallo Badoglio comunicò alla Nazione l’armistizio, leggendo alla radio il proclama concordato con gli Alleati:
"Il Governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriore e più gravi lutti alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, Comandante in Capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accettata. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza."
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Questo proclama, considerato dagli storici e dai critici militari come un elemento di natura alquanto ambigua e sviante per una corretta interpretazione sul comportamento che gli italiani dovevano tenere nei confronti dei tedeschi, era stato compilato dal Comando Supremo in maniera alquanto dissimile nella sua ultima parte. Inviato al generale Eisenhower perché ne approvasse il testo, il proclama fu cambiato all’ultimo momento dall’ufficiale statunitense, che poi, come ha riportato Aga Rossi in Una nazione allo sbando, ne informò Roma nelle prime ore del mattino dell’8 settembre, trasmettendo:
"Il comandante in Capo per impedire qualsiasi possibilità di malintesi da parte delle nostre truppe che non sono ripeto non sono informate dei fatti chiede che l’ultimo paragrafo del Proclama sia cambiato in conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane di ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza."
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In quelle stesse ore del pomeriggio dell’8 settembre, con messaggio compilato alle ore 15.30 e trasmesso alle 16.20 Supermarina ordinò la partenza, da Genova e dalla Spezia, dei cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli, fissandone l’arrivo a Civitavecchia alle 08.00 dell’indomani. Lo scopo della missione, come sappiamo, quello di imbarcare il Re d’Italia ed il suo seguito, compresi i massimi Capi militari, da portare alla Maddalena, dove ancora si sperava sarebbero stati protetti dall’intera Forza Navale da Battaglia. Il trasferimento non si sarebbe verificato perché appena due ore dopo il proclama sull’armistizio del maresciallo Badoglio i paracadutisti tedeschi della 2^ Divisione, provenienti da Pratica di Mare, occupavano Ostia e Fiumicino. Con ciò resero impossibile la navigazione nel Tevere dei motoscafi che dovevano trasportare gli augusti personaggi per mare fino a Civitavecchia, e quindi impedirono il trasferimento del Re in Sardegna.
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Ricordiamo che il 30 agosto, consegnando una sua nota al generale Castellano per orientamento che le discussioni con gli Alleati, il maresciallo Badoglio aveva specificato, che il Re, il Principe ereditario, la Regina, il Governo dovevano restare a Roma. Ma già l’indomani, il generale Zanussi - che era stato inviato ad Algeri a discutere dell’armistizio su iniziativa di Carboni, approvata da Roatta, anche per tenere sotto controllo il comportamento di Castellano del quale non si fidava considerandolo il "maneggione" del Comando Supremo - propose al generale Eisenhower di provvedere alla salvezza del Sovrano e dei membri del Governo italiano, facendoli imbarcare "su una nave italiana che partisse da La Spezia con la copertura aerea fornita dagli Alleati". (164)
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Vittorio Emanuele III, volendo a tutti i costi abbandonare Roma per non trovarsi coinvolto nei combattimenti - anche perché, come si espresse chiaramente il Ministro della Real Casa duca d’Acquarone "il Re in mano ai tedeschi non ci vuole cascare" - ricercò allora un’altra via di scampo, ed accettò di partire per Pescara, accettando il suggerimento di Roatta. (165) Poco prima dell’alba del 9 settembre, lasciando Palazzo Caparra sede del Ministero della Guerra ove aveva trascorso la notte perché ritenuto più sicuro del Quirinale, il Sovrano, guidando una lunga fila di macchine scortate da autoblindo e da reparti di carabinieri parti da Roma, forse con il salvacondotto del feldmaresciallo Kesselring che, saggiamente, voleva a tutti i costi evitare un lungo combattimento nella zona della capitale italiana, dove passavano le strade e le ferrovie che permettevano di portare i rinforzi tedeschi al fronte di Salerno.
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La destinazione era Pescara, prescelta per quella che fu subito considerata una vera fuga, forse un baratto che indusse Kesselring a non impartìre alcun ordine per la cattura del Re e del suo seguito. Fuga che privò dalla mancata presenza del Re e dei Capi Militari un appoggio morale e di incitamento alle truppe italiane, che poi, dopo aver brevemente combattuto nella zona a sud di Roma e, a nord, del Lago di Bracciano, si arresero ai tedeschi il mattino del 10 settembre, proprio come era desiderio di Kesselring.
Per il feldmaresciallo, le vite del Re e del suo triste seguito, valevano molto poco in confronto al controllo della Capitale italiana, che rappresentava il fulcro che rendeva possibile ai tedeschi di continuare a combattere nel sud della penisola.
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Dopo un lungo trasferimento per la strada consolare Tiburtina Valeria, superando tranquillamente i posti di blocco tedeschi, i membri del corteo reale arrivarono ad Ortona, per prendere imbarco sulla corvetta Baionetta, che poi scortata dall’incrociatore leggero Scipione raggiunse Brindisi; località che, assieme a Taranto, appariva ancora saldamente in mano italiana.
E’ scritto in una relazione del Comando Supremo, che nello stato di agitazione di quelle drammatiche ore, in cui accettando un altro suggerimento del generale Roatta fu deciso di non difendere Roma, il generale Ambrosio, prima di partire per Pescara al seguito del Re, "emanava direttive affinché non fosse compiuto nessun atto ostile contro i tedeschi"; e addirittura si "opponeva alla proposta avanzata dal Capo Ufficio Telecomunicazioni" del Comando Supremo "di interrompere le comunicazioni a filo con la Germania", perché ciò poteva significare un aperto atto di ostilità. (166)
Adeguandosi a questo clima di prudenza, ed evidentemente ad ordini che arrivavano dall’alto, anche l’ammiraglio de Courten non ritenne "opportuno mettere subito in funzione il Promemoria n. 1 del Comando Supremo", che poi fu diramato soltanto alle ore 07.15 del 9 settembre - "per evitare iniziative ostili contro i tedeschi". (167)
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Per comprendere quale importanza avesse avuto per Kesselring la facile conquista di Roma, quasi senza combattere, ci rifacciamo a quanto il suo principale collaboratore, generale Westphal, narrò allo storico britannico Liddell Hart, che nel suo libro Storia di una sconfitta scrisse: (168)
"Kesselring scartò ogni possibilità di attaccare e catturare le formazioni dell’aviazione italiana, tranne quelle che si trovavano nelle immediate vicinanze delle basi operative tedesche. Delegò al comando navale tedesco in Italia il compito di impedire la fuga di navi da guerra italiane dai porti dell’Adriatico, nella misura del possibile, con gli esigui mezzi di cui disponeva, motosiluranti e sommergibili. …"
Ordinò al Comando della 10^ armata, costituito proprio allora per coordinare le operazioni delle divisioni tedesche nell’Italia meridionale, di comportarsi secondo le esigenze della situazione, cercando però di raggiungere accordi amichevoli con le forze italiane perché deponessero le armi. L’unico ordine esplicito da lui impartito preventivamente fu quello secondo cui in nessun caso i tedeschi dovevano essere i primi ad aprire le ostilità (sic)
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Lo sbarco a Salerno cominciò alla mezzanotte dell’8 settembre, preceduto di qualche ora dall’annuncio della capitolazione dell’Italia, mentre i governanti italiani se lo aspettavano parecchi giorni dopo. Furono colti impreparati a collaborare [cogli Alleati]; lamentarono che i loro preparativi non erano stati ancora portati a termine, e l’operazione aviotrasportata [statunitense] fu annullata. Ancor più di sorpresa erano stati colti i tedeschi, ma la loro reazione a Roma fu immediata e decisiva, nonostante il simultaneo sbarco a Salerno. Poiché il maggiore desiderio degli italiani era di arrendersi, in assenza degli alleati essi si arresero ai tedeschi.
Se gli italiani avessero saputo agire con la stessa abilità che avevano messo nel recitare l’esito sarebbe stato diverso. Nei preliminari, infatti, erano stati bravissimi quando si era trattato di dissipare i sospetti dei tedeschi e dissimulare l’imminente annuncio della resa …
La situazione intorno a Roma si calmò completamente quando il comandante delle forze italiane accettò nella sua integrità la proposta tedesca di resa. Ciò eliminava la minaccia ai rifornimenti della 10^ armata. Nello stesso tempo il comando tedesco in Italia si liberava dell’incubo di dover usare le armi contro gli ex alleati.
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Ma, ancora più duro fu il giudizio che sull’armistizio dette il generale Alexander nella sua relazione sulla campagna d’Italia.
Dopo aver ricordato che, al momento in cui il generale Castellano si presentò agli Alleati per trattare la resa, il Regio Esercito "aveva ancora in campo grandi armate", e vi erano nella penisola "sufficienti forze tedesche per sostenerle", Alexander fece la seguente spietata analisi, che in parte rispecchiava correttamente quella che era stata l’impostazione di pensiero del Re e dei massimi membri del Governo e militari italiani nel far condurre al generale Castellano, con i maggiori possibili vantaggi, le discussioni armistiziali: (169)
"Il fatto vero è che il Governo Italiano non decise di capitolare perché si riconobbe incapace di opporre ulteriore resistenza, ne a causa di un qualsiasi mutamento sentimentale e di convinzione intellettuale della giustizia della causa Alleata e Democratica; esso decise, come i governanti italiani avevano deciso in passato, che era giunto il momento di "correre in aiuto dei vincitori".
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Fu soprattutto una decisione dello Stato Maggiore Generale. In base a freddo calcolo, ispirato da quel "sacro egoismo" [in italiano] raccomandato da Salandra nel 1914, le alte autorità militari avevano deciso che le fortune della guerra si erano finalmente rivolte contro l’Asse. Un calcolo simile, errato come si era dimostrato poi, le aveva fatte entrare in guerra nel giugno del 1940. Il momento era stato allora scelto bene, esse sperarono anche che, mutando bandiera a questo stato di cose, avrebbero avuto abbastanza da combattere per giustificare, alla fine della guerra, il diritto ad un posto tra i vincitori alleati. Ciò avrebbe comportato di sacrificare per il momento le loro truppe dislocate nei Balcani e nella Francia meridionale, ma speravano che le armate dislocate in Italia sarebbero rimaste ragionevolmente intatte. Il calcolo fu intelligente sotto un certo punto di vista, in quanto esse percepirono nettamente che la resistenza a fianco dei tedeschi poteva prolungarsi ancora per qualche tempo; ma ci fu un grave errore di calcolo di cui esse in seguito indubbiamente si rammaricarono amaramente e se non fosse stato per tale errore avrebbero forse rinviato la loro offerta di capitolazione.
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Mancando di un esatto apprezzamento delle difficoltà della guerra anfibia, e molto male informato dal suo Servizio Informazioni circa la potenza e le possibilità delle Forze Alleate dislocate nel teatro Mediterraneo, il Comando Supremo ritenne che noi fossimo capaci di sbarcare, in qualunque località della costa italiana che avessimo scelto, forze tali che, con l’aiuto delle truppe italiane ivi dislocate, i tedeschi sarebbero stati o annientati o ricacciati in rotta dall’Italia. Il meno che tale Comando sperava era che i tedeschi sarebbero stati costretti a sgombrare tutta l’Italia a sud degli Appennini sino alla linea "Gotica".
In tal caso l’autorità del Governo Reale avrebbe continuato ad esercitarsi sulla maggior parte del paese, la capitale sarebbe stata al sicuro, le Forze Armate Italiane sarebbero rimaste in potenza con il Comando Supremo efficiente, e l’Italia sarebbe riuscita a prendere il suo posto tra le Nazioni Unite".
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Purtroppo, come sappiamo, gli avvenimenti si svolsero in maniera ben diversa, portando il Paese alla catastrofe militare e istituzionale. Ancora oggi se ne risentono le conseguenze; basti pensare allo scarso peso politico dell’Italia che, rispetto alle grandi potenze vincitrici della seconda guerra mondiale è esclusa, con Germania e Giappone, dall’avere un seggio permanente nell’ambito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
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Occorre poi dire che, pochi giorni dopo l’arrivo a Brindisi, i rappresentanti del Comando Supremo,essendo venuti a conoscenza delle difficoltà riscontrate dagli anglo-americani nel settore dei trasporti marittimi, e della scarsità di divisioni assegnate all’invasione della penisola italiana, si accorse dell’errore di valutazione commesso nel sopravvalutare le possibilità di sbarco degli Alleati. Commentando lo stato di crisi appena superato dalla 5^ Armata del generale Clark nella zona di Salerno, l’Ufficio Operazioni del Comando Supremo, con la lettera n. 1898/Op del 9 ottobre 1943, comunicava al generale Ambrosio: "è molto probabile che se i tedeschi avessero potuto contare sul concorso attivo delle FF.AA. italiane l’operazione Avalanche si sarebbe risolta in un grandissimo insuccesso". (170) Da parte sua, Ambrosio, scrivendo il 10 ottobre al generale Castellano, fu ancora più drastico, sostenendo: "I vantaggi agli alleati per la nostra dichiarazione di armistizio sono stati di per se stesso enormi. Se avessimo avuto le nostre divisioni tra Salerno e le Puglie, invece che a Roma, non sarebbero mai sbarcati". (171)
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Parte Dodicesima
La diramazione degli ordini di Supermarina della sera e della notte tra l’8 e il 9 settembre
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Sulla trasmissione dell’armistizio, che non poteva sfuggire alle radio di tutto il mondo sintetizzate continuamente sull’emittente di Londra, l’ammiraglio di Squadra Sesto Sestini, all’epoca degli avvenimenti capitano di vascello e Capo di Stato Maggiore dell’ammiraglio Bruto Brivonesi, Comandante di Marina Taranto, ha lasciato questa testimonianza: (172)
"In seguito alla prima trasmissione di radio Londra della sera dell’8 settembre, mentre il Comandante in Capo del Dipartimento di Taranto stava rientrando in sede da Roma dove era stato convocato, fu preparato il seguente telegramma a Supermarina e contemporaneamente furono prese un certo numero di disposizioni relative alla distruzione di documenti, cifrari, ritiro di materiali delle unità in rada di cui si era previsto l’affondamento: P.A. - Da Marina Taranto a Supermarina Roma - 83433 Decifri da solo - Salvo ordini contrari ho disposto che navi non dico non siano consegnate a Marina inglese aut Stati Uniti ma auto-affondate alt 2359/001009." (173)
Questo messaggio arrivò a Supermarina alle 00.55 del 9 settembre e fu distribuito alle 01.15. Nel frattempo - dovendo rispettare le norme dell’armistizio che prevedevano per le navi, secondo quanto era fissato nel Promemoria Dick, di raggiungere al più presto i porti Alleati - Supermarina con messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) trasmesso alle ore 20.51 dell’8 settembre al Comando della 5^ Divisione Navale (corazzata Duilio), che si trovava dislocata a Taranto, ordinava: (173)
"SUPERMARINA - 47509 - Tutte le navi in condizione di muovere passino pronte in due ore - 203708".
In precedenza, alle 21.40 dell’8 settembre, dopo il proclama alla Nazione letto alla Radio (19.45) dal Capo del Governo italiano che annunciava l’armistizio dell’Italia, il Comando Supremo aveva trasmesso agli Alti Comandi delle Forze Armate il seguente messaggio: (174)
"PROT. 16724/OP PUNTO At Ecc. Esercito Marina Aeronautica Comandante Gruppo Armate Est Comandante Undicesima Armata Governo Egeo et P.C. Ecc. Ministro della guerra alt Il Governo Italiano ha chiesto un armistizio al Gen. Eisenhower Comandante in Capo delle forze armate alleate alt In base alle condizioni di armistizio /,/ a partire dalle ore 19.45 di oggi 8 settembre dovrà cessare ogni nostro atto di ostilità verso le forze armate anglo-americane alt Le forze armate italiane dovranno però reagire colla massima decisione ad offese che provenissero da qualsiasi altra parte alt Generale Ambrosio." (175)
Nello stesso tempo, alle 21.30, fu trasmesso l’ordine di raccomandava di proteggere i prigionieri Alleati, come disposto dalle norme dell’armistizio:
"NR. 16726/OP (.) At Superesercito Supermarina et Superaereo (alt) In relazione condizioni d’armistizio in corso diramazione ordino che i prigionieri di guerra del gruppo anglo-americano siano protetti da ogni tentativo di cattura da parte tedesca /;/ qualora l’azione tedesca diventi insostenibile i prigionieri siano senza altro messi in libertà (.)/ Generale Ambrosio (.)/ 21200809 (.)"
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In seguito alla diramazione dell’armistizio da parte del Comando Supremo, alle 23.45 Marina Taranto trasmise a tutti i Comandi dipendenti (Marina Brindisi, Marina Crotone, Marina Gallipoli) il sotto riportato messaggio: (176)
"Il Governo italiano ha chiesto un armistizio, che è stato accordato. Pertanto le ostilità sono cessate. Ciò non significa che le forze armate abbiano esaurito i loro compiti. Occorre restare vigili e pronti a qualsiasi evento contro chiunque attentasse alle nostre navi ai nostri stabilimenti, ed alla tranquillità e sicurezza della nostra Patria. Tutti i comandi di reparto riuniscano il personale dipendente illustrando le ragioni che impegnano a continuare a vegliare in armi - 213608."
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In quelle stesse ore della tarda serata, Supermarina compilava una serie di messaggi con precedenza PAPA, che furono trasmessi a tutti i Comandi Militari Marittimi. A Marina Taranto fu inviato alle ore 24.00 nella seguente forma: (177)
"SUPERMARINA - 46352 - Sono sospese le ostilità (alt) Informate tutti i Comandi dipendenti (alt) 223308."
Contemporaneamente fu provveduto ad informare tutte le unità in mare, con il seguente ordine di Supermarina, trasmesso anch’esso alle ore 24.00 con precedenza di urgenza "PAPA: (178) SUPERMARINA - 46339 - Le ostilità sono sospese (alt) Raggiungete i porti di destinazione senza compiere alcuna attività bellica (alt) 223408."
Seguì tutta una serie di telegrammi che, tra l’altro, riguardarono:
- l’ordine impartito a Marina Napoli, di non fare alcuna resistenza ad eventuali sbarchi degli Alleati nella zona di Salerno;
- l’ordine alle navi militari mercantili italiane, che si trovavano in mare, di raggiungere i porti di destinazione senza compiere alcuna attività bellica;
- l’ordine a Marina La Spezia, che poi lo trasmise ai Comandi di Marina Genova, Livorno e Piombino, di lasciar partire le navi germaniche secondo ordini che avrebbero ricevuto dal loro Comando, facendosi dare le previsioni del trasferimento per evitare incontri non conosciuti con unità italiane.
Fu poi provveduto a portare a conoscenza dei sommergibili, che avrebbero potuto intervenire nella zona di sbarco di Salerno, la notizia della fine delle ostilità con le nazioni anglo-americane, e di raggiungere i porti degli Alleati issando a riva la bandiera e sul secondo periscopio un grande pennello nero, come segno distintivo di riconoscimento. (179)
La successione dei telegrammi, inviati ai sommergibili che si trovavano in Mare nelle zone del Tirreno e dello Ionio, fu la seguente: (180)
"MARICOSOM - Dalla ricezione del presente ordine compito esclusivamente ripeto esclusivamente esplorativo - 195008."
"MARICOSOM - Alla ricezione presente messaggio cessate ogni ostilità (alt) Accusate ricevuta - 211008" [trasmesso alle ore 22.00 e ripetuto ogni ora].
"MARICOSOM - Immergetevi subito at quota metri 80 (alt) At ore 0800 giorno 9 emergete rimanendo in superficie con bandiera nazionale a riva et pennello nero al periscopio di prora (alt) Riceverete ulteriori ordini (alt) Accusate ricevuta - 215208" [trasmesso alle 22.00 - 23.00 - 24.00].
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Sempre nella tarda serata dell’8 settembre, furono anche diramati ordini per tutti i Comandi di Marina dislocati al di fuori del territorio nazionale, in Europa ed anche in Asia, con i seguenti messaggi, trasmessi da Supermarina con caratteristica d’urgenza PAPA: (181)
A Marisudest (Pireo), alle ore 21.12: "SUPERMARINA - 47537 - Partite per Lero con tutte le unità in condizioni di muovere alt Affondate le altre alt Assicurate - 203608".
A Mariprovenza (Tolone), alle ore 21.43: "SUPERMARINA - Riservato Personale - Cedete la Piazza alle Autorità germaniche e chiedete loro libero passaggio per rientrare in Italia con tutti vostri dipendenti - 210708."
Al Comando Superiore Navale in Cina, alle ore 22.00: "SUPERMARINA - 47690 - Navi e sommergibili tentino raggiungere porti inglesi aut neutrali oppure si auto-affondino - 210408."
A Betasom (Bordeaux), alle 22.48: "SUPERMARINA - 47615 - Distruggete i sommergibili italiani ordinate di restituire i sommergibili tedeschi alle autorità germaniche e chiedete libero passaggio per rientrare in Italia con tutti vostri dipendenti - 210808."
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Occorre purtroppo dire che, mentre venivano restituiti ai tedeschi i nove sommergibili in addestramento nel Baltico (sigle da S. 1 a S. 9) i due sommergibili che in quel momento si trovavano a Bordeaux (Finzi e Bagnolini), non si auto-distrussero, ma caddero in mano ai tedeschi, che, in entrambe le occasioni, trattennero gli equipaggi.
Lo stesso accadde per gli equipaggi di Tolone. Nessuna nave, ad eccezione della nave coloniale Eritrea che si trovava in mare, e che riuscì a raggiungere l’India, sfuggì alla cattura dei giapponesi. Essi, tra l’altro, si impossessarono anche di tre sommergibili (Cappellini, Torelli e Giuliani) che si trovavano a Sebang (Sumatra) per imbarcare gomma e stagno da trasportare in Europa. (182)
Infine, le navi che si trovavano al Pireo (un cacciatorpediniere, cinque torpediniere e numeroso naviglio minore) subirono la stessa sorte dei sommergibili di Bordeaux; ossia furono praticamente consegnati intatti alle autorità navali tedesche. Ciò avvenne anche con scambio del saluto tra gli equipaggi, com’é dimostrato, in modo eloquente, dalle fotografie scattate nell’occasione.
Ritornando alla diramazione degli ordini, nelle prime ore del mattino del 9 settembre, Supermarina ricevette dal Comando Supremo il seguente messaggio, trasmesso, alle 21.10 dell’8 settembre, anche a Superaereo, Comando Gruppo Armate Est, Comando 11^ Armata, Comando Superiore FF.AA. Egeo. In esso, per la parte concernente la Marina, era detto: (183)
"Mezzi della Marina da Guerra et piroscafi dislocati nei vari porti della Grecia et Creta dovranno rientrare subito in Patria alt Unità che stessero per cadere in mano germanica dovranno auto-affondarsi alt Naviglio dislocato in porti Egeo rimarrà in porto alt Naviglio in navigazione dirigerà sui porti italiani o dell’Egeo alt. Tutte le truppe di qualsiasi forza armata dovranno reagire immediatamente et energicamente et senza speciale ordine at ogni violenza armata germanica et della popolazione in modo da evitare di essere disarmati o sopraffatti. Non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro germanici - 021509."
.Ricordiamo che tutti i contingenti e Comandi di Marina dislocati a Creta e in Egeo dipendevano dal Comando Supremo, dal quale ricevevano direttamente gli ordini.
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Parte Tredicesima
Parte Quattordicesima
Le discussioni telefoniche della sera dell’8 settembre tra gli ammiragli de Courten e Bergamini e l’ordine per il temporanmeo trasferimento delle Forze Navali da Battaglia alla Maddalena
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Vediamo ora quale fu la successione degli ordini di Supermarina diramati alla flotta e ai Comandi Militari Marittimi la sera dell’8 settembre e nella giornata del 9, e le notizie e i messaggi ricevuti, in particolare quelli provenienti dal Comando delle Forze Navali da Battaglia fino al momento dell’affondamento della nave ammiraglia, la corazzata Roma.
La sera dell’8, poco dopo la proclamazione dell’armistizio era stato trasmesso in chiaro dai britannici il proclama alla Marina italiana da parte dell’ammiraglio Cunningham, Comandante in Capo delle Marine Alleate, in cui, tra l’altro, si affermava: (184)
"Navi nel Mediterraneo, salpate verso porti al sicuro dall’interferenza delle forze armate tedesche, salpate alla volta dell’Africa settentrionale di Gibilterra di Tripoli di Malta di Haifa di Alessandria o della Sicilia per attendere di là l’esito conclusivo."
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Fu forse in conseguenza di questo proclama, il quale, praticamente, invitava a consegnare le navi all’ex nemico che, come abbiamo detto, l’ammiraglio Bruto Brivonesi, Comandante di Marina Taranto, alle 00.55 aveva chiesto a Supermarina di autorizzarlo ad affondare le navi per non consegnarle alle marine Alleate.
Poco dopo, con messaggio compilato alle 00.30, Brivonesi aveva ordinato all’ammiraglio Da Zara, Comandante della 5^ Divisione Navale, quanto segue: (185)
"50057 - I comandanti tengano presente che senza ordine nessuna unità del R. Naviglio dovrà essere consegnata in mani di militari di altre nazioni alt In caso non si riuscisse ad opporsi ad un tentativo del genere l’unità dovrà essere affondata a mezzo di apertura Kingston e delle prese dei condensatori alt Brivonesi - 003009."
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Le stesse preoccupazioni attanagliavano l’animo dell’ammiraglio Bergamini, che trascorse il pomeriggio e la sera a discutere con Supermarina, sull’opportunità di portare le sue navi a Malta, per rispettare gli impegni presi con gli Alleati. Era un’eventualità che Bergamini comprensibilmente e con ragione, aborriva; anche perché, come ha riferito lo stesso ammiraglio de Courten, che nel tardo pomeriggio, al ritorno dal Convegno della Corona, ebbe un altro "breve e drammatico colloquio" telefonico con il suo subalterno che,non intendeva assolutamente andare a Malta. Bergamini, riferisce de Courten, "mi manifestò in forma vibrata il suo stato d’animo". Aggiunse che considerava la "reticenza" del Ministro della Marina "come una palese prova di sfiducia verso di lui e chiedeva in conseguenza di essere immediatamente esonerato dal Comando in Capo della Flotta". Quindi affermò "concitato che non intendeva assolutamente andare a fare il guardiano delle navi da consegnare agli inglesi". (186)
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Su quella e altre discussioni abbiamo, quale prova praticamente inconfutabile, la testimonianza del capitano di vascello Aldo Rossi, Capo Ufficio Piani di Supermarina, che in una sua relazione degli avvenimenti scrisse: (187)
"Alle ore 17 circa Radio Londra ripete la notizia, già trasmessa da Radio Algeri, della conclusione di un armistizio tre le Nazioni Unite e l’Italia: L’Ammiraglio de Courten prende subito contatto con il Comando Supremo per avere conferma della notizia e, successivamente si reca a Palazzo Vidoni [sede del Comando Supremo] dove impartisce all’Ammiraglio Sansonetti le direttive per i primi provvedimenti. Si reca poi al Consiglio dei Ministri [Convegno della Corona al Quirinale], che era stato convocato d’urgenza.."(188)
L’ammiraglio Sansonetti telefona intanto all’ammiraglio Bergamini, che aveva richiesto conferma della notizia della conclusione di un armistizio, che essa è sostanzialmente esatta e che, quale misura precauzionale, la flotta deve essere pronta a partire per Maddalena in applicazione del promemoria n. 1 [del Comando Supremo] (caso d’attacco germanico)
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Al Comando Supremo viene consegnato all’ammiraglio de Courten il foglio 16725 in data 8 settembre, argomento "condizioni d’armistizio" che contiene il riassunto, in data 3 settembre, delle condizioni d’armistizio, nelle quali per quanto riguarda la Marina, è detto:
"4. - Trasferimento immediato in quelle località che saranno designate dal Comandante in Capo alleato, della flotta e della aviazione italiana, con i dettagli di disarmo che saranno fissati da lui"
Durante il Consiglio dei Ministri, il Ministro della Marina viene messo a conoscenza delle clausole esatte riguardanti la R. Marina e ne rimane profondamente colpito.
Gli viene anche comunicato che le clausole dell’armistizio, come pure il contegno delle Nazioni Unite, potranno essere modificate a favore dell’Italia in relazione all’atteggiamento dell’Italia durante il resto della guerra.
Tale promessa risulta anche dal foglio n. 16728 del Comando Supremo in data 9 Settembre (ma che certamente l’Ammiraglio de Courten vide l’8 nel quale è detto:
"La misura in cui le condizioni saranno modificate a favore dell’Italia dipenderà da quanto verrà effettivamente fatto dal Governo e dal popolo italiano per aiutare le Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della guerra".
Alle ore 19,30 il Maresciallo Badoglio legge alla radio il seguente proclama [omesso]:
Rientrato al Ministero, l’Ammiraglio de Courten, dopo aver proceduto ad un attento esame della situazione, vuole sentire il parere del Grande Ammiraglio Thaon
de Revel, prima di prendere una decisione definitiva. (189)
Il Grande Ammiraglio, dopo essersi ritirato a meditare per un quarto d’ora, comunica all’Ammiraglio de Courten che ritiene che la Marina debba obbedire agli ordini.
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L’Ammiraglio de Courten, confortato da questo parere, e, soprattutto, in considerazione del vantaggio che può derivare al Paese da una leale esecuzione delle clausole dell’armistizio, e per conservare all’Italia l’unica forza saldamente organizzata ancora operante, decide di eseguire direttamente gli ordini ricevuti.
Alle 20.30 l’Ammiraglio de Courten telefona all’Ammiraglio Bergamini le condizioni dell’armistizio e l’ordine di eseguirle: l’Ammiraglio Bergamini protesta per essere stato tenuto all’oscuro degli avvenimenti fino ad allora, malgrado la telefonata delle 18.05, e l’ammiraglio de Courten gli assicura che le condizioni dell’armistizio gli erano state comunicate solo poco prima.
L’Ammiraglio Bergamini domanda venga mantenuto l’ordine di recarsi a La Maddalena dove avrebbe intenzione di comunicare alle unità dipendenti le condizioni di armistizio e le modalità di esecuzione. L’Ammiraglio de Courten approva anche perché recandosi direttamente nei porti distantissimi le unità non avrebbero potuto giungervi in ore diurne (come richiesto dagli anglo-americani)[sic].
D’altra parte non conveniva ritardare la partenza da La Spezia dove i pericoli di attacchi tedeschi e di imbottigliamento con mine sono gravissimi.
Viene inoltre telefonato a tutti gli Alti Comandi periferici il messaggio convenzionale previsto per l’applicazione del promemoria n. 1 (misure per il caso di attacco germanico). Viene ordinato di cessare le ostilità contro gli anglo-americani.
Alle 20.30, come ha specificato il comandante Rossi, Supermarina inviò a Bergamini "le condizioni dell’armistizio e l’ordine di eseguirle". Ricordiamo al proposito che l’ammiraglio Sansonetti ha riferito di aver detto a Bergamini, nel suo colloquio telefonico delle ore 18.00, che gli avrebbe inviato gli ordini per la partenza della flotta. (190)
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Prima di passare a descrivere come si attuò il passaggio della flotta dai porti italiani a quelli controllati dagli anglo-americani, vediamo quale fu la situazione in atto nella Capitale, nel corso della notte tra l’8 e il 9 settembre, situazione che fu definita "caotica".
Subito dopo che si era concluso al Quirinale il Consiglio della Corona, mentre il maresciallo Badoglio si recava alla radio per annunciare l’armistizio alla Nazione, in una riunione tenuta a Palazzo Vidoni, sede dello Stato Maggiore Generale , il generale Ambrosio lesse, per la prima volta, ai ministri militari - assente il Capo di Stato Maggiorte dell’Esercito, generale Roatta, che si trovava ancora a Monterotondo - le clausole dell’armistizio corto. Dette anche disposizioni che raccomandavano di proteggere i prigionieri alleati, come era stabilito nelle norme armistiziali, ed impartì ordini affinché il previsto piano di interrompere i collegamenti germanici non venisse attuato fino a quando non fosse risultato che i tedeschi avessero preso l’iniziativa, con atti di sabotaggio o di ostilità. (191)
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Oltre ad assumere nei confronti dei tedeschi una condotta militare di cautela che non aveva più motivo di esistere dopo la dichiarazione dell’armistizio e la prevedibile violenta reazione degli stessi tedeschi, apparve poi palese, come scrisse il generale Sandalli, "l’impossibilità di coordinare la nostra azione con quella degli Alleati" anglo-americani. (192)
L’ammiraglio de Courten, da parte sua scrisse che nel corso di quella riunione ebbe "conoscenza delle clausole dell’armistizio firmato il 3 settembre", e che "la lettura di tali clausole, per la parte che riguardava la Marina", gli "permise di comprendere il significato del Promemoria Dick". (193)
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Fu poi diramato ai tre ministri delle Forze Armate, al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Armate, al Ministro della Produzione Bellica e a quello dell Comunicazioni, copia del solo testo dell’armistizio corto, firmato il 3 settembre dal generale Castellano, che fu inviato con lettera di trasmissione firmata anch’essa dal generale Ambrosio e, per copia conforme, dal Capo del I Reparto del Comando Supremo, generale di brigata Silvio Rossi, in cui era riportato: (194)
"Trasmetto per l’ integrale esecuzione [sottolineato nel testo] copia delle condizioni di armistizio; l’attuazione delle condizioni di competenza degli Stati Maggiori dovrà avvenire con modalità già comunicate verbalmente."
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Nella lettera di trasmissioni inviata a Supermarina, fu aggiunta a mano, la seguente annotazione: "Ricordo l’integrale esecuzione nell’interesse del Paese".
Alla diramazione del testo dell’armistizio corto seguì l’invio del testo delle condizioni di armistizio fissate nel Memorandum di Quebec che il generale Silvio Rossi fece pervenire al Ministero della Marina nelle prime ore del 9 settembre.
Su questi avvenimenti, il Ministro della Marina scrisse nella sua relazione: (195)
"Discussi col Capo di Stato Maggiore Generale l’eventualità di ordinare l’auto-affondamento delle unità della flotta, emanando il prescritto ordine convenzionale [Mantenere massimo riserbo]. Ma avendo preso conoscenza di un foglio allegato al testo dell’armistizio [Memorandum di Quebec] nel quale era esplicitamente affermato che il trattamento definitivo del quale avrebbe fruito l’Italia sarebbe stato connesso con la lealtà con la quale sarebbero state eseguite le clausole dell’armistizio, venne deciso di dare pronta e completa approvazione all’accordo concluso dal R. Governo ed esplicitamente approvato da S.M. il Re nella riunione svoltasi poco prima al Quirinale. Dovetti tuttavia far presente che, data l’ora ormai avanzata e lo stato di approntamento delle forze di superficie, non era possibile applicare integralmente e immediatamente il Promemoria "Dick", il quale prevedeva la partenza delle unità italiane dalle nostre basi al tramonto per essere all’alba del giorno successivo, con navigazione ad altissima velocità, in punti prestabiliti. ."
Mi recai subito al Ministero, per l’emanazione di tutti gli ordini relativi all’applicazione delle clausole dell’armistizio, dopo aver pregato il Comando Supremo di inviarmi al più presto copia integrale del protocollo di armistizio
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In questa parte della relazione dell’ammiraglio de Courten vi sono esposti fatti di cui egli era a conoscenza fin dal mattino del giorno 6 settembre, e in base ai quali, come abbiamo visto, aveva preparato i suoi due promemoria per il Comando Supremo, uno dei quali di protesta per come erano state condotte le trattative armistiziali, senza la presenza di un rappresentante della Marina. Inoltre parla di autorizzazione del Re all’accordo dell’armistizio concluso dal Governo che, in realtà, era già stata data dal Sovrano quando, il 3 settembre, il generale Castellano era stato autorizzato a siglare l’atto di resa. Occorre poi dire che per lo spostamento delle navi in acque nazionali, l’autorizzazione del Re non serviva, anche perché tutti gli ordini che Supermarina trasmetteva allora alle navi, si svolgevano in connessione con gli spostamenti previsti nel Promemoria Dick.
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Anche il successivo colloquio telefonico del Ministro della Marina con il Comandante delle Forze Navali da Battaglia, che si sarebbe svolto intorno alle 20.00, non appare convincente; perché vi sono trattati argomenti che sarebbero già stati discussi vivacemente con Bergamini prima del Consiglio della Corona - in cui de Courten avrebbe cercato di imporre al Comandante della flotta l’ordine di partire per Malta - nonché argomenti che, come vedremo, sarebbero stati poi discussi, in un nuovo "drammatico" colloqui telefonico delle ore 23.00, di cui. de Courten è stato piuttosto vago nella sua relazione, riportando: (196)
"Presi poi contatto telefonico coll’ammiraglio Bergamini, giacché mi appariva urgente ed indispensabile esaminare la situazione morale della Squadra da battaglia, la quale, essendo pronta ad andare a combattere, e quindi portata a quella temperatura che era indispensabile per affrontare una prova suprema, veniva a trovarsi da un momento all’altro nelle condizioni di dovere invece praticamente consegnarsi nelle mani del nemico. L’ammiraglio Bergamini, colto di sorpresa sia dalla notizia dell'armistizio sia dalle conseguenze che ne derivavano nei riguardi della Flotta, fece presente che lo stato di spirito degli ammiragli e dei comandanti sottordini, che egli aveva convocato immediatamente, non appena reso noto alla radio l'armistizio, era unanimamente orientato verso l’auto-affondamento delle navi .
Gli risposi che si chiedeva loro un sacrificio anche più grave, quello di adempiere lealmente ed a qualunque costo alle dure condizioni dell’armistizio: questo sacrificio amarissimo avrebbe potuto portare in avvenire grande giovamento al Paese. Gli prospettai l’opportunità di partire al più presto colla Squadra per La Maddalena, dove era già stato tutto predisposto per l’ormeggio delle navi, in modo da sottrarre subito le navi alla minaccia tedesca, all’influenza dell’ambiente terrestre, alle ripercussioni di contatti e discussioni fra stati maggiori e fra equipaggi di unità diverse.
L’ammiraglio Bergamini dopo qualche minuto mi confermò che la Squadra sarebbe partita al più presto con tutte le unità presenti a La Spezia, comprese quelle in lavori purché in grado di muovere, sia pure con una sola motrice. Lo assicurai che nessuna clausola dell’armistizio prevedeva che le nostre navi dovessero ammainare la bandiera od essere cedute e gli comunicai che la decisione di accettare l’armistizio era stata presa per ordine di S.M. il Re e che il Grande Ammiraglio [Thaon di Revel], insuperabile esempio di dirittura di carattere e di sentimento dell’onore militare (col quale avevo conferito poco prima) [il sottolineato è nostro per dimostrare che questo colloquio si svolse durante l’ultima telefonata delle ore 23.00], mi aveva confortato col suo prezioso parere
Gli dissi infine che a La Maddalena, il giorno successivo, avrebbe trovato gli ordini per la sua successiva linea di azione: Lo incaricai di mettere il Comandante in Capo del Dipartimento di La Spezia [ammiraglio di squadra Giotto Maraghini] al corrente delle mie comunicazioni. Alle due della notte la Forza Navale era tutta in movimento, compresi i reparti dislocati a Genova.."
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Ancora una volta, nelle sue Memorie, l’ammiraglio de Courten fornisce un’altra versione dei fatti verificatisi nel pomeriggio e la sera dell’8 settembre da quelli descritti da Sansonetti e confermati da Sandalli. Non fa cenno ad un colloquio telefonico con l’ammiraglio Bergamini avvenuto prima della convocazione al Quirinale. Afferma anzi che "il breve e drammatico colloquio" si svolse " fra le 20.30 e le 21.00 " e che "poco prima delle 23.00 il campanello trillò di nuovo. Era l’ammiraglio Bergamini che mi dava la tanto attesa risposta". (197)
In realtà, l’ultimo colloquio delle 23.00 tra Bergamini e il Ministro della Marina, che lo invitava a lasciare con le sue navi La Spezia al più presto per non esservi imbottigliato dalla reazione tedesca, ebbe veramente risvolti drammatici, più di quanto abbia accennato de Courten, e ne abbiamo una testimonianza inconfutabile, che proviene dall’ammiraglio Enrico Accorretti, Comandante della 9^ Divisione Navale. Ma andiamo per ordine, a partire dal momento in cui, alle 22.00, l’ammiraglio Bergamini riunì gli ammiragli, i comandanti e i capo servizi delle Forze Navali da Battaglia sulla corazzata Vittorio Veneto, che era l’unica nave della flotta ancora collegata telefonicamente con la terra, trovandosi le altre unità già in rada, pronte per partire.
Bergamini - che aveva già parlato ai suoi ammiragli e ai suoi comandanti delle unità dipendenti presenti alla Spezia riuniti, alle 18.00, sulla corazzata Roma, preannunziando ore particolarmente difficili per la Marina e per la Patria - aveva fissato la nuova riunione sul Vittorio Veneto per le 22.00 con messaggio diramato alle 21.30 a tutte le navi della flotta. Nel corso della riunione, alla quale parteciparono non soltanto i comandanti ma anche i loro capi di stato maggiore e gli ufficiali capo servizi, il Comandante della Forze Navali da Battaglia, che appariva particolarmente amareggiato, spiegò il significato dell’armistizio.
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L’ammiraglio Bergamini, per le dichiarazioni fornite nelle loro relazioni e per lettere confidenziali da alcuni ufficiali superiori che parteciparono alla riunione, forse non potendo, o non volendo, fornire per ordini superiori informazioni sulla destinazione finale delle sue navi in un porto degli Alleati, si limitò a mettere al corrente i Comandanti sulla situazione politica in atto. Egli sostenne che la Marina doveva restare unita in quella tragica ora, ed informò che la flotta sarebbe salpata quella stessa sera per trasferirsi a La Maddalena. Aggiunse che gli ordini arrivavano da Sua Maestà. Ha poi riferito il capitano di vascello Antonio Raffai, all’epoca comandante del cacciatorpediniere Velite, che nel corso della riunione l’ammiraglio Bergamini disse chiaramente: "Se qualche comandante non si fosse sentito in grado di ottemperare all’ordine di portare la sua nave sotto la giurisdizione alleata… poteva farlo presente". Tutti rimasero in silenzio. (198)
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L’ammiraglio Oliva, Comandante della 7^ Divisione Navale - per averlo appreso nel novembre 1948 dagli ammiragli Sansonetti e Emilio Ferreri, quest’ultimo all’epoca Segretario Generale - ha scritto in una sua Nota, conservata nelle carte di de Courten: (199)
"L’ammiraglio Bergamini seppe di dover andare a Bona ecc…in una conversazione telefonica avuta col Ministro de Courten nel pomeriggio dell’8 settembre (verso le 18 - 19), presumibilmente dopo il rapporto degli Ammiragli e Comandanti di quel pomeriggio stesso [sulla Roma]. Cosicché la sera, quando, alle ore 22, vi fu il secondo rapporto della giornata degli Ammiragli e Comandanti [sulla Vittorio Veneto], egli sapeva tutto ma non disse niente né agli Ammiragli né ai Comandanti [sottolineato nel testo]."
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L’ammiraglio Bergamini restò sulla Vittorio Veneto, come riferisce de Courten nelle sue Memorie, tra le ore 21.00 e le ore 23.00; ed in questo periodo ebbe una sola telefonata, alle 23.00, (200) con il Ministro della Marina, presente l’ammiraglio Accorretti, che avendo udito tutto della accesa discussione, scrivendo nell’immediato dopoguerra all’ex Ministro della Marina, gli ricordò testualmente: (201)
"Bergamini buon anima ti fece molto disperare, io mi misi a chiudere le porte perché ti parlava dal "Vittorio Veneto"…. Io assolutamente senza volerlo sentii tutto il vostro colloquio. Per calmarlo tu affermasti che andassimo a Maddalena dove si troverebbe il Re etc... (202) Se come tu avevi ordinato facevamo con tutte le possibili regole di guerra il viaggio da te ordinato per Malta, accostando la sera come se andassimo altrove e procedessimo a Malta, forse si sarebbe evitata la fine della "Roma" .
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Parte Quindicesima
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Ottenuta, finalmente, l’adesione di Bergamini per lasciare La Spezia, alle 23.45 Supermarina gli inviò l’ordine di partenza, che non è stato possibile rintracciare.
Conseguentemente, alle 01.05 del 9 settembre, il Comando Squadra trasmise a tutte le unità dipendenti, il seguente messaggio: (203)
Nave ROMA passerà ostruzioni ore 03 del 9 scortata dai CC.TT. et 7^ Divisione et seguita da ITALIA e VITTORIO VENETO. Sul punto C [a nord di Capo Corso] grafico [di navigazione] GE 11, At riunione ore 060009 con 8^ Divisione grafico GE 12 porto destinazione isola Maddalena
Alle 2356, per mezzo del radio-segnalatore, la Roma trasmise a tutti: "Attivare pronti a muovere".
Alle 01.38 il Comando delle Forze Navali da Battaglia aggiunse: (204)
Nave ROMA passerà ostruzioni ore 03.00 giorno 9 preceduta dai cacciatorpediniere e 7^ Divisione seguita nave ITALIA nave VITTORIO VENETO.
Alle 01.45 uscirono dal porto di La Spezia gli incrociatori della 7^ Divisione Navale Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli.
Alle 02.00 l’ammiraglio Bergamini diramò a Supermarina i dettagli di trasferimento e di navigazione con il seguente breve telecifrato: (205)
DA COMANDO IN CAPO FF.NN. - 15749 TABELLA ASTI - Previsione partenza Forza Navale da La Spezia 030009 vel. 24 punto 42°36’ latitudine 8°19’ longitudine; 41°09’ latitudine 8°19’ longitudine (alt) Arrivo La Maddalena ore 1430 (alt) Ore 060009 riunione con 8^ Divisione et torpediniera LIBRA (alt) Torpediniere PEGASO Torpediniera IMPETUOSO Torpediniera ORSA Torpediniera ORIONE procedono Forza Navale scorta avanzata (alt) 020009. A.I.I. Tabella ASTI - 020009.
Alle 031309 (dopo tre ore e diciassette minuti dall’ordine delle 235608) la Roma ordinò al Vittorio Veneto e all’Italia: "Salpate".
Alle 0316 aggiunse: "Uscite immediatamente". (206)
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Occorre dire che Supermarina fu informata dell’ordine di partenza delle Forze Navali da Battaglia delle ore 02.00 alle 04.22 del 9 settembre, tramite un telegramma che era stato compilato alle 0404 da Marina La Spezia, ossia quando la flotta aveva già lasciato il porto da più di mezz’ora. Poche ore dopo le truppe tedesche irrompevano nella base.
L’ultima nave a partire dalla Spezia era stata la Vittorio Veneto, che uscì dal porto alle 03.40.
Oltre a parecchie unità del naviglio leggero che si trovavano ai lavori più o meno estesi, non poterono salpare dalla Spezia gli incrociatori pesanti Bolzano e Gorizia, in quanto si trovavano in arsenale per riparare i notevoli danni riportati per azione nemica. Alcune navi furono catturate intatte, mentre le altre, che riuscirono a sabotarsi, furono poi recuperate e immesse al servizio della Marina germanica.
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Essendosi Bergamini opposto tenacemente a portare le sue navi a Bona, ne era conseguita la diramazione di un ritardato ordine di partenza per la flotta da parte di Supermarina, questa volta con destinazione temporanea La Maddalena, trasmesso alla corazzata Roma, come abbiamo detto, alle 23.45 dell’8 settembre.
Rileviamo, in effetti, che le discussioni tra de Courten e Bergamini ebbero la loro importanza negativa nello svolgimento degli avvenimenti, perché contribuirono a ritardare una decisione per l’approntamento e il trasferimento della flotta che doveva essere immediata. Invece la partenza delle navi dalla Spezia per raggiungere La Maddalena, anche per la decisione di Bergamini di portare via quante più navi fosse stato possibile tra quelle che si trovavano ai lavori, avvenne con un ritardo di sei ore rispetto a quanto stabilito nel Promemoria Dick. Sulla base tassativa di questo documento, la partenza delle navi italiane verso i porti Alleati doveva avvenire al tramonto del giorno dell’armistizio, mentre invece si verificò nelle prime ore del mattino del 9 settembre.
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Ma occorre anche dire che realizzare una partenza più rapida della flotta non era stata resa possibile anche per motivi da addebitare principalmente alla responsabilità dei capi politici e militari italiani, e in primo luogo al ritardo con il quale il generale Ambrosio - autorizzato dal Capo del Governo dopo il Convegno della Corona e la decisione del Sovrano di rendere pubblico l’armistizio - impartì alla Marina l’ordine di far salpare le navi. Ordine che l’ammiraglio de Courten, dovendo convincere Bergamini a partire, poté mettere per iscritto soltanto alle ore 23.45 dell’8 settembre, dopo che il Comandante della flotta aveva praticamente imposto al Ministro la sosta delle navi alla Maddalena.
Nella relazione dell’ammiraglio de Courten è testualmente scritto: Bergamini ritardò la partenza da La Spezia perché volle che partissero anche le navi rapidamente approntabili. E l’ammiraglio Sansonetti riferì al comandante Bragadin che Bergamini disse a de Courten che sarebbe partito portando "con se tutte le unità in condizioni di navigare". Fu quindi "Per questa ultima ragione", che "probabilmente, la partenza della Squadra è avvenuta con un certo ritardo rispetto a quanto si prevedeva a Roma e anche la navigazione è stata più lenta di quanto non si pensasse e quindi l’arrivo nei pressi di Maddalena [all’Asinara] è avvenuto verso mezzogiorno anziché all’alba come si prevedeva. (207)
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Anche gli ammiragli Bernotti e Fioravanzo sono concordi nel dichiarare che il ritardo nella partenza avvenne per la necessità di far partire le navi ai lavori. (208)
Tuttavia, occorre dire che lo stesso Sansonetti, omettendo le discussioni che si svolsero tra de Courten e Bergamini la sera dell’8 settembre, ha lasciato scritto nella sua relazione quanto segue: (209)
"La mattina del 9 la Forza navale da battaglia, partita da La Spezia alle 3, era in navigazione per La Maddalena, Secondo le clausole navali dell’armistizio essa avrebbe dovuto partire al tramonto del giorno 8, navigare tutta la notte ad alta velocità ed arrivare all’alba in prossimità della costa nord-africana a distanza tale da poter ricevere l’appoggio della caccia inglese. Ma poiché l’armistizio fu improvvisamente dichiarato nel pomeriggio dell’8, non è stato possibile seguire strettamente queste norme, tanto più che dovevano partire le navi effettivamente pronte, ma anche quelle non pronte ma approntabili rapidamente. Per conseguenza, era stato deciso di far sostare la Squadra a La Maddalena nel pomeriggio del 9 e farla ripartire di li a notte."
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Per quanto riguarda la possibile conoscenza del Promemoria Dick da parte dell’ammiraglio Bergamini, dobbiamo rifarci, come unica prova, a quanto nel dopoguerra l’ammiraglio Sansonetti ha scritto, a richiesta, all’ex Ministro della Marina. Ricordando a de Courten quanto era avvenuto con Bergamini, nel pomeriggio dell’8 settembre, Sansonetti specificò: "gli parlasti della necessità di eseguire le disposizioni del Promemoria DICK", di cui "Egli si mostro molto riluttante". (210)
Il capitano di vascello Giuseppe Marini, comandante della 12^ Squadriglia Cacciatorpediniere, ha riferito nella sua relazione che l’ammiraglio Bergamini, parlando ai suoi ufficiali riuniti alle 22.00 sul Vittorio Veneto, informò che "nella riunione dell’indomani mattina" avrebbe trasmesso "ai Comandanti eventuali nuove comunicazioni". (211)
Lo stesso Bergamini parlando telefonicamente, alle 00.30 del 9 settembre, per l’ultima volta con l’ammiraglio Luigi Biancheri, Comandante della 8^ Divisione Navale che si trovava a Genova, pur mostrandosi molto amareggiato, disse che intendeva obbedire all’ordine di partenza, e poi aggiunse che vi sarebbe stata l’occasione di parlarne a lungo alla Maddalena. Da tutto ciò si comprende che egli era ancora molto fiducioso di restare in quell’ancoraggio della Sardegna. (112)
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Per meglio comprendere lo stato di disagio esistente occorre dire che poco dopo la mezzanotte 9 settembre, l’ammiraglio Alberto Da Zara, Comandante della 5^ Divisione Navale dislocata a Taranto, avendo ricevuto da Supermarina l’ordine di trasferirsi a Malta e non sapendo cosa fare, telegrafò al suo diretto Superione e Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia, chiedendo "ordini". Nello stato di incertezza che attanagliava gli animi, la risposta che gli arrivò con molto ritardo dalla corazzata Roma fu quella di: "Rivolgetevi a Supermarina". (213)
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Parte Sedicesima
La navigazione della Forza Navale da Battaglia verso La Maddalena e l’affondamento della corazzata ROMA
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La riunione dei due gruppi navali di La Spezia e di Genova avvenne intorno alle 06.30 del mattino del 9 settembre al largo di Capo Corso; e da questo momento la Forza Navale da Battaglia dell’ammiraglio Bergamini diresse con rotta sud lungo la costa occidentale della Corsica, in un complesso, ripartito in cinque colonne, costituito da tre corazzate (Roma, Italia e Vittorio Veneto), sei incrociatori leggeri (Eugenio, Aosta, Montecuccoli, Abruzzi, Garibaldi e Regolo), otto cacciatorpediniere (Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere, Velite, Legionario, Artigliere, Oriani e Grecale e cinque torpediniere (Petaso, Orione, Orsa, Impetuoso e Libra).
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Per premunirsi da attacchi aerei, che riteneva potessero arrivare dalla Provenza - ove alle dipendenze della 2^ Fliegerdivision della 3^ Luftflotte si trovavano i velivoli He. 111 e Ju. 88 dei gruppi I. e III./KG.26, a cui si aggiungevano i bombardieri Do. 217 del II. e III./KG.100 - alle 04.13 l’ammiraglio Bergamini segnalò a tutte le navi della sua formazione di fare "Attenzione agli aerosiluranti all’alba"; e alle 07.07 aggiunse: "Massima attenzione a tutti". (214)
Alle 07.27, con messaggio compilato dall’ammiraglio Sansonetti, lasciato dall’ammiraglio de Courten a Roma a dirigere Supermarina, fu trasmesso al Comando Forze Navali da Battaglia, Marina Taranto e Comando 5^ Divisione, quanto segue: (215)
Supermarina 18475 - Truppe tedesche marciano su Roma (alt) Fra poco Supermarina potrà non poter comunicare (alt) Per ordine del Re eseguite lealmente clausole armistizio (alt) Con questa leale esecuzione la Marina renderà altissimo servizio al Paese (alt) de Courten - 063109.
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Sempre alle 0727 Supermarina trasmise all’incrociatore Scipione, che si trovava a Taranto il seguente ordine: (216)
SUPERMARINA - 19211 - Attivate subito et appena pronti uscite dal porto dirigendo per Pescara dove dovete imbarcare alto personaggio alt Trasferimento sia effettuato nodi 28 alt Disposto invio Pescara corvette SCIMITARRA e BAIONETTA alt Assicurate - 070009.
L’alto personaggio era, naturalmente, il Re d’Italia Vittorio Emanuele III che, essendo partito prima dell’alba da Roma, stava dirigendo in automobile per Pescara, con il suo lungo seguito della Corte e dei maggiori Capi Militari.
L’ordine alla corvetta Baionetta di raggiungere lo Scipione fu impartito da Supermarina a Marina Pola con messaggio delle ore 07.57: (217)
Disponete subito invio a Pescara corvetta BAIONETTA. Trasferimento sia effettuato massima velocità.
Poi, dopo che la corvetta Baionetta era salpata da Pola alle ore 11.00, e la corvetta Scimitarra da Brindisi alle 14.35, Supermarina trasmise allo Scipione: (218)
SCIMITARRA e BAIONETTA giungeranno a Pescara alle 040010. Preparate molti alloggi per alti personaggi - 152609.
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Nel frattempo, alle 0920, era stato comunicato al Comando della 5^ Divisione, che si trovava a Taranto, l’ordine di partire per Malta e i dettagli di navigazione e di riconoscimento previsti dal Promemoria Dick: (219)
SUPERMARINA - 8956 - Decifrate da Solo (alt) Partite subito per Malta con navi alle vostre dipendenze escluso SCIPIONE alt Regolatevi in modo da arrivare ore diurne provenendo da levante troverete ordini [a Malta !] alt Accettate commissione di vigilanza a bordo alt Da clausole armistizio est esclusa cessione navi aut abbassamento bandiera alt Alzate grande pennello nero alt Mettete grandi dischi neri sui ponti alt Artiglierie et lanciasiluri per chiglia alt Segnali riconoscimento notturno Gamma Alfa ripeto Gamma Alfa alt Caso incontro navi accendete fanali via attenuati alt Assicurare - 064209
Questo ordine fu ricevuto sulla corazzata Duilio alle 1005. Ma fu soltanto alle ore 15.48 che l’ammiraglio Da Zara segnalò a Supermarina: "Salperò ore 1700 per eseguire ordini ricevuti - 150009".
Lo stesso ordine di partenza e i susseguenti dettagli erano stati trasmessi, alle 09.40, a Marina Venezia, nei riguardi della corazzata Giulio Cesare che si trovava a Pola: (220)
Partite subito per Malta in modo arrivare ore diurne provenendo da levante. Troverete ordini. Accettate commissione vigilanza a bordo. In clausura armistizio è esclusa cessione navi o abbassamento bandiera… 090009.
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Nel frattempo, alle 09.01, il centro CRT di Roma aveva trasmesso all’aria, a Supermarina, 5^ Divisione e Comando Forze Navali da Battaglia, il seguente messaggio: (221)
SUPERMARINA - 18333 - Esecutivo promemoria ordine pubblico n. 1 (uno) Comando Supremo alt In quanto non contrasta con clausole Armistizio alt de Courten - 071509
Era questo l’atteso ordine che per la prima volta invitava apertamente a reagire contro i tedeschi. Esso era stato compilato dal Ministro e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, che al momento si trovava in viaggio con il Re per Pescara, ed era stato diramato tardivamente quando ormai il Sovrano si trovava vicino a Pescara. Il messaggio fu poi ritrasmesso a Tutte le Autorità e Comandi della Marina, a terra e in mare.
Sempre intorno alle 09.00 una nota, arrivata per telescrivente da Supermarina, informava l’ammiraglio Bruno Brivonesi che la Forza Navale da Battaglia sarebbe arrivata alla Maddalena "verso le 14 e che all’arrivo avrebbero dovuto essere consegnate delle istruzioni all’ammiraglio Bergamini", riguardanti l’ordine "di proseguire subito per Bona". (222)
Alle 09.45 Brivonesi ricontattò Supermarina, e dall’ammiraglio Giartosio ebbe la conferma "che le istruzioni dovevano essere date all’ammiraglio Bergamini dopo l’ormeggio della Squadra", e quindi non in mare, tramite un mezzo veloce, come inizialmente aveva ritenuto il Comandante di Marisardegna che, evidentemente, era stato informato, probabilmente a Roma, che la flotta doveva andare a Bona. (223)
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In precedenza, alle ore 09.23, essendo ormai inutile far proseguire i due cacciatorpediniere Vivaldi Da Noli per Civitavecchia, Supermarina aveva trasmesso al Comando della 16^ Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi) e al Comando della Forza Navale da Battaglia: (224)
SUPERMARINA - 24997 - C.T. VIVALDI et C.T. MALOCELLO [in realtà il DA NOLI] si riuniscano alla Squadra alt Destinatario VIVALDI per Squadriglia et corazzata ROMA per FF.NN.BB.
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Secondo gli orari dei rapporti tedeschi, il primo avvistamento della Forza Navale da Battaglia dell’ammiraglio Bergamini si verificò alle 09.41, da parte di un velivolo da ricognizione Ju. 88, che segnalò tre corazzate, sei incrociatori e sei cacciatorpediniere con rotta verso l’Asinara. Venne allora data attuazione immediata alle norme stabilite per l’aviazione nel piano "Achse", diramate dall’Alto Comando della Luftwaffe al Comando della 2^ Luftflotte, e nelle quali era specificato: "Le navi da guerra italiane che fuggono o provino a passare dalla parte del nemico devono essere costrette a ritornare in porto, o essere distrutte". (225)
Furono allora inviati gli ordini operativi per l’impiego dalla Provenza dei reparti della 2^ Fliegerdivision, in particolare di quelli da bombardamento, a cui erano assegnati i velivoli bimotori Do. 217 del 100° Stormo (KG.100), ed armati con speciali bombe antinave del tipo a caduta libera con possibilità di correzione (PC. 1400 X) e con motore a razzo radiocomandato (Hs. 293). Seguì, a partire dalle ore 14.00, il decollo da Istres di tre formazioni, con un totale di ventotto Do. 217, dei quali undici del II./KG.100 (maggiore Fritz Auffhammer) e diciassette del III./KG.100 (maggiore Bernhard Jope). (225)
L’avvistamento ed il tallonamento delle navi della Forze Navali da Battaglia da parte di aerei, dovette preoccupare non poco l’ammiraglio Bergamini. Tra le 09.45 e le 10.56, si verificarono quattro allarmi per l’avvistamento di altrettanti ricognitori, tre britannici e uno tedesco, che si mantenevano fuori tiro. In seguito a ciò, la corazzata Roma chiese a Supermarina la protezione della caccia. (226)
Supermarina teneva già sotto controllo i velivoli germanici che seguivano le navi, localizzati per mezzo dell’intercettazione delle loro frequenti comunicazioni radio. Ragion per cui, alle 10.30, l’ammiraglio Sansonetti si mise in contatto telefonico con il suo collega di Superaereo, generale Santoro, il quale assicurò che avrebbe provveduto per l’invio degli aerei impartendo i conseguenti ordini al Comando dell’Aeronautica della Sardegna. In effetti, alle 12.13 decollarono, al comando del capitano Remo Mezzani, quattro velivoli Mc 202 della 83^ Squadriglia del 13° Gruppo Caccia (maggiore Duilio Fanali). Essi ricercarono la flotta italiana al largo della costa occidentale della Corsica per poi rientrare alle 14.10, dopo aver sorvolato l’ancoraggio della Maddalena, senza aver incontrato le navi che erano in ritardo di navigazione, e della cui rotta i piloti non conoscevano l’esatta apposizione avendo ricevuto alla partenza soltanto notizie alquanto generiche e approssimative.
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Nel frattempo, alle 11.05 Supermarina trasmise per macchina cifrante, onda 55 e precedenza PAPA, questo fondamentale e incontestabile messaggio, che conteneva ordini già trasmessi durante la notte a Marina Taranto: (227)
CC.FF.NN., C. 5^ Div., 7^ Div., 8^ Div., 9^ Div., CADORNA: SUPERMARINA 18456 - Partite subito per Malta con navi alle vostre dipendenze….. - 091009.
Poi, alle 11.15 Supermarina impartì al Comando Squadra e alle Divisione 5^, 7^, 8^ e 9^ il seguente ordine: (228)
SUPERMARINA - 58721 - Comunicazioni con Supermarina saranno effettuate solo con SM16 ter Chiavi C et E da domani ore 8 cib SM 6 quinquies S chiave C nonché con macchina cifrante chiavi Y serie C et E nonché SM 44 allegato numero due alt Attenzione eventuali ordini falsi impartiti con altri cifrari 091009.
Successivamente, alle 12.43, Roma chiese che i Comandi in indirizzo dessero il ricevuto al messaggio trasmesso: "Date ricevuto del TG 373".
Nel frattempo, allo scopo di evitare le conseguenze da ordini che eventualmente fossero emanati camuffati dai tedeschi, alle 11.24 Supermarina aveva trasmesso a tutte le unità in navigazione: (229)
SUPERMARINA - 85982 - Non eseguite eventuali ordini di dirottamento se nel testo non figura la parola convenzionale MILANO alt Per alti comandi verranno dati ordine a parte" - 0926.
Alle 11.55 l’incrociatore Attilio Regolo, che apparteneva all’8^ Divisione Navale dell’ammiraglio Luigi Biancheri, intercettò il messaggio ma non riuscì a decifrarlo.
Il medesimo ordine, trasmesso a Marina Taranto alle 12.20, era compilato nella seguente forma: (230)
SUPERMARINA - 30809 - Nel testo di eventuali ordini da dare at Unità in mare sia inserita parola convenzionale MILANO alt Ordini agli Alti Comandi finché possibile vengono emanati direttamente da Supermarina alt Distruggete subito seguente messaggio.
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Nel frattempo, alle 11.30 l’ammiraglio Bruno Brivonesi aveva inviato all’ammiraglio Bergamini un telegramma con macchina cifrante, in cui prospettava, per la brevità della sosta della Squadra Navale alla Maddalena e la mancanza in loco di rimorchiatori, di non utilizzare i recinti retali, distribuendo le corazzate e gli incrociatori alla fonda presso le baie di Santo Stefano e Porto Palma e le unità minori in vari ormeggi della rada. Il testo del telegramma era il seguente: (231)
Qualora data brevità tempo [della sosta] et mancanza rimorchiatori non ripeto non utilizzerei recinti alt Propongo ormeggiare navi S. Stefano boa 1 boa 4 et CCTT boa 3 alla fonda porto… alt Incrociatori S. Stefano boa 1 boa 4 CCTT boa 5 2 et alla fonda 2 CCTT in rada alla Maddalena - 090009.
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Alle 11.50 fu diramato in linguaggio chiaro a tutte le navi e a tutti i Comandi della Marina il seguente proclama del Ministro de Courten, che oggi, alla luce delle conoscenze storiche, può sembrare alquanto retorico, ma che allora appariva spiritualmente appropriato e pienamente giustificato anche sotto la forma di incoraggiamento in un ora buia ed incerta per i destini della Patria: (232)
443885 - Marinai d’Italia - Durante quaranta mesi di durissima guerra avete tenuto testa alla più potente Marina del mondo compiendo eroismi che rimarranno scritti a lettere d’oro nella nostra storia e affrontando sacrifici di sangue che vi hanno meritato l’ammirazione della Patria e il rispetto del nemico. Avreste meritato di poter compiere il vostro dovere fino all’ultimo combattendo ad armi pari le forze navali nemiche. Il destino ha voluto diversamente: le gravi condizioni materiali nelle quali versa la Patria ci costringono a deporre le armi. E’ possibile che altri duri doveri vi siano riservati, imponendovi sacrifici morali rispetto ai quali quello stesso del sangue appare secondario: occorre che voi dimostriate in questi momenti che la saldezza del vostro animo è pari al vostro eroismo e che nulla vi sembra impossibile quando i futuri destini della Patria sono in gioco. Sono certo che in ogni circostanza saprete essere all’altezza delle vostre tradizioni nell’assolvimento dei vostri doveri. Potete dunque guardare fieramente negli occhi gli avversari di quaranta mesi di lotta, perché il vostro passato di guerra ve ne dà pieno diritto - de Courten - 023009
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Questo proclama, compilato quasi dieci ore prima dell’inizio della trasmissione, fu ritrasmesso varie volte nelle ore seguenti e anche nella giornata dell’indomani 10 settembre.
A nostro parere, dobbiamo però dire che, trasmettendo con maggiore tempestività l’appello di de Courten, preparato dall’ammiraglio prima di partire per Pescara, esso poteva essere assai più utile, come incoraggiamento in tutti gli ambienti della Marina. Sarebbe arrivato al cuore degli uomini proprio nel momento in cui in alcune località importanti, come La Spezia e Napoli, si stava combattendo per cercare di impedire, nei limiti delle possibilità, le occupazioni tedesche dei porti, degli arsenali e delle navi che non si trovavano in condizione di salpare. Questo incoraggiamento, e l’ordine di combattere contro i tedeschi, fu invece trasmesso da Supermarina quando era ormai accertato che il Re d’Italia si trovava al sicuro, lontano da Roma. Inoltre la mancanza in quelle ore cruciali di de Courten costrinse Sansonetti a diramare gli ordini senza poter consultare il suo superiore, e di questo fatto, nel dopoguerra, l’ex Sottocapo di Stato Maggiore della Regia Marina non avrebbe mancato di lamentarsene.
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Alle 12.05 l’ammiraglio Bergamini, in previsione dei contatti che avrebbe avuto con autorità britanniche, inviò il suo aiutante di bandiera, tenente di vascello Ettore Uncini, in giro per la Roma, per stabilire quali ufficiali erano a conoscenza della lingua inglese. (233)
Alle 12.10, dopo aver ricevuto dell’ammiraglio Brivonesi la segnalazione che la sosta della flotta alla Maddalena doveva essere breve, l’ammiraglio Bergamini trasmise a tutte le unità i punti di ormeggio in rada, e successivamente comunicò di segnalare quale era, per ogni nave, la rimanenza di acqua. (234)
Subito dopo, alle 12.27, come riportato nel rapporto di missione dell’incrociatore Attilio Regolo, il Comando della Forza Navale da Battaglia trasmise un segnale ad integrazione degli ordini verbali impartiti a La Spezia. La stessa nave aveva "ricevuto l’ordine di rifornirsi al completo nella notte tra il 7 e l’8 settembre, vale a dire 24 ore prima della partenza". (235) Il Regolo aveva preso il mare nonostante non fosse ancora in piena efficienza, dovendo ultimare in due settimane i lavori di riparazione derivanti dai danni del un siluro di un sommergibile britannico (Unruffled), che lo aveva colpito l’8 novembre 1942 nel Canale di Sicilia.
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Nel frattempo, alle 11.45, Marina Taranto (ammiraglio Bruto Brivonesi) aveva trasmesso a Supermarina: (236)
10125 - Clausole armistizio non ripeto non in possesso questo Comando Capo - 103309.
La stessa lamentela arrivo a Roma per telescrivente dal Comandante di Marina Maddalena. Ragion per cui, alle 12.30 Supermarina compilo un messaggio PAPA da trasmettere a tutti i principali Comandi (Marina Taranto, La Spezia, Venezia, Napoli e Marialbania) in cui si affermava: (237)
SUPERMARINA - 19064 - Riassunto clausole armistizio (alt) Cessazione immediata ostilità (alt) Italia farà ogni sforzo per sottrarre mezzi bellici ai tedeschi (alt) Prigionieri britannici trasferiti ad autorità connazionali (alt) Flotta et aviazione italiana si trasferiscano in località designate con clausole di non consegna et non abbassare bandiera (:) per F.N. principali et piroscafi mercantili del Tirreno tale località est Bona (,) quelli dello Jonio a Malta (alt) Naviglio minore compreso torpediniere rimangano in porti nazionali sicuramente da noi controllati (alt) Naviglio mercantile est requisibile da anglo-americani (alt) Resa immediata della Corsica e di tutto il territorio italiano isole comprese (alt) Libero uso per anglo-americani porti et aeroporti (alt) - 123009.
Nelle ore successive questo messaggio circolare fu ripetutamente trasmesso, a partire dalle 14.15 e fino alle ore 00.38 del 10 settembre, a tutte le Autorità, a terra e in mare, ed è quindi pensabile che tutti i principali Comandi e le unità in navigazione lo avessero ricevuto.
Nel frattempo, alle 12.36 la corazzata Roma comunicò a Supermarina (centro CRT) di non aver potuto decifrare un messaggio per mancanza della "tabella C" trasmesso al Comando Forze Navali da Battaglia con il codice 16 Ter C.
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Nella relazione dell’ammiraglio Sansonetti è scritto: "Fra le 13 e le 14 essendo stato avvertito dell’occupazione di Maddalena da parte tedesca feci ordinare alla F.N.B. di dirigere per Bona anziché per Maddalena". (238)
Alle 13.30 la velocità delle Forze Navali da Battaglia fu aumentata dai venti nodi mantenuti fino ad allora, a ventiquattro nodi, che era la velocità che, secondo i piani, la Squadra avrebbe dovuto mantenere nella rotta tra La Spezia e la Maddalena.
E’ da supporre che l’ammiraglio Bergamini avesse ridotto la velocità delle navi a venti nodi per non cimentare troppo le macchine delle torpediniere, soprattutto di quelle di scorta che erano al limite dell’andatura sostenibile (venticinque nodi); ma poi, essendo divenuto urgente di fare tappa alla Maddalena, il Comandante della Forze Navali da Battaglia ordinò di aumentò nuovamente la velocità a ventiquattro nodi, per raggiungere al più presto quella località della Sardegna dove avrebbe ricevuto dall’ammiraglio Bruno Brivonesi gli ordini di Supermarina per proseguire per Bona.
Eppure quegli ordini potevano essere direttamente consegnati allo stesso ammiraglio Bergamini che, dopo la riunione degli ammiragli, lasciò Roma per rientrare alla Spezia proprio in quelle prime ore dell’8 settembre. Probabilmente non fu fatto, e fu certamente un errore oltre che per evidente mancanza di fiducia nei riguardi del Comandante della flotta, perché a Supermarina si sapeva benissimo quale fosse il pensiero di Bergamini riguardo alle proprie navi, che egli avrebbe voluto auto-affondare invece di consegnarle agli Alleati.
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Occorre fare una considerazione. Quando, dopo le ore 13.00 del 9 settembre, l’ammiraglio Bergamini ricevette l’ordine di proseguire per Bona, avrebbe potuto evitare di proseguire per La Maddalena. Sarebbe stato più logico inviare un cacciatorpediniere o una torpediniera a ritirare gli ordini diretti a lui. Inoltre, Bergamini avrebbe anche potuto chiedere a Brivonesi di mandargli direttamente i documenti, tramite l’impiego di una nave sottile veloce, torpediniera o mas, o per mezzo di un idrovolante, ma non lo fece, forse perché l’entrata delle navi alla Maddalena era anche determinata dall’esigenza del rifornimento d’acqua, necessario per affrontare la lunga navigazione per raggiungere i porti degli Alleati.
L’iniziativa di far saltare la sosta alle Forze Navali da Battaglia fu invece preoccupazione dall’ammiraglio Brivonesi. Quando, infatti, il mattino del 9 comprese che le navi di Bergamini, dovendo proseguire per Bona, potevano evitare la sosta alla Maddalena, Brivonesi propose a Supermarina di autorizzarlo ad inviare alla Roma le istruzioni con un mezzo veloce a sua disposizione; ma l’ammiraglio Giartosio, forse perché non sapeva cosa volesse fare l’ammiraglio Bergamini che non aveva dato il ricevuto a quattro messaggi inviatigli, confermò a Brivonesi di consegnare le istruzioni dopo l’arrivo della flotta, la cui sosta alla Maddalena (con le navi fuori dai recinti) doveva essere breve, come risulta dai messaggi scambiati con la Roma.
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Sulla mancata risposta ai quattro messaggi, Supermarina, alle 16.45, quando la Roma era già affondata, trasmise a quella corazzata: "Date ricevuto dei msg. 388, 389, 391, 404 [non rintracciati]".
Dopo l’avvistamento di un ricognitore Ju.88 tedesco, alle 13.35 la Roma trasmise a tutte le navi: "Massima attenzione attacchi aerei". Poi, alle 13.54, chiese a Supermarina: "Ripetete tutto ciò che avete trasmesso alle ore 12.45". (239)
Nel frattempo, alle 13.05 la corazzata Vittorio Veneto aveva intercettato il seguente messaggio proveniente dalla corvetta Danaide: "Truppe tedesche occupato Marina La Maddalena alt Non dico non udiamo sparare - 124009". Quindi, a questo momento la nave ammiraglia della 9^ Divisione Navale era a conoscenza della pericolosa situazione esistente alla Maddalena. (240)
Alle 13.50 il generale Basso, Comandante delle Forze Armate della Sardegna, appoggiandosi al Centro Radio Telegrafico di Marina Cagliari, trasmise alla corazzata Italia, che egli riteneva fosse ancora la nave ammiraglia della Forza Navale da Battaglia, il seguente allarmante messaggio: (241)
"Marina Cagliari (alt) Risulta che elementi germanici hanno effettuato colpo di mano su Comando Marina La Maddalena et centro R.T. (alt) Qualora at arrivo Forze Navali sia constatato permanere tale situazione urge provvedere at eliminare reparti attaccanti (alt) Firmato Basso - 135009."
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Nel frattempo l’ammiraglio Bruno Brivonesi trasmetteva per telescrivente a Supermarina per far conoscere quale era la situazione alla Maddalena. Dichiarando di essere "virtualmente prigioniero dei tedeschi". Egli pregò il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina di "informare subito l’ammiraglio Bergamini" che si stava avvicinando alla Maddalena con le Forze Navali da Battaglia allo scopo di evitare che potesse rimanervi "imbottigliata ed esposta alle offese dei velivoli tedeschi, molto più pericolose se dirette contro navi alla fonda, e quindi privi della possibilità di realizzare "rapide manovre". (242)
Alle 14.14, Supermarina, con il messaggio 97424, trasmise ai cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli, il seguente ordine: "97424 - Proseguite per Bona aggregandosi possibilmente Forza Navale da Battaglia (alt) Milano - 132909". In precedenza era stato trasmesso ai due cacciatorpediniere: alle 07.00, di "Invertire la rotta e rientrare alla Spezia - 064009"; alle 07.43 "Modifica mio precedente ordine dirigete subito isola La Maddalena - 0724"; e alle 10.38, "VIVALDI e DA NOLI si riuniscano alla Squadra -092309 ". (243)
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Riferisce ancora il capitano di vascello Aldo Rossi, Capo Ufficio Piani di Supermarina, nella sua relazione: (244)
"Viene intanto trasmesso a Nave ROMA per F.N principale un messaggio nel quale si danno le norme esecutive dell’armistizio (rotte da seguire - porto di arrivo - atterraggio ore diurne - segnali di riconoscimento) che termina: "Impegno d’onore eseguire lealmente clausole armistizio le quali però non contemplano cessione navi aut abbassamento bandiera". Il messaggio è stato cifrato probabilmente con tabella in possesso del solo Comando in Capo delle FF.NN. principali perché i Comandi di Divisione non ne ebbero conoscenza. Un analogo messaggio è trasmesso da Maricosom ai sommergibili in mare e da Supermarina a tutti i Comandi Periferici".
Infatti, alle 14.15, é trasmesso da Supermarina a Marina Taranto, Spezia, Venezia, Napoli, Albania il riassunto delle "clausole Armistizio" e della "cessazione immediata delle ostilità", in cui erano riportate le destinazioni di trasferimento nei porti alleati delle unità navali, specificando, lo ricordiamo: "per F.N. principali et piroscafi mercantili del Tirreno tale località est Bona".
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Poi, alle 14.24, Supermarina inviò alla Roma un importante messaggio, trasmesso con il codice SM 19, in cui si fornivano i dettagli di navigazione e i segni distintivi di riconoscimento da usare per raggiungere quella località dell’Algeria: (245)
SUPERMARINA 23124 - Davanti Bona troverete nave inglese o americana che indicherà porto da raggiungere (alt) Armamento principale et lanciasiluri per chiglia (alt) Libertà azione per artiglieria contraerea in caso attacco … [gruppo indecifrabile] ostilità da parte aerei (alt) Ciascuna nave alzi pennello nero o bleu scuro della massima grandezza possibile (alt) Disegnare sui ponti grandi dischi neri come segnali riconoscimento per aerei (alt) In caso di incontro navigazione notturna accendere fanali di riconoscimento e segnalare con elettro-segnalatore gruppo Gamma Alfa - 134509.
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Sempre alle 14.24, trovandosi le navi sulla rotta di sicurezza di Capo Pertusato, e quindi ad oriente del faro dell’Asinara, fu ricevuto dal Comando Squadra il seguente allarmante messaggio di Supermarina diretto in cifra a tutte le unità in mare: (246)
SUPERMARINA - 71325 - La Maddalena occupata da forze tedesche nostro Comando sopraffatto (alt) Unità dipendenti silurantisom dirette Maddalena vadano invece subito Portoferraio salvo quelle aggregate Forze Navali da Battaglia (alt) Milano - 132009".
Alle 14.27, la corazzata Vittorio Veneto intercettò un telegramma diretto ai cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli e per conoscenza al Comando delle Forze Navali da Battaglia, in cui Supermarina ordinava: (247)
SUPERMARINA - 87775 - Uscite da Estuario [Stretto di Bonifacio] et affondate tutti mezzi tedeschi che eseguano traffico Sardegna Corsica (alt) 134909.
Ricevuto l’ordine di Supermarina di raggiungere Bona, alle 14.41 l’ammiraglio Bergamini, trasmettendo con onda ultracorta, ordinò alle sue navi: "Da comando FF.NN.BB. a tutti - Accostate ad un tempo per 180° a sinistra". Quindi, alle 14.55, trasmise a Supermarina un messaggio, che risultò a Roma parzialmente indecifrabile, in cui si legge: (248)
06992 - Tabella Lodi alt Assicurare risposta messaggio n. 12286 gruppo orario… data notte 49 [sic] chiedendo conferma… Dirottamento fatto.
Di questo messaggio esiste un’altra versione molto più precisa e dal contenuto inequivocabile: (249)
PAPA Cifrato Tabella A LODI da Comando FF.NN.BB. a Supermarina 06992 Tabella Lodi (alt) Assicuro risposta messaggio 12286 Gruppo orario […] data notte 49 stagno [Bona ?] chiedendo conferma […] Dirottamento fatto (alt) Tabella LODI 145509.
Il messaggio n. 12286 di Supermarina, che non siamo riusciti a rintracciare, è quello che ordinava alla Forza Navale da Battaglia di proseguire per Bona, e in cui come ha riferito il comandante Rossi, era specificato: "Impegno d’onore eseguire lealmente clausole armistizio le quali però non contemplano cessione navi aut abbassamento bandiera". (250)
Secondo quanto scritto dall’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo nel libro La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto (p. 32), il messaggio aveva orario di compilazione 13.16.
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Purtroppo l’importante messaggio non fu decifrato, per mancanza della relativa tabella, dai comandi delle divisioni navali, e ciò, come vedremo, ebbe le sue conseguenze.
Occorre rilevare che i due messaggi di Supermarina compilati alle 13.45 e alle 13.20 furono entrambi trasmessi alle 14.24, in forma urgentissima, usando, per rendere più rapida la decifrazione, la macchina cifrante. Pertanto, se il messaggio che ordinava alla flotta l’inversione rotta arrivò certamente alla Roma prima delle 14.45 - quando fu ordinata la manovra ad un tempo, che l’ammiraglio Bergamini trasmise a Supermarina di avere effettuato segnalando "Dirottamento fatto" - e da ritenere che anche l’altro messaggio, quello del pennello nero, fosse giunto a destinazione molto prima dell’inizio dell’attacco aereo tedesco.
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La manovra ad un tempo di 180° fu effettuata in una zona ristretta con le navi che procedevano in linea di fila per la presenza di campi minati. Essa portò la formazione navale, già molto allungata, ad avere le corazzate Vittorio Veneto, Italia e Roma in testa nell’ordine seguite dagli incrociatori e dalle siluranti. La rotta nordovest, per tornare verso l’uscita del Golfo dell’Asinara, era imposta dal canale di sicurezza che passava tra gli sbarramenti difensivi, ragion per cui fu in questa formazione molto allungata, la meno adatta per fronteggiare un attacco aereo, che si svilupparono le micidiali incursioni dei Do 217, armati con la bomba razzo perforante PC 1400 X.
Si trattava di un’arma tutt’altro che "sperimentale", come sostenuto da taluni storici, dal momento che nel luglio del 1943 essa era stata impiegata in Sicilia, contro le navi da trasporto degli Alleati presenti nel porto di Siracusa e poi il 28 agosto contro un incrociatore nei pressi dell’isola Alboran, ed era quindi pienamente operativa.
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La reazione contraerea delle unità, sempre modesta da parte italiana, anche questa volta non fu adeguata alla situazione. Al momento in cui il cacciatorpediniere Legionario avvistò allo zenit gli aerei nemici, ai direttori del tiro che chiedevano di sparare fu ordinato di "aspettare", e quando il fuoco ebbe inizio con i modesti cannoni contraerei da 90 mm. la Roma poté sparare soltanto poche salve prima di essere colpita da una prima bomba. L’azione fu condotta da una formazione di undici velivoli "Do.217" del III./KG.100, guidata dal maggiore Jope e con i velivoli ripartiti in tre pattuglie, i cui equipaggi, volando a 6.500 metri di quota poterono, effettuare tranquillamente la mira dal momento che i proiettili italiani esplodevano tutti a quota inferiore. (251)
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Nello spazio di sei minuti, tra le 15.46 e le 15.52, la Roma fu colpita in pieno, da due bombe perforanti antinave tipo PC. 1400/X, la seconda delle quali, cadendo presso il torrione e penetrando presso un deposito di cariche di lancio delle munizioni da 381 mm, risultò fatale alla nave. Le cariche deflagrarono, inclinando il torrione, entro il quale decedettero tutti gli uomini che vi si trovavano la seconda torre di grosso calibro fu letteralmente espulsa, e si alzo una colonna di fumo altissima.
Alle 16.12 la splendida corazzata, di 41.650 tonnellate (46.215 a pieno carico), orgoglio forse insuperato della cantieristica italiana, dapprima sbandò e poi affondò in otto minuti, spezzandosi in due tronconi, e portando nell’abisso 1392 uomini, compresi il comandante della corazzata Adone Del Cima, l’ammiraglio Bergamini, e tutti gli ufficiali del suo stato maggiore. (252)
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Alle 16.15, il Comando della 7^ Divisione, sull’incrociatore Eugenio di Savoia, trasmise a Supermarina: "Formazione attaccata da velivoli inglesi nave ROMA colpita pericolo affondamento" (253)
Scrisse l’ammiraglio de Courten nella sua relazione: (254)
"L’affondamento della ROMA portò la grave conseguenza che gran parte degli ordini e delle istruzioni ricevute dal Comando in Capo delle F.N.B. non erano ancora trasmessi ai sottordini".
Queste parole del Capo di Stato Maggiore della Marina sembrerebbero confermare che l’ammiraglio Bergamini aveva ricevuto da Supermarina ordini ben precisi, non trasmessi ai comandanti delle divisioni e delle unità dipendenti; ordini che rendevano quasi superflue le istruzioni che avrebbe dovuto ricevere alla Maddalena dall’ammiraglio Brivonesi. Anche le disposizioni che la Roma ricevette durante la navigazione, e l’ordine di andare direttamente a Bona, sembrano convalidare questa tesi. (255)
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Parte Diciottesima
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La navigazione delle forze navali da Battaglia dal Golfo di Asinara a Malta
Subito dopo l’affondamento della Roma ed il danneggiamento, non grave, della corazzata Italia, colpita anch’essa sul castello da una bomba PC. 1400/X, che penetrando lo scafo le fece imbarcare 800 tonnellate d’acqua, il dramma che aveva attanagliato l’animo dell’ammiraglio Bergamini si ripercosse anche negli ammiragli delle sue divisioni navali. Nell’assumere il Comando delle Forze Navali da Battaglia, quale ufficiale più anziano, l’ammiraglio Oliva, che si trovava sull’incrociatore Eugenio di Savoia, era nell’incertezza per dove le sue navi dovessero dirigere; anche perché, non disponendo delle tabelle dei cifrari impiegati dal Comando Squadra, non era riuscito a decifrare i messaggi diramati da Supermarina alla Roma in cui vi era l’ordine, delle 13.16, di raggiungere Bona.
Questo ordine, comunque, doveva essergli ugualmente noto, perché diramato da Supermarina al Comando Squadra e ai Comandi di tutte le Divisioni Navali, con il cifrato delle ore 12.30 in cui, lo si ricorda, era specificato: "Per FF.NN. principali del Tirreno località è Bona". Occorre però dire che nei rapporti di navigazione dei Comandi delle Divisioni della Forza Navale da Battaglia nessun cenno è stato fatto nei riguardi di quell’ordine, neppure sotto la voce "messaggio incomprensibile" per mancanza della relativa tabella del codice con cui esso fu trasmesso da Supermarina.
L’ammiraglio Oliva era poi a conoscenza che i cacciatorpediniere Da Noli e Vivaldi, inizialmente diretti alla Maddalena, avevano ricevuto l’ordine di proseguire per Bona "aggregandosi possibilmente alla Forza Navale da Battaglia". L’incrociatore Eugenio di Savoia e tutte le altre navi avevano anche intercettato il proclama dell’ammiraglio de Courten, trasmesso da Supermarina alle 0727, in cui si specificava: "per ordine del Re eseguite lealmente clausole armistizio".
Tuttavia, dopo aver trasmesso, alle 16.22, a tutte le unità "Assumo comando Forza Navale", Oliva si trovò, almeno inizialmente, in uno stato d’incertezza sul da farsi, che dovette avere però breve durata poiché gli venne subito in aiuto l’ammiraglio Accorretti, il quale, avendo assistito la sera dell’8 settembre alla discussione tra Bergamini e l‘ammiraglio de Courten che inizialmente gli aveva ordinato di recarsi a Bona, fin dall’inizio della partenza dalla Spezia ben sapeva quale fosse la esatta destinazione della flotta. Pertanto, dopo aver consigliato ad Oliva di inviare due cacciatorpediniere in soccorso dei naufraghi della Roma, Accorretti ricordò al collega: "Da intercettati sembra dobbiamo andare Bona 160509 ". (256)
Poi lo stesso Accorretti trasmise ancora ad Oliva: (257)
"Supermarina ha dato a nave ROMA sospeso messaggio indecifrabile perché cifrato codice non assegnato Comando Divisione (alt) Propongo tu informi e chieda ripetizione".
.Risulta, infatti, che tutti i Comandi in mare ebbero difficoltà di interpretare i messaggi diramati da Supermarina per la mancanza della chiave C del codice SM 16.
Alle 17.00 Oliva trasmise a Supermarina, informando dell’affondamento della Roma, di aver assunto il Comando, e concluse: "Prego istruirmi - 162009".
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Nel frattempo, alle 16.49, l’ammiraglio Biancheri, Comandante dell’8^ Divisione Navale, che si trovava sull’incrociatore Duca degli Abruzzi e che assolutamente non condivideva l’idea di andare a consegnare le navi agli Alleati, segnalò ad Oliva: "Ti propongo raggiungere La Spezia". La risposta a Biancheri da parte del nuovo Comandante delle Forze Navali da Battaglia, spedita alle 17.16, fu alquanto tagliente e decisa, segnalando: "Non posso accogliere proposta. Mi atterrò e ti prego di attenerti ordini Sua Maestà". (257)
Sugli ordini provenienti da Sua Maestà, oltre al messaggio inviato a tutte le navi dall’ammiraglio De Courten, abbiamo anche la testimonianza del capitano di fregata Antonio Raffai, comandante del cacciatorpediniere Velite. Questi scrisse che nella riunione sul Vittorio Veneto delle ore 22.00 dell’8 settembre, Bergamini aveva fatto conoscere agli ufficiali presenti gli ordini da lui ricevuti, "per volere del Re", dall’ammiraglio de Courten, e in cui si sottolineava l’importanza e la gravità della decisione che doveva essere presa. Bergamini aveva specificato non trattarsi di una resa. La bandiera sulle navi non sarebbe stata ammainata. (258)
.L’ammiraglio Biancheri ha spiegato lo stato d’animo che lo angosciava, e che lo aveva indotto a consigliare il rientro della flotta alla Spezia, scrivendo nel suo rapporto di navigazione: (259)
L’ordine di consegnarci al nemico ci ha stordito. Il primo annuncio dell’armistizio aveva provocato un’effimera gioia negli equipaggi ma senza che qualche Ufficiale la sentisse in cuor suo; e subito l’aveva sopita: ma in noi Comandanti l’idea di arrendersi, come i tedeschi a Scapa Flow, sembrava ordine ineseguibile. Il trasferimento alla Maddalena ci dava un certo affidamento che consegna non vi sarebbe stata; ma dopo l’occupazione tedesca di La Maddalena, il dietro front della squadra e l’affondamento della ROMA, l’ordine di dirigere su Bona toglieva qualunque dubbio. A prima impressione quest’ordine pareva ineseguibile. In ognuno dei capi si è svolta una tragedia interiore e qualche indecisione affiorò anche nei sottoposti: Tutti abbiamo deciso di eseguire l’ordine perché ci veniva dal RE
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Alle 17.35 Oliva trasmise a Supermarina che la corazzata Italia era stata colpita da una bomba, e che la Forza Navale da Battaglia, trovandosi in lat. 41°17’N, long. 08°22’E, aveva "Direttrice di marcia ponente". In precedenza, alle 16.45, aveva chiesto a Roma: "Chiedo istruzioni con cifrari e tabelle in mio possesso", e alle 17.16 trasmesso a tutti: "Appena possibile formatevi secondo dispositivo marcia alla massima velocità con Divisioni e Unità distanziate". (260)
A superare ogni stato d’incertezza e a convincere Oliva di prendere la rotta per Bona contribuì poi, alle 18.40, l’arrivo dell’ordine n. 57847 di Supermarina, trasmesso alle 18.30 e in cui si affermava: (261)
SUPERMARINA - 57847 - Confermo ordine Bona ripeto Bona precedentemente trasmesso (alt) Riferimento 06992 odierno del Comando Forze Navali da Battaglia destinatario Comando 7^ Divisione Navale p.c. Comando 8^ Divisione p.c. Comando 9^ Divisione - 173809.
Si trattava del messaggio (il n. 06992) inviato dalla Roma a Supermarina che indicava "dirottamento fatto", ma che, come lamentò l’ammiraglio Oliva, l’ammiraglio Bergamini non aveva trasmesso, o non ebbe il tempo di trasmettere, alle Divisioni dipendenti.(262)
Il messaggio di Supermarina fu regolarmente ricevuto dalla Vittorio Veneto alle 18.40, ma il numero di riferimento 06992, non fu compreso.
Da parte nostra non riusciamo francamente a capire come quel messaggio potesse indirizzare bene l’ammiraglio Oliva, per fargli capire che doveva raggiungere Bona.
Occorre dire che in quelle ore pomeridiane Supermarina continuava, con fatica, a mantenere i contatti con il Comando delle Forze Navali da Battaglia, e con i Comandi Militari Marittimi di Venezia, Napoli e Taranto. Questi continuarono a trasmettere fino a tutta la giornata dell’indomani, 10 settembre.
Invece, le comunicazioni a filo con La Spezia si erano interrotte nelle prime ore del mattino del 9, quando la Piazza cadde in mano ai tedeschi, e quelle con La Maddalena e Livorno cessarono di funzionare in quel pomeriggio. (263)
Alle 1945, l’ammiraglio Oliva trasmise a Supermarina con precedenza PAPA: (264)
0012 - Ore 1552 Nave ROMA colpita bombe aereo tedesco presunto deposito munizioni prora esplosa et affondata ore 1612 alt Inviato per recupero naufraghi ct. MITRAGLIERE FUCILIERE CARABINIERE et REGOLO et torp. PEGASO alt Presumo dette unità abbiano molti feriti a bordo alt Domando se posso andare a Bastia aut altro porto Corsica alt Prego dare ordini diretti perché non riesco a collegarmi alt Formazione navale subito continui attacchi aerei Nave ITALIA colpita non gravemente - 194509
Successivamente, alle 20.15 l’ammiraglio Oliva aggiunse: (265)
0012 - Seguito messaggio stesso protocollo ore 19.00 alt Mia posizione lat. 41°19’ long. 07°26’ direttrice ovest che manterrò fino tramonto poi sud salvo ordini contrari alt Domando se posso inviare CC.TT. rimasti scorta navale Bona et dirigere con navi maggiori Algeri alt Non ho potuto decifrare alcuni vostri diretti Nave ROMA perché privo cifrari perciò se necessario domando ulteriori informazioni - 201509
.Ha riferito sull’argomento il capitano di vascello Rossi: (266)
Il Comando della VII Divisione domanda se può andare a Bastia e chiede ordini. Si comprende così a Supermarina che nave ROMA non aveva potuto trasmettere ai Comandi dipendenti le modalità di esecuzione dell’armistizio e si provvede alla loro ripetizione.
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La deviazione di rotta della flotta, avvenne intorno alle ore 21.00 del 9 settembre, dal momento che, allo scopo di disorientare eventuali ricognitori tedeschi inviati a sorvegliare le mosse delle navi italiane, l’ammiraglio Oliva, dopo l’affondamento della Roma e dovendo ancora fronteggiare gli attacchi aerei della Luftwaffe, che complessivamente impiegò nella giornata 28 velivoli Do. 217 uno dei quali non rientrò alla base per un guasto, aveva continuato a dirigere verso occidente fino al sopraggiungere della notte.
Occorre anche dire che uno dei Do. 217 del II./KG.100 si era reso responsabile dell’affondamento del cacciatorpediniere Vivaldi. Già colpito nello Stretto di Bonifacio dal tiro di batterie costiere tedesche, il Vivaldi (capitano di vascello Francesco Camicia) che si trovava a nordovest dell’Asinara fu attaccato dall’aereo che gli impartì il colpo di grazia con una bomba radiocomandata Hs. 293. Il Da Noli (capitano di fregata Pio Valdambrini) lo aveva preceduto nell’abisso, in seguito ai danni subiti dal tiro dalle batterie tedesche ubicate lungo le coste meridionali della Corsica, e per la successiva esplosione di una mina. Entrambe le navi riportarono perdite umane gravissime.
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Vediamo ora quali furono gli avvenimenti che seguirono nei giorni 10 e 11 settembre, fino al momento dell’arrivo a Malta della Forza Navale da Battaglia.
Alle 01.23 del giorno 10 l’ammiraglio Oliva comunicava ai Comandi della 8^ e 9^ Divisione Navale: (267)
In mancanza di istruzioni comunicatemi subito vostra opinione circa distruzione archivio segreto eccetto SM 16= SM 19 = macchine cifranti = codice operativo SM 83 e fascicoli rotte sicurezza.
L’ammiraglio Biancheri rispose: (268)
"Data situazione concordo opportunità distruggere parzialmente archivio segreto".
Poi. Alle 04.49, il Comando della 7^ Divisione trasmise a tutte le navi: (269)
"Appena possibile e prima entrare in porto comunicate ordini S.M. il Re: Eseguire lealmente clausole armistizio che escludono cessione navi at straniero e che contemplano solo sua vigilanza bordo alt Con leale esecuzione ordini Marina renderà Paese altissimo servizio alt Mantenere contegno dignitoso e riservato nella sventura. Dirigiamo su Bona alt Siano dipinti cerchi neri distintivo neutrale su ponti alzare grande pennello nero alt Incontro con navi anglosassoni cannoni per chiglia alt Segnale riconoscimento notturno G.A. e fanali di via attenuati".
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Alle 08.38 del 10 settembre, dopo una navigazione notturna alquanto tranquilla - e dopo che l’incrociatore Eugenio di Savoia aveva segnalato a tutte le navi, alle 07.02, "Alzate pennello nero" - le unità della Forza Navale da Battaglia incontrarono nella zona di appuntamento a nord di Bona le corazzate britanniche Warspite e Valiant, la cui scorta comprendeva sette cacciatorpediniere, tra cui il Vasilissa Olga e il Le Terribile in rappresentanza delle marine greca e francese, invitate a partecipare all’atto di resa dell’ex nemico. Quindi, le navi italiane proseguirono la rotta per Malta ove, passando per il Canale di Sicilia, terminarono la loro tragica odissea il mattino dell’11 settembre.
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Nelle ore che precedettero l’arrivo a Malta si verificò per i Comandanti delle Divisioni Navali uno stato di disagio e di angoscia, determinato da un messaggio di Supermarina trasmesso a tutte le unità con i dettagli per raggiungere i porti Alleati:
Alle 0051-0100 dell’11 settembre la corazzata Vittorio Veneto, che guidava la 9^ Divisione Navale, intercettò un messaggio di Supermarina, trasmesso a tutti i Comandi e unità in mare, e ricevuto nella seguente forma: (270)
SUPERMARINA - 15933 - Per opportuna conoscenza comunicasi clausole armistizio per Unità che devono raggiungere porti anglo-americani alt Atterraggio et velocità nodi 12 alt Artiglieria antiaerea potrà aprire fuoco contro aerei sicuramente attaccanti alt Segnali di riconoscimento grande pennello nero testa albero grande dischi neri su coperta alt Caso incontro notturno accendere fanali navigazione luce ridotta e trasmettere segnale G.A. alt Comunicazioni con radio anglo-americane Kc.550 alt Clausole armistizio (presente messaggio continua).
Nella seconda parte del messaggio 15933, intercettato dalla Vittorio Veneto alle 0353-0400, si specificava: (271)
15933 Clausole armistizio non dico non contemplano cessione abbassamento bandiera consentono però accogliere personale controllo - 141410.
Questa segnalazione, che era giustamente interpretata come una vera temuta resa al nemico, a cui poteva seguire un tentativo dei britannici per impossessarsi delle navi, rese nuovamente perplesso l’ammiraglio Oliva sul da farsi, e fu nuovamente osteggiata dall’ammiraglio Biancheri. Questi, in seguito alla segnalazione di Oliva che, come abbiamo detto, "in mancanza di istruzioni" particolareggiate da parte di Supermarina, aveva chiesto ai Comandanti della 8^ e 9^ Divisione quale fosse la loro opinione sulla parziale preventiva distruzione degli archivi segreti, alle 03.10 fece sapere che quella misura si poteva per il momento evitare. Biancheri, infatti, specificò: (272)
Non ritengo necessario distruzione preventiva archivio segreto poiché caso occupazione violenta ordine abbandono navi risponderei con auto-affondamento. Per richiesta collaborazione vi è tempo. Terrei in ogni modo tutto pronto per immediata distruzione.
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Oliva, mostrando di condividere quell’estrema misura, perché era sempre più preoccupato per la sorte delle navi a Malta sulle quali i britannici potevano effettuare un colpo di mano, compilò allora un inequivocabile ordine di auto-affondamento da diramare al momento opportuno a tutte le unità dipendenti, trasmettendo l’ordine convenzionale "Raccomando massimo riserbo". Dovette però nuovamente mettere in riga l’ancora sospettoso Biancheri il quale, alle 05.30 dell’11 settembre, prese l’iniziativa di trasmettere al Comando della 7^ Divisione Navale un messaggio dal carattere drastico, con il quale proponeva di auto-affondare le navi all’arrivo a Malta: (273)
Propongo assumere massimo riserbo subito dopo dato fondo.
L’ammiraglio Accorretti, che al pari di tutti i comandanti delle navi aveva intercettato il messaggio di Biancheri, trasmesso alle 06.36 dal Duca degli Abruzzi con onde ultracorte, fece sapere: (274)
Dopo matura riflessione non dico non condivido parere Comando 8^ Divisione.
Questo intervento del Comandante della 9^ Divisione Navale fu decisivo per convincere Oliva a rispettare gli ordini ricevuti da Supermarina; anche perché, come lo stesso Oliva dichiarò nel maggio 1946 scrivendo ad Accorretti, sulla prospettiva dell’auto-affondamento aveva trascorso ore di angoscia, che alimentarono i suoi dubbi, perché ritenne "che Bergamini" avesse potuto dire a Biancheri "all’altimo momento per telefono cose che a me non aveva avuto la possibilità di comunicare". Quindi con un messaggio privato trasmesso a Biancheri alle 06.58, il nuovo Comandante delle Forze Navali da Battaglia tagliò corto ad ogni ulteriore discussione, segnalando: (275)
Privato per l’Ammiraglio. Non posso accogliere proposta. Mi atterrò e ti prego attenerti ordini Sua Maestà.
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L’ammiraglio Oliva, spiegando lo stato di angoscia che lo attanaglio durante tutta la navigazione verso Malta, e soprattutto la ragione del tassativo ordine inviato al Comandante dell’8^ Divisione Navale (23), ne ha fornito una chiara testimonianza, scrivendo da Napoli il 26 maggio 1946 all’ammiraglio Accorretti, divenuto Sottocapo di Stato Maggiore della Marina: (276)
Bergamini nulla disse né a me né, per quanto mi costa, a te od a Garofalo circa le intenzioni del Ministero e le sue dopo l’ultima telefonata avuta con Roma la tarda sera dell’8 settembre; cosicché, fin quando non fui tornato in Italia il 18 ottobre 43, io fui sempre tormentato dal dubbio che egli avesse avuto durante quella telefonata[dell’ammiraglio de Courten - N.d.A.], in via strettamente personale, l’autorizzazione di auto-affondare le navi invece di trasferirle in un porto alleato. Questo mio dubbio era anche alimentato dal fatto che, quando, dopo la sua scomparsa, io assunsi il Comando della Forza Navale in mare, non potei decifrare alcuni radiotelegrammi a lui diretti (intercettati dall’EUGENIO DI SAVOIA), perché cifrati con tabella che i Comandi di Divisione non possedevano.
Sempre assillato da quel dubbio, trascorsi, come sai, ore angosciose quando Biancheri mi fece, per radio-segnalatore, la nota proposta, soprattutto perché pensavo che Bergamini avesse a lui potuto dire all’ultimo momento per telefono cose che a me non aveva avuto la possibilità di comunicare; ed il tuo telegramma esprimente parere contrario alla proposta Biancheri mi fu di gran sollievo anche perché pensai che, essendo tu stato sul VITTORIO VENETO accanto a Bergamini fin dopo la sua ultima conversazione telefonica con Roma, a te più che ad altri egli avrebbe potuto, volendo, comunicare i suoi intendimenti, intendimenti che a tua volta mi avresti certo fatto sapendo quanto improvvisamente io dovetti sostituirlo nel Comando.
Quindi Oliva, riferendosi a quanto il precedente il 2 maggio 1946, egli aveva scritto all’ammiraglio de Courten sullo stesso argomento, ossia sulla tormentata decisione di dover condurre la flotta a Malta evitandone l’auto-affondamento a nome del Re e nell’interesse del Paese, portò a conoscenza di Accorretti il contenuto di quella lettera: (277)
Come ben sai, e come ebbi occasione di ripeterti durante la mia ultima visita alla Capitale nel marzo scorso, l’Ammiraglio Bergamini, se pur aveva deciso, come in seguito appresi, di obbedire per amor di Patria all’ordine di trasferimento della flotta a Malta comunicatogli per telefono da Roma a tarda sera dell’8 settembre (subito dopo l’ultimo rapporto degli Ammiragli e Comandanti), egli a nessuno disse di aver accettato il sacrificio richiestogli, nulla aveva potuto o voluto comunicare agli Ammiragli in Comando sottordini; cosicché dopo la sua scomparsa con la Nave Ammiraglia io mi trovai a dover decidere tra il trasferimento della Flotta in un porto alleato ordinato con radiotelegrammi dal Ministero della Marina e l’auto-affondamento di essa che poteva essere da me disposto con la semplice trasmissione di una frase convenzionale stabilita dall’Ammiraglio Bergamini stesso e nota a tutti i Comandanti.
Ma, poiché la bandiera non sarebbe stata ammainata [sottolineato nel testo] e poiché tu, Ministro, in nome del Re, ordinava di attenersi lealmente alle clausole dell’armistizio, decisi di obbedire a tale ordine; lo feci con la più grande tristezza e pur nel tremendo dubbio che il nostro Comandante in Capo, se fosse stato ancora in vita, avrebbe potuto forse diversamente decidere soprattutto in seguito alla conversazione telefonica con Roma che tutti sapevano egli avrebbe dovuto avere dopo il rapporto della sera dell’8 settembre ma di cui io non conosco né il tenore né l’esito.
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Occorre poi dire, che le navi di Taranto arrivarono a Malta senza il Comandante degli incrociatori, ammiraglio Giovanni Galati, ed altri due ufficiali, il capitano di vascello Baulini e il tenente di vascello Adorni, essendosi fermamente rifiutati di andare a consegnare le loro navi agli anglo-americani. L’ammiraglio di squadra Bruto Brivonesi, Comandante di Marina Taranto, ne informò Supermarina con messaggio delle ore 11.00 dell’11 settembre, in cui era riportato: (278)
MARINA TARANTO - 77446 - DECIFRATE DA SOLO (alt) 5^ Divisione est partita con solo Ammiraglio DA ZARA avendo Ammiraglio GALATI dichiarato non sentirsi animo eseguire ordini ricevuti alt Ammiraglio GALATI per successive intemperanze verbali est agli arresti in fortezza (,) habet presentato domanda dimissioni (alt) Ho pure sbarcato Cap. Vasc. BASLINI et Ten. Vasc. ADORNI che verranno impiegati destinazione locale (alt) 091610.
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Parte Diciannovesima
Conclusioni
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Con l’arrivo a Malta delle Forze Navali da Battaglia del Tirreno e della 5^ Divisione di Taranto, si concluse colla più grande amarezza l’atto che gli alleati avevano sempre preteso e che i Capi della Regia Marina avevano tentato di evitare con tutti i mezzi: la consegna delle navi all’ex nemico. Un dramma che lo storico britannico capitano Stephen Roskill ha descritto nelle sue tragiche dimensioni, nel volume 3° del suo monumentale The War at Sea, con le seguenti parole: (279)
"In tutti gli annali della storia militare possono esservi pochi drammatici eventi come la resa di una Marina da guerra nemica. Per i vincitori essa è il culmine dell’intero ciclo operativo in applicazione del potere marittimo, il raggiungimento di tutti gli scopi. Per i vinti essa significava, per la sua completezza, l’abbandono di tutte le loro ambizioni. Per la nazione britannica e specialmente per la Royal Navy il significato del dramma del 10 settembre 1943 fu accresciuto dal fatto che la flotta italiana incontrò le nostre forze nelle stesse acque, in cui, in tante guerre, e particolarmente dal 1940 al 1943, aveva lottato così strenuamente per il loro controllo".
.Sull’importanza della consegna della flotta italiana agli alleati anche lo storico statunitense ammiraglio Morison fu molto esplicito, scrivendo in Sicily, Salerno, Anzio: (280)
"La Marina italiana fu, infatti, la sola branca delle forze armate che eseguì le condizioni di Armistizio. Badoglio, fu impotente a fare di più e l’Esercito e l’Aviazione italiana scomparvero semplicemente".
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Parte Ventunesima
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La perdita della Roma, e delle molte altre navi, in gran parte attaccate dai tedeschi mentre si trasferivano verso i porti degli Alleati, rappresentò soltanto una parte del disastro che nei giorni dell’armistizio si abbatté sulla Marina italiana. Ben 327 navi, tra cui la corazzata Cavour, 3 incrociatori, 9 cacciatorpediniere, 23 torpediniere, 6 corvette e 24 sommergibili, restarono nei porti sotto controllo tedesco. Di tali unità la maggior parte si auto-affondarono o furono sabotate dagli equipaggi, dal momento che non si trovavano in condizioni di prendere il mare. Tuttavia non mancarono navi che si consegnarono spontaneamente ai tedeschi, con lo scambio del saluto al momento della sostituzione degli equipaggi, come accadde per le sei siluranti della flottiglia dell’Egeo (cacciatorpediniere Crispi, Turbine e torpediniere San Martino, Calatafimi, Solferino e Castelfidardo) di base al Pireo e a Suda, che poterono essere subito impegnate, con il massimo rendimento, dalla Marina germanica per appoggiare gli sbarchi contro i possedimenti italiani del Dodecanneso.
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Nel disastro generale, da parte italiana non mancarono gli atti di valore e lo spirito offensivo, ma furono tutti determinati da azioni individuali espresse su iniziativa di singoli comandanti. L’episodio più rappresentativo e concreto fu quello di Bastia, in cui si fece nuovamente onore il comandante della torpediniera Aliseo, capitano di fregata Carlo Fecia di Cossato, che in Atlantico si era guadagnato l’importante onorificenza tedesca della Ritterkreuz per aver affondato, con il sommergibile Tazzoli, sedici navi mercantili per 86.545 tsl.
Il mattino del 9 settembre, mentre la flotta dell’ammiraglio Bergamini, dirigendo per la Maddalena, stava transitando a occidente della Corsica, l’Aliseo impegnò a cannonate sette unità tedesche che tentavano di uscire dal porto di Bastia, dove i tedeschi, che erano impegnati in aspri scontri con i reparti del Regio Esercito e della Regia Marina, avevano danneggiato e catturato la torpediniera Ardito. Dapprima, sostenuto a maggiore distanza dalla corvetta Cormorano, l’Aliseo affondò i cacciasommergibili UJ-2203 (ex francese Austral) e UJ-2219 (ex belga Inuma). Quindi, appoggiata anche dal fuoco dalle batterie costiere, la torpediniera affondò, una dopo l’altra, le cinque motozattere F 366, 387, 459, 612 e 629, che appartenevano alla 4^ Flottiglia.
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Altri episodi, in cui apparve vincente la determinazione con cui furono affrontati i combattimenti con i tedeschi, si ebbero a Bari e soprattutto a Piombino, ove i carri armati del 31° Reggimento del Regio Esercito riuscirono ad affondare la torpediniera tedesca TA-11, ex francese L’Iphigènie. Episodi del genere, condotti in modo più o meno fortunato, furono combattuti un po’ dovunque in quei giorni, nelle basi navali, nei depositi e in mare; ma generalmente i risultati non furono quelli sperati e non contribuirono ad evitare che i tedeschi si impossessassero di quasi tutti gli obiettivi della penisola e dei possedimenti italiani d’oltremare, né servirono per convincere gli anglo-americani a sfruttare adeguatamente le molto possibilità d’impiego prettamente bellico della Regia Marina.
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Questa, consegnando la flotta agli Alleati, pagò duramente l’illusione di ottenere condizioni di pace più favorevoli, perché quelle condizioni erano legate a quanto gli italiani avrebbero potuto fare per impedire agli anglo-americani di impantanarsi in una lunga e durissima guerra , poi chiamata in Italia "di liberazione", e che secondo alcuni malinformati, tra cui non pochi politici, sarebbe addirittura, iniziata in Sicilia, dimenticando, o facendo finta di ignorare, che l’Esercito italiano combatteva per difendere l’isola.
La verità è ben altra, dal momento che gli Alleati non intendevano allora combattere nella penisola, se non per impossessarsi della parte meridionale di essa, da cui esercitare il pieno controllo del Mediterraneo. Ma in particolare, come fecero capire agli italiani, agli anglo-americani interessava in particolare, il porto di Napoli, per farvi affluire truppe e rifornimenti, e la regione della Puglia, dove intendevano condurre, da sud, la guerra aerea contro la Germania e nei Balcani, usufruendo dei grandi aeroporti esistenti nella zona di Foggia.
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Per raggiungere quest’ambizioso obiettivo, soprattutto per realizzare lo sbarco a Salerno e per esercitare il controllo dell’Italia centrale fino ai rilievi degli Appennini settentrionali, impiegando forze limitate rinforzate dalle divisioni del nuovo alleato, gli Alleati contavano molto sulle Regie Forze Armate, rimanendone delusi, perché dopo la diramazione dell’armistizio, la sera dell’8 novembre, non ricevettero da esse quasi nessun aiuto. Ragion per, nelle loro recriminazioni, inglesi e americani arrivarono a maledire il giorno in cui il generale Castellano si era presentato a Lisbona ai delegati del generale Eisenhower per trattare la resa. Questo fatto contribuì ad indispettire non soltanto il Comandante in Capo delle forze Alleate, ma soprattutto le diplomazie di Londra e di Washington, degli statunitensi in particolare che non mitigarono mai, nei confronti dell’Italia, la punizione della resa incondizionata pretesa fin dalla conferenza di Casablanca del gennaio 1943. (281)
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Ne conseguì che l’armistizio, ratificato a Malta il 28 settembre dal maresciallo Badoglio, con condizioni ancora più dure di quelle fissate a Cassibile, pretese il disarmo e la smobilitazione di molte navi per un lungo periodo, e non permise alla Regia Marina di partecipare alle molte operazioni alleate di sbarco e di appoggio al fronte terrestre, relegando le sue unità soltanto a compiti sussidiari; e questo nonostante il 23 settembre fossero stati fissati a Taranto, tra gli ammiragli de Courten
e Cunningham, alcuni accordi di collaborazione che sembrarono allora incoraggianti, poiché stabilivano fossero utilizzate "al più presto" le unità da guerra minori italiane per i trasporti alleati e nel lavoro di scorta.
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Nella guerra che si voleva combattere contro i tedeschi, anche per contribuire realmente a liberare, dal mare, il territorio nazionale, umiliante fu l’impiego degli incrociatori per il trasporto del sale dalla Sardegna sul continente; e alquanto discutibile anche quello del rimpatrio dei prigionieri dal nord Africa che, invece di utilizzare gli incrociatori con tutti i rischi di navigazione di guerra che ne derivavano, avrebbe potuto svolgersi con le navi mercantili, che gli Alleati avevano in gran parte requisito per impiegarle per le loro esigenze.
Occorre anche dire che le maggiori distruzioni causate all’Italia si verificarono nei due anni successi all’armistizio. Ciò avvenne, soprattutto, per opera di coloro che sono stati considerati, spesso in modo ironico, i "liberatori"; ossia degli statunitensi, i cui bombardieri - oltre ad appoggiare il fronte terrestre dove praticamente, in molte zone, gli Alleati furono costretti a combattevano con i tedeschi metro per metro e casa per casa - si sforzarono, da par loro, a demolire città e interi paesi della penisola, non tralasciando, nelle incursioni in profondità, i porti, i nodi ferroviari e gli impianti industriali del centro e nord Italia.
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Considerando che il Governo italiano, come annunciò alla radio il maresciallo Badoglio, aveva chiesto l’armistizio per "risparmiare nuovi lutti alla nazione", queste parole sembrano oggi qualcosa di tragicomico, visti i danni arrecati all’Italia dagli Alleati ed anche dai tedeschi, che durante le loro ritirate facevano saltare ponti, strade, edifici, ferrovie, e tutto ciò che poteva servire al nemico. A quest’opera di demolizione, ma ciò non vuole essere una critica, contribuirono poi anche i partigiani italiani, che nel corso delle numerose opere di sabotaggio, soprattutto nelle strade secondarie, non mancarono di far saltare anche ponti e viadotti e tutto ciò che potevano servire ai tedeschi durante le loro operazioni di rastrellamento. Per non parlare poi dei lutti causati nella guerra civile degli attentati, delle uccisioni, delle rappresaglie, per non parlare poi delle rese dei conti contro i vinti che si protrassero ben oltre il termine del conflitto.
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Il trattato di pace del 1947, non tenne assolutamente conto dei decantati meriti cobelligeranti e resistenziali dell’Italia, poiché, occorre dirlo, furono di natura particolarmente modesta. Sebbene la guerra si svolgesse nel territorio nazionale, in cui combattevano nella causa degli Alleati eserciti di ben ventisette nazioni di ogni continente, soltanto nel dicembre del 1943 fu permesso ad modesto raggruppamento motorizzato di impegnare i tedeschi sul fronte di Cassino. Poi, a partire dalla primavera-estate del 1944 furono costituiti e portati in linea cinque gruppi da Combattimento italiani, dall’organico di circa una brigata, che furono però inseriti nelle divisioni britanniche, ed adottando addestramento, divise ed armamento britannico, che però non includeva artiglierie pesanti e carri armati.
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Il trattato di pace dette poi dette alla Marina il colpo finale, costringendola a cedere molte navi alle nazioni vincitrici (Russia, Francia, Grecia, Iugoslavia e perfino alla Cina) e a smantellare tutti i sommergibili e, fatto forse ancora più doloroso, a demolire anche le corazzate Italia e Vittorio Veneto, che erano state confinate dopo l’armistizio ai Laghi Amari del Canale di Suez, dove rimasero inutilizzabili per tutto il restante periodo della guerra. (282)
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testo riordinato tratto da:
Francesco MATTESINI
Come si arrivò all' 8 settembre 1943
estratto da Pagine di Difesa
Roma, 13 Settembre 2007
le note separate dal testo, sono riportate nel post successivo
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(1)  Fuori della tenda dove si firmava l'armistizio, si trovavano anche altri due rappresentanti ufficiali dello Stato: Il maggiore del SIM Luigi Marchesi che aveva partecipato alla preparazione dell'armistizio e che avrebbe riportato a Roma i documenti firmati, accompagnato dal maggiore dell'Areonautica Giovanni Vassallo che aveva pilotato l'idrovolante con Castellano, da Guidonia a Termini Imerese e che doveva riportare i partecipanti a Roma.
Fuori della tenda si trovavano anche altri quattro personaggi, in divisa militare italiana, che segretamente ed a vario titolo, avevano collaborato sia alla preparazione dell'invasione della Sicilia da parte degli angloamericani, ad Algeri, sia all'organizzazione degli incontri preparatori, in Sicilia, dell'armistizio: i due fratelli Raimondo e Galvano Lanza di Trabia, un ufficiale: Stefano La Motta ed il misterioso capitano del Genio: Vito Guarrasi, collaboratore dei servizi segreti di Roatta e, secondo i Servizi USA, garante di Cosa Nostra.